
Brian Berletic per New Eastern Outlook – Traduzione a cura di Old Hunter
Mentre si aggrava il conflitto in corso in Ucraina e si intensificano le tensioni nell’area Asia-Pacifico, Washington si sta dirigendo verso una guerra regionale altrettanto pericolosa in Medio Oriente, tra i suoi alleati israeliani e una lista crescente di stati e organizzazioni confinanti.
Tra questi rientrano il Libano e l’organizzazione politica e militare libanese Hezbollah, la Repubblica araba siriana, l’Iran, così come le milizie sciite in Iraq e Ansar Allah con base in Yemen, definite dai media occidentali come “Houthi”.
Questo vasto gruppo di nazioni e organizzazioni che si estende nella regione ha un denominatore comune: tutte ostacolano il primato degli Stati Uniti sulla regione, con gli Stati Uniti stessi che hanno mosso guerra direttamente e/o indirettamente contro ciascuna di queste sin dalla fine della Seconda guerra mondiale.
Proprio come gli Stati Uniti hanno reclutato l’Ucraina per muovere guerra per procura alla Russia, nell’Europa orientale e, nella regione Asia-Pacifico, hanno conquistata politicamente e utilizzata la provincia insulare di Taiwan contro il resto della Cina, gli Stati Uniti hanno attentamente coltivato politicamente e militarmente Israele per decenni per usarlo come proxi per compiere omicidi, attacchi terroristici, attacchi militari e persino provocare guerre per le quali gli stessi Stati Uniti cercano di negare plausibilmente l’evidenza.
A tal fine, gli Stati Uniti forniscono a Israele miliardi di aiuti all’anno, compreso un flusso costante di armi e munizioni senza le quali sarebbe impossibile condurre le varie guerre di aggressione di Israele. Mentre Washington si atteggia pubblicamente a ricercare la pace e la stabilità in Medio Oriente, il suo continuo sostegno a Israele permette il perpetuo conflitto e l’instabilità che minano la regione.
Più di recente, gli Stati Uniti hanno ripetutamente affermato di aver esortato Israele alla moderazione nelle sue operazioni militari contro Gaza. In pratica, tuttavia, gli Stati Uniti hanno permesso la distruzione su larga scala di Gaza attraverso la continua spedizione di munizioni, tra cui migliaia di bombe utilizzate negli attacchi aerei israeliani, come ha riferito la Reuters nel giugno di quest’anno.
Nonostante sia gli Stati Uniti che i loro delegati israeliani affermino che le azioni israeliane sono fatte per autodifesa, il livello di violenza è stato unilaterale, con Gaza praticamente rasa al suolo e decine di migliaia di morti, feriti o sfollati. Parallelamente alle operazioni a Gaza, Israele ha effettuato attacchi contro il Libano, la Siria e l’Iran, nessuno dei quali, secondo stesso esercito israeliano, era coinvolto negli attacchi di Hamas dell’ottobre dello scorso anno.
Tutte e tre le nazioni hanno ripetutamente resistito a reagire a queste provocazioni israeliane.
Israele: l’ariete originale in stile ucraino
La natura della belligeranza israeliana è trasparente, fa parte di una politica statunitense ben documentata per provocare una guerra più ampia in tutto il Medio Oriente, in cui gli Stati Uniti possono quindi giustificare l’intervento, e una guerra che sia gli Stati Uniti che i suoi delegati israeliani possono citare quando utilizzano armi e tattiche altrimenti difficili o impossibili da giustificare, fino ad arrivare alle armi nucleari.
Nel 2009, la Brookings Institution nel suo documento di 170 pagine intitolato “Quale percorso per la Persia? Opzioni per una nuova strategia americana verso l’Iran”, descriveva in dettaglio vari mezzi per costringere, contenere e infine rovesciare il governo iraniano, compressa la guerra contro l’Iran.
Il documento ammette quanto sarebbe difficile per gli Stati Uniti stessi lanciare attacchi militari contro l’Iran, quando afferma:
…qualsiasi operazione militare contro l’Iran sarà probabilmente molto impopolare in tutto il mondo e richiederà un contesto internazionale appropriato, sia per garantire il supporto logistico che l’operazione richiederebbe, sia per minimizzare le conseguenze negative che ne deriverebbero.
Inoltre dice:
…sarebbe molto più preferibile che gli Stati Uniti potessero citare una provocazione iraniana come giustificazione per gli attacchi aerei prima di lanciarli. Chiaramente, quanto più oltraggiosa, letale e immotivata sarà l’azione iraniana, tanto meglio sarà per gli Stati Uniti. Naturalmente, sarebbe molto difficile per gli Stati Uniti spingere l’Iran a una tale provocazione senza che il resto del mondo riconosca questo gioco, il che lo minerebbe.
Un intero capitolo è stato dedicato all’uso di Israele per effettuare un attacco iniziale all’Iran, consentendo agli Stati Uniti di prendere le distanze dalle proprie responsabilità. Intitolato “Leave it to Bibi: Allowing or Encouraging an Israeli Military Strike” [Lascia fare a Bibi: consentire o incoraggiare un attacco militare] si legge
esplicitamente:
…l’obiettivo di questa opzione politica sarebbe quello di distruggere le principali strutture nucleari iraniane nella speranza che ciò possa ritarde significativamente l’acquisizione da parte dell’Iran di una capacità di armi nucleari indigene. Tuttavia, in questo caso, un elemento aggiunto potrebbe essere che gli Stati Uniti incoraggerebbero, e forse persino assisterebbero, gli israeliani a condurre gli attacchi stessi, nell’aspettativa che sia le critiche internazionali sia le rappresaglie iraniane verrebbero deviate dagli Stati Uniti verso Israele.
Il documento osserva che un attacco israeliano potrebbe “innescare un conflitto più ampio tra Israele e Iran che potrebbe coinvolgere gli Stati Uniti e altri paesi”, dando a Washington il pretesto che cerca prima di una eventuale guerra di aggressione da lei stessa intrapresa contro l’Iran.
Con questa politica in mente, la cadenza costante di attacchi sempre più provocatori da parte di Israele contro l’Iran e i suoi alleati è più facile da comprendere. Gli Stati Uniti, attraverso le provocazioni israeliane, cercano di provocare una guerra più ampia in cui gli Stati Uniti stessi possano entrare, apparentemente per aiutare un alleato piuttosto che per iniziare un’altra guerra di aggressione in Medio Oriente.
In definitiva, affinché questa trappola funzioni con successo, l’Iran deve reagire a una di queste numerose provocazioni, e farlo in un modo che gli Stati Uniti e i suoi alleati possano descrivere come sproporzionato o addirittura “non provocato”.
Finora le risposte dell’Iran sono state estremamente misurate.
Vendetta a breve termine vs. vittoria a lungo termine
Per anni, sia il Libano che la Siria sono stati oggetto di omicidi israeliani, attacchi terroristici e persino attacchi militari unilaterali, senza che ciò abbia seriamente minacciato la sopravvivenza di entrambe le nazioni.
La guerra per procura orchestrata dagli Stati Uniti, che in realtà minacciava la sopravvivenza della Siria, è stata sconfitta grazie alla cooperazione in materia di sicurezza all’interno dei confini siriani tra le forze armate siriane, la Russia e l’Iran.
Allo stesso modo, l’Iran ha resistito ad attacchi diretti e indiretti, tra cui terrorismo, interferenze politiche e assassinii, per anni senza che queste ostilità minacciassero seriamente la sopravvivenza dell’Iran come stato-nazione. Le sanzioni e le interferenze politiche statunitensi volte a indebolire e destabilizzare l’Iran sono state gestite con attenzione e finora superate, non attraverso rappresaglie contro gli Stati Uniti e i suoi delegati, ma tramite la stretta cooperazione e partecipazione dell’Iran con il mondo multipolare emergente, dopo essersi unito ai BRICS all’inizio di quest’anno.
In un senso molto più ampio, con l’aumento delle dimensioni e della complessità del mondo multipolare e con il dell’ordine internazionale guidato dagli Stati Uniti, la capacità di Washington di affermare la propria supremazia in qualsiasi parte del mondo, compreso il Medio Oriente, diminuisce anch’esso. Per questo motivo, Washington sta correndo contro il tempo per utilizzare ciò che rimane dei suoi vantaggi in termini di potere economico e militare per eliminare i suoi avversari prima che l’equilibrio globale del potere si sposti ulteriormente a suo svantaggio.
Washington cerca la guerra – per procura o in altro modo – con l’Iran prima e non dopo. Una rappresaglia per soddisfare emotivamente un desiderio di vendetta a breve termine da parte dell’Iran o dei suoi alleati a quelle che sono provocazioni sempre più disperate, non farebbe altro che assecondare il desiderio di Washington di innescare una guerra più ampia e profondamente più costosa che potrebbe distruggere l’intera regione.
Occorre invece aumentare la sicurezza. L’Iran e i suoi alleati devono continuare ad accrescere le proprie capacità militari, così come devono accrescere il proprio potere economico e politico, sia all’interno dei propri confini che nella regione. Molte delle provocazioni messe in atto da Israele, tra cui il recente attacco terroristico in Libano con dispositivi elettronici imbottiti di esplosivo e distribuiti in tutto il paese, sono sono del tutto prevedibili e prevenibili..
Per ogni tentativo degli USA e dei suoi proxi di destabilizzare il Medio Oriente, la regione e i suoi partner devono raddoppiare gli sforzi per mantenere la stabilità ed evitare conflitti più ampi. È necessaria una combinazione di continui sforzi diplomatici e di sicurezza sono per garantire che le future provocazioni siano meno efficaci e più difficili da realizzare.
Superare queste provocazioni piuttosto che reagire ad esse darà al Medio Oriente, insieme al resto del mondo, il tempo necessario per continuare questo fondamentale cambiamento nell’equilibrio globale del potere lontano dall’unipolarismo guidato dagli Stati Uniti verso un mondo multipolare migliore. Ma prima che ciò possa accadere, le nazioni devono evitare le trappole tese dagli Stati Uniti, destinate a innescare una guerra distruttiva con cui Washington cerca di seppellire il multipolarismo.
Brian Berletic è un ricercatore e uno scrittore geopolitico di Bangkok, in particolare per la rivista online “New Eastern Outlook”
