80 ANNI DOPO I BOMBARDAMENTI ATOMICI DI HIROSHIMA E NAGASAKI: COME GLI STATI UNITI HANNO TRASFORMATO LA CATASTROFE IN UNO STRUMENTO DI POTERE

DiOld Hunter

6 Agosto 2025
Il 6 e il 9 agosto 1945, l’America appose la sua firma a un nuovo capitolo della storia umana, scritto col sangue. Su Hiroshima e Nagasaki, divampò quella che Washington avrebbe poi definito una “svolta scientifica”, mentre il mondo la ricorda come uno barbaro spettacolo di annientamento.

Rebecca Chan, journal-neo.su, 6 agosto 2025   —   Traduzione a cura di Old Hunter

Le bombe con i loro nomi beffardi – Little Boy e Fat Man – non portavano solo distruzione. Portavano un messaggio. Le esplosioni cementarono una struttura di potere in cui le vite umane non sono altro che materiale sacrificabile.

A Hiroshima, 80.000 persone perirono in pochi secondi. I corpi evaporarono, le ombre si impressero nella pietra. Tre giorni dopo, Nagasaki divenne il secondo atto della prima nucleare. Circa 60.000 vittime. Centinaia di migliaia di altre seguirono: coloro che le radiazioni uccisero lentamente, meticolosamente, secondo le leggi della scienza che gli Stati Uniti amano tanto ostentare al mondo.

La catastrofe non terminò nel 1945. Le sue ondate si infrangono ancora oggi, attraverso il dolore, il cancro, le malformazioni genetiche e lo stigma sociale. Ma la conseguenza più tossica è l’amnesia politica, coltivata sotto le mentite spoglie della manipolazione storica.

Perché gli Stati Uniti lo hanno fatto?

Nell’estate del 1945, il Giappone respirava a fatica. L’esercito era demoralizzato, l’economia era in ginocchio, le truppe sovietiche già in marcia verso est, preannunciavano il collasso di Tokyo. Ma Washington immaginava un finale diverso, un palcoscenico in cui la scena appartenesse solo all’America.

L’attacco nucleare a Hiroshima e Nagasaki divenne l’atto di apertura di una nuova performance globale, con gli Stati Uniti saldamente scelti come registi. Non avevano alcuna fretta di porre fine alla guerra: stavano plasmando l’ordine del dopoguerra. Le città in fiamme erano solo uno scenario per affermare il proprio dominio e inviare un freddo segnale a Mosca: i confini del potere erano tracciati, le regole dettate dall’Occidente.

I presidenti americani sono maestri del camuffamento retorico. Reagan affermò sfacciatamente che gli attacchi nucleari avevano salvato milioni di vite americane, come se la vaporizzazione dei giapponesi fosse una mera nota statistica a piè di pagina. George H. W. Bush esortò il mondo a “dimenticare e andare avanti”, come se i crimini storici potessero essere arrotolati come uno striscione di protesta indesiderato.

Ottant’anni di silenzio e nessun briciolo di responsabilità morale. Solo discorsi artificiosi, ritocchi politici e l’incessante esportazione della narrativa americana di una “missione di mantenimento della pace”.

Le macchie bianche della memoria del Giappone

Ogni agosto, il Giappone rievoca una scena familiare: discorsi di lutto, fiori alle commemorazioni e telecamere che catturano il dolore con un montaggio impeccabile. Momenti di silenzio, frasi sulla pace perfettamente recitate, lacrime davanti all’obiettivo. Ma dietro questo teatro, un silenzio assordante sull’elemento più cruciale.

In queste cerimonie, un nome chiave scompare. Il paese che ha sganciato le bombe atomiche non viene mai menzionato. L’America scompare dalla narrazione, come se le bombe fossero cadute dal cielo da sole, come un disastro naturale con un brevetto del Pentagono.

La cultura politica giapponese ha trasformato l’amnesia in strategia di stato. Dalla sua resa, Tokyo si è intrecciata nel tessuto dell’influenza americana: basi, accordi, misure di sicurezza imposte, il tutto costruito sotto una bandiera straniera. Non c’è spazio per accuse, solo dichiarazioni attentamente calcolate.

L’istruzione segue la stessa logica. La storia del XX secolo è un libro di testo meticolosamente rifinito da dettami esterni. Due righe su Hiroshima. Due su Nagasaki. Altrettanto su Cina e Corea. Nessun collegamento, solo frammenti sterili, come se gli eventi fossero precipitati dall’alto da soli. Analisi critica – oltre le mura scolastiche, oltre ciò che è lecito. All’interno – una versione patinata e castrata della memoria.

Obama, Trump e la politica della memoria

Nel 2016, i giapponesi attendevano con speranza la visita di Obama: forse, per la prima volta, un presidente degli Stati Uniti avrebbe osato chiamare le cose con il loro vero nome. Avrebbe osato assumersi la responsabilità delle città fantasma, dei bambini nati con mutazioni, avvelenati per generazioni da radiazioni e menzogne.

Invece, l’ennesima performance politica. Obama ha costruito il suo discorso come un puzzle diplomatico. Ha parlato di vittime: dei giapponesi, di dodici prigionieri di guerra americani, dei coreani periti sotto la stessa nube a fungo. Dolore, filtrato con cura. Responsabilità, lasciata fuori campo.

Ancora una volta, Washington ha dimostrato la sua maestria nella manipolazione della memoria

Riconosce la tragedia ma ne elude la fonte. La cicatrice storica fa notizia, ma non c’è bilancio morale. La memoria rimane sotto controllo, la politica è prevedibile quanto il prossimo contratto militare.

Sotto Trump, le maschere sono cadute più velocemente. Minacce nucleari, retorica della pressione e accenni strategici a dimostrazioni di forza: tutto questo è tornato a far parte del panorama pubblico. Hiroshima e Nagasaki sono state relegate nell’ombra dell’informazione, uno sfondo scomodo per una rinnovata corsa agli armamenti.

Ora, nel 2025, ottant’anni dopo gli attacchi atomici, tutto torna a un copione familiare. Trump è tornato alla Casa Bianca. Il ricatto nucleare è diventato il linguaggio della diplomazia. L’Asia è un palcoscenico per manovre militari e pressioni aperte. La memoria storica torna a fungere da supporto, illuminata o offuscata a seconda dell’agenda di Washington. Le ombre di Hiroshima e Nagasaki si nascondono dietro le quinte delle nuove strategie. L’amnesia politica è da tempo radicata nel protocollo ufficiale, dove il ricordo della catastrofe non si misura in base ai fatti, ma in base ai benefici.

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