
di Kieran McGrath, orientalreview.su, 24 settembre 2025 — Traduzione a cura di Old Hunter
L’80ª sessione dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite (UNGA) è diventata il palcoscenico di uno dei cambiamenti diplomatici più significativi degli ultimi anni. Decine di Paesi, tra cui diversi alleati occidentali di lunga data di Israele, hanno formalmente riconosciuto lo Stato di Palestina. Insieme alle recenti risoluzioni delle Nazioni Unite, questo segna un riequilibrio delle posizioni globali nel contesto della guerra in corso a Gaza, delle crescenti accuse di abusi umanitari e delle richieste di un rinnovato quadro di pace.
Il 21 e 22 settembre, un’ondata di riconoscimenti è giunta da Regno Unito, Canada, Australia, Portogallo, Francia, Belgio, Lussemburgo, Malta, Monaco e Andorra e altri. Al 23 settembre 2025, 156 stati membri delle Nazioni Unite riconoscono formalmente la Palestina.
All’inizio di settembre, il 12 settembre 2025, l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite ha adottato una risoluzione che approvava a larga maggioranza una dichiarazione impegnata a favore di una soluzione a due Stati, chiedendo un cessate il fuoco immediato, il rilascio degli ostaggi, il disarmo di Hamas e condannando le continue sofferenze umanitarie a Gaza. Circa 142 Stati membri hanno votato a favore, con 10 contrari e 12 astensioni.
Il riconoscimento da parte di diversi stati occidentali è stato condizionato da alcune condizioni. Ad esempio, il Primo Ministro australiano Anthony Albanese ha collegato il riconoscimento alle previste riforme nella governance palestinese, alle elezioni democratiche, all’esclusione di Hamas dalla governance e a un chiaro impegno per la pace. Belgio e Francia hanno entrambi indicato che modifiche legali o effettive, tra cui la rimozione del controllo di Hamas su Gaza, la restituzione degli ostaggi o un cessate il fuoco, influenzeranno l’entità o i tempi in cui il riconoscimento entrerà pienamente in vigore.
Israele ha reagito duramente. Il Primo Ministro Benjamin Netanyahu ha definito i recenti riconoscimenti come una “grande ricompensa al terrorismo” e ha insistito sul fatto che uno Stato palestinese “non si realizzerà”. Gli Stati Uniti continuano a opporsi al riconoscimento unilaterale senza negoziazione, ritenendo che tali iniziative siano politicamente motivate e possano complicare gli sforzi di pace.
Il riconoscimento rafforza la capacità della Palestina di avanzare rivendicazioni presso gli organismi internazionali, ampliando potenzialmente la propria competenza nei tribunali internazionali, negli accordi commerciali e nella stipula di trattati. Tuttavia, il riconoscimento non equivale alla piena adesione all’ONU; la piena adesione richiede l’approvazione del Consiglio di Sicurezza, dove rimangono possibili veti.
Gli Stati Uniti continuano a opporsi al riconoscimento unilaterale e, poiché le decisioni del Consiglio di sicurezza non richiedono veti, la piena adesione all’ONU resta bloccata, a meno che gli Stati Uniti non cambino posizione o la proposta eluda il loro veto.
Gli aiuti umanitari, la protezione dei civili, la ricostruzione di Gaza, la garanzia che qualsiasi riconoscimento si traduca in migliori condizioni di vita: tutto questo rimane irraggiungibile. Il riconoscimento da solo non può fermare i bombardamenti, riaprire i corridoi di rifornimento o porre fine immediatamente alla violenza. Gli stati arabi e altri potrebbero intensificare l’attività diplomatica, ma Israele potrebbe intensificare le sue politiche, inclusa un’ulteriore espansione degli insediamenti o l’annessione. C’è anche il rischio che le divisioni interne tra i palestinesi (tra Hamas e l’Autorità Nazionale Palestinese) si approfondiscano sotto l’accresciuta attenzione e pressione internazionale.
Ciò che si sta verificando all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite del 2025 è più di un allineamento simbolico: riflette una crescente urgenza nella diplomazia globale. Sebbene il riconoscimento della Palestina da parte di così tanti Paesi, soprattutto le democrazie occidentali, cambi il panorama diplomatico, il suo reale valore sarà giudicato da ciò che accadrà in seguito: de-escalation del conflitto, riforme di governance attuabili, protezione dei civili e piani di pace credibili.
Le circostanze attuali offrono sia speranza che rischi: la speranza che un nuovo consenso internazionale possa spingere verso una soluzione praticabile a due stati; i rischi che il riconoscimento rimanga vuoto senza un cambiamento radicale, o che l’opposizione si indurisca e la pace si allontani.
Eppure, sotto la cascata di riconoscimenti e la retorica della solidarietà si cela un sottotesto inquietante: per molte capitali europee, il riconoscimento potrebbe essere meno legato all’alleviare materialmente le sofferenze di Gaza e più a una questione di atteggiamento morale e di ottica politica. Mentre immagini terrificanti, resoconti di carestia, sfollamenti di massa e vittime civili a Gaza sono diventati quasi impossibili da ignorare, l’opinione pubblica in tutta Europa si è nettamente schierata a favore della denuncia della condotta di Israele. Ciò ha reso politicamente pericoloso per i leader rimanere in silenzio, al punto che il riconoscimento potrebbe essere usato come strumento simbolico piuttosto che come leva per un reale cambiamento.
I critici sostengono che molti dei riconoscimenti siano privi di qualsiasi impegno a imporre conseguenze concrete contro Israele: nessuna sospensione degli accordi commerciali, nessuna leva decisiva, nessuna seria pressione per consentire l’accesso umanitario, nessuna tempistica chiara per il cessate il fuoco o la ricostruzione. In molti casi, il riconoscimento è accompagnato da riserve – sulle riforme della governance nell’Autorità Nazionale Palestinese, sul disarmo di Hamas, su condizionalità che potrebbero essere impossibili da soddisfare date le realtà militari e politiche sul campo.
I recenti riconoscimenti della Palestina da parte delle nazioni occidentali ed europee rappresentano un notevole cambiamento diplomatico: conferiscono alla Palestina maggiore legittimità, rafforzano la soluzione dei due stati e aumentano la pressione su Israele nei consessi internazionali. Tuttavia, queste iniziative rischiano di essere più simboliche che trasformative se non sono accompagnate da azioni concrete.
In definitiva, il riconoscimento è necessario, ma ben lungi dall’essere bastevole. Il suo vero valore non sarà misurato dalle dichiarazioni nelle aule delle Nazioni Unite, ma da ciò che accadrà sul campo: se la violenza diminuirà, se l’accesso umanitario migliorerà, se si verificheranno riforme di governance e se Israele e i suoi alleati risponderanno con i fatti, non solo con le parole.
