
di Binoy Kampmark, orientalreview.su, 23 settembre 2025 — Traduzione a cura di Old Hunter
“Fedele all’impegno storico del mio Paese nei confronti del Medio Oriente per la pace tra israeliani e palestinesi, ecco perché dichiaro oggi che la Francia riconosce lo Stato di Palestina”. Così ha dichiarato il Presidente Emmanuel Macron agli oltre 140 leader presenti all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite il 22 settembre. Ha inoltre dichiarato che “dobbiamo fare tutto il possibile per preservare la possibilità di una soluzione a due Stati”.
Il 21 settembre, Regno Unito, Canada, Australia e Portogallo avevano riconosciuto in modo analogo lo Stato palestinese. L’intenzione era chiara: resuscitare la moribonda soluzione dei due Stati, a lungo confinata agli impresari di pompe funebri della diplomazia. Per il Primo Ministro britannico Sir Keir Starmer, la decisione era stata motivata, in larga misura, dal “bombardamento incessante e crescente del governo israeliano su Gaza, dall’offensiva delle ultime settimane” e dalla continua carestia e devastazione.
Il Primo Ministro canadese Mark Carney nutriva grandi speranze per il gesto del suo Paese. “Il Canada riconosce lo Stato di Palestina e offre la sua collaborazione per costruire la promessa di un futuro di pace sia per lo Stato di Palestina che per lo Stato di Israele”.
Una dichiarazione congiunta del primo ministro australiano Anthony Albanese e del ministro degli Esteri Penny Wong ha ribadito “l’impegno di lunga data del Paese verso una soluzione a due stati, che è sempre stata l’unica strada per una pace e una sicurezza durature per i popoli israeliano e palestinese”.
Mentre la maggior parte dei paesi in Africa, Asia e Sud America riconosce uno Stato palestinese, gli stati occidentali, per la maggior parte, sono andati a rilento sulla questione, aggrappandosi al presupposto di lunga data che i palestinesi dovessero attendere pazientemente il loro turno una volta che Israele avesse dato il consenso. Gli attacchi del 7 ottobre 2023 di Hamas contro Israele e la guerra di annientamento punitiva e vendicativa condotta a Gaza hanno cambiato la situazione. Riconoscere la Palestina è diventato una questione di ponderato calcolo, un potenziale incentivo per convincere Israele dei meriti di un cessate il fuoco e di un ritorno ai colloqui che avrebbero portato a condizioni di tollerabile coesistenza. Ma sarebbero state imposte anche delle condizioni alla creazione di uno Stato palestinese. Le abitudini delle ex potenze coloniali sono riemerse: uno Stato palestinese sarebbe stato dichiarato, ma solo alle loro condizioni.
Al centro del nuovo appello degli stati che riconoscono la Palestina ci sono vari impegni, alcuni più realistici di altri. L’Autorità Nazionale Palestinese, ad esempio, ha assicurato che le elezioni si terranno in tempi rapidi e che saranno apportate riforme a un’amministrazione corrotta e logora in Cisgiordania. La garanzia data dal leader dell’Autorità Nazionale Palestinese, Mahmoud Abbas, di certificare il disarmo dei militanti e la smilitarizzazione della Striscia di Gaza è qualcosa che non è nella posizione di dare, visto che qualsiasi decisione in tal senso spetterà ad Hamas.
Abbas, nel suo videomessaggio (il suo visto per gli Stati Uniti era stato revocato), ha nuovamente celebrato i necessari riti di dolore e condanna per “l’uccisione e la detenzione di civili, comprese le azioni di Hamas del 7 ottobre 2023”. Ha avvertito che “la resistenza pacifica e popolare a questa brutale occupazione” sarebbe continuata fino alla sua sconfitta. Ha pubblicizzato il fatto che si erano svolte elezioni locali e per istituzioni, federazioni e sindacati, con un tiepido riconoscimento di “un comitato specializzato per lo sviluppo del settore giudiziario in Palestina”. Quanto allo svolgimento di “elezioni generali democratiche”, quella era una questione di competenza di Israele, accusato di averle ostacolate e impedite a Gerusalemme Est.
Le buffe dichiarazioni di riconoscimento non hanno fatto nulla per fermare la metodica distruzione di Gaza City, né per ripristinare i regolari canali di aiuti umanitari. In Israele, il Primo Ministro Benjamin Netanyahu sostiene l’idea che non si debba mai permettere che uno Stato palestinese diventi realtà. “Non accadrà”, ha tuonato, sostenendo che riconoscere una tale entità sarebbe un regalo al terrorismo. “Uno Stato palestinese non verrà istituito a ovest del fiume Giordano”. In linea con i precedenti stati isolati della storia – il Sudafrica dell’apartheid, la Germania nazista e l’Italia fascista – spera che Israele possa sviluppare un’economia con “caratteristiche autarchiche” e diventare una “super Sparta”.
Il leader dell’opposizione israeliana Yair Lapid è meno convinto. Pur condannando il riconoscimento unilaterale di uno Stato palestinese come ricompensa indebita per atti terroristici, è convinto che una diplomazia sobria e sensata avrebbe potuto evitare la questione. “Il governo che ci ha portato il peggior disastro in termini di sicurezza della nostra storia ora ci sta portando anche la più grave crisi diplomatica”, ha scritto in un post infuocato su X.
Sfortunatamente per la causa palestinese, ciò che resta a Gaza City viene raso al suolo, mentre diplomatici e politici si congratulano a New York. L’odioso ambasciatore israeliano all’ONU, Danny Danon, ha parzialmente ragione nel definire “vuote” le recenti dichiarazioni. Il ministro delle Finanze israeliano Bezalel Smotrich chiarisce la situazione in tono beffardo: “I giorni in cui la Gran Bretagna e altri paesi vorrebbero determinare il nostro futuro sono finiti, il mandato è finito e l’unica risposta alla mossa anti-israeliana è la sovranità sulla patria in Giudea e Samaria e l’eliminazione definitiva dall’agenda dell’idea folle di uno stato palestinese”.
