
E’ scomparso a 88 anni lo scrittore e poeta albanese Ismail Kadaré, uno dei Grandi che ci ha donato la storia e l’immagine della sua terra. Nei “Tamburi della pioggia”, il suo romanzo storico forse più conosciuto ambientato nel XV secolo, Kadaré narra della cittadella albanese di Kruja che resiste all’esercito ottomano guidato da Tursun Pascià, e del leggendario eroe Scanderbeg (Giorgio Castriota), che dall’esterno sosteneva la resistenza con assalti notturni e improvvisi ripiegamenti per fiaccare lo sterminato esercito turco. La voce narrante, che racconta l’eroismo, la resistenza, la forza, la sofferenza e la disperazione degli albanesi, è quella degli Ottomani.
Uno dei temi del romanzo è lo scontro tra l’intelligenza strategica di Scanderbeg e la capacità tecnologica degli Ottomani i quali sperimentano contro Kruja il cannone più potente al mondo. “È la prima volta nella storia dell’umanità che vengono impiegati simili cannoni. […] In confronto al loro boato, un terremoto sembrerà una ninnananna.” Una tecnica che spaventa lo stesso Sarugia, l’ingegnere turco inventore della nuova macchina bellica, divenuto obiettore di coscienza e imprigionato perché si era rifiutato di ingrandire le bocche di fuoco “Se lo ingrandiamo ancora […] il cannone diventerà un’arma terribile, che decimerà il genere umano”.
Alla fine, dopo aver provato ad invadere la cittadella attraverso una galleria, ad avvelenarla con topi infetti, a prenderla per sete tagliando l’acquedotto, i turchi si devono arrendere e rimandare all’anno successivo, quando alle prime piogge autunnali risuonano i tamburi della pioggia.
“Ogni primavera […] al rinascere del verde, torneremo in queste regioni. La terrà tremerà sotto i passi delle nostre truppe. Le valli verranno incendiate e tutto ciò che vi cresce o vi erge sarà ridotto in cenere. La prospera economia di questo paese sarà rovinata; e da allora essi pronunceranno la parola ‘turco’ per mettere paura ai bambini. E tuttavia […] se non riusciremo a vincerli questa volta alla nostra prima campagna, alla seconda avremo bisogno del doppio delle forze, e alla terza del triplo. Allora, anche se li vinceremo, non li sottometteremo mai. Attaccandoli, colpendoli senza pietà, irrompendo su di loro con le nostre innumerevoli armate, […] avremo fatto loro, involontariamente, un gran bene. […] Avremo creduto di dare loro la morte mentre con le nostre mani li rendevamo immortali.”
L’unico modo per i turchi di riuscire a battere la resistenza albanese, osserva altrove Kadaré, sarà quello di costruire moschee, introdurre costumi e nomi turchi. Cioè l’invasione culturale. Infatti la guerra non risparmia nessuno, né assediati né assedianti, né vittime né carnefici.
Lasciando le facili allegorie riferite al destino della Palestina o ad altri scenari di guerra, non si può non rimanere storditi dalla campagna mediatica che, post mortem, ci spaccia un Kadaré “anticomunista”. Per il semplice fatto che trasferitosi dopo il 1990 in Francia, si è dichiarato “esule”, ormai estraneo all’esperienza socialista cui aveva contribuito con la ricostruzione di un paese – uscito povero e analfabeta dal conflitto mondiale – facendolo diventare una piccola nazione che poteva garantire casa, istruzione, lavoro e beni essenziali a un popolo che mai li aveva conosciuti prima.
Qualche editore, dopo il 1990, ha affibbiato al Kadaré l’etichetta di “socialdemocratico anticomunista”, perché così si vendeva di più e ormai era bene passare sotto silenzio il contributo dello scrittore all’edificazione del socialismo albanese nell’Unione degli Scrittori e in numerosissimi incontri pubblici, saggi ed articoli.
Senza contare che, benché più volte candidato al Nobel per la letteratura, non ha mai ricevuto il premio proprio perché fino al 1990 è stato lo scrittore più amato e conosciuto dell’Albania socialista anche se in un rapporto “difficile” con la dirigenza comunista. “È quindi del tutto ridicolo che coloro che sempre lo hanno accusato di essere parte – i suoi detrattori l’hanno definito addirittura complice – del socialismo albanese, ora celebrino il grande scrittore “anticomunista.” (1)
E di Kadaré non possiamo dimenticare le pagine infuocate e l’appello pubblicati su L’Unità del 5 giugno 1997 col titolo “L’Albania brucia, salvatela” di cui riporto un breve passo:
“Come tutte le nazioni uscite dal comunismo, l’Albania ha subito un trauma brutale. Invece di far sì che il posto lasciato libero dalla morale implacabile ed obliqua del comunismo fosse occupato da un’etica di un livello superiore, si è verificato l’inverso: quel vuoto è stato colmato dall’amoralità. Come per reazione alla miseria, alle impostazioni e all’idealismo quale inganno ottico del comunismo, ci si è abbandonati a una rabbia materialista e a una corruzione senza precedenti. Questa febbre materialista si è diffusa dappertutto, ha quasi acquistato le sembianze del nuovo ordine democratico. Come se gli albanesi non aspirassero che a recuperare il tempo perduto, ad arricchirsi con tutti i mezzi.”
(1) Dal necrologio di Davide Rossi, Direttore ISPEC – Istituto di Storia e filosofia del Pensiero Contemporaneo. https://ispec.jimdofree.com/.
Di Davide Rossi segnalo anche ”Letteratura albanese. Realismo socialista 1945-1990”, Pgreco editore, 2016