
Gilbert Doctorow per gilbertdoctorow.com 2024/10/08/ – Traduzione a cura di Old Hunter
Guardate l’edizione odierna di “Dialogue Works” con il conduttore Nima Alkhorshid: https://www.youtube.com/watch?v=4l6yhN3Uq8Q
Sono lieto che la nota dissonante che ho lanciato la scorsa settimana in onda su due canali online di politica estera molto seguiti abbia trovato eco e abbia portato molte voci diverse nella discussione, sia su Internet che, per così dire, ai tavoli delle cucine.
La scintilla è stata il mio denigrare l’idea che sia la lobby di Israele a determinare la politica estera degli Stati Uniti in Medio Oriente, mentre la regione si avvicina a una guerra totale.
I media alternativi, che come gruppo si oppongono a ciò che la massa crede dei discorsi di Washington, hanno la stessa umana debolezza di comportarsi a loro volta in modo gregario e di risentirsi per qualsiasi sfida a ciò che i più noti esperti e opinionisti tra a loro stanno dicendo.
Sia pure così, ma né la Verità né la comprensione possono emergere da mandrie rumoreggianti.
In quel che segue, intendo andare oltre la semplice discussione se sia il cane (gli Stati Uniti) a scodinzolare la coda (Israele) nella furia omicida dello Stato ebraico lì accanto, o se sia la coda a far scodinzolare il cane.
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Negli ultimi giorni ho ricevuto numerosi commenti sulle mie piattaforme web e tramite e-mail inviate al mio indirizzo Yahoo che forniscono un sostegno sostanziale alla mia affermazione secondo cui gli americani stanno di fatto usando Israele per combattere una guerra per procura contro l’Iran e i suoi proxi Hezbollah e Hamas in Medio Oriente, in un modo molto simile a quello in cui Washington sta usando l’Ucraina per muovere guerra a distanza e in modo innegabile alla Russia dotata di armi nucleari.
Uno scrittore mi ha segnalato uno studio del 2007 condotto da una sussidiaria della Brookings Institution, il più elevato think tank del Partito Democratico. Questo lungo documento ha esaminato quali potrebbero essere le opzioni politiche per ulteriori relazioni con l’Iran. La più allettante di queste è stata esposta a pagina 89 e seguenti, spiegando come e perché Israele dovrebbe essere lo strumento utilizzato per distruggere le installazioni nucleari iraniane. Forse Donald Trump aveva letto queste pagine prima di fare le sue raccomandazioni sullo stesso argomento un giorno fa.
Un altro scrittore mi ha segnalato un’apparizione a “Dialogue Works” la scorsa settimana di Michael Hudson, che era stato assistente negli anni ’70 di Herman Kahn, l’autore di Thinking about the Unthinkable, un libro che suggeriva che una guerra nucleare poteva essere vinta. Si diceva che Kahn fosse il modello per il Dottor Stranamore nel film omonimo. Circolava molto in alto nelle deliberazioni politiche degli Stati Uniti e Hudson era al suo fianco.
In questa intervista, Hudson ha spiegato come la decisione di usare i proxy per combattere le sue guerre sia stata presa dai principali decisori statunitensi come risultato delle lezioni della fallita guerra del Vietnam: i capovolgimenti sul campo di battaglia avevano portato a una destabilizzazione politica in patria, costringendo Lyndon Johnson ad abbandonare la sua candidatura alla rielezione. Una seconda decisione presa nello stesso periodo, ma non menzionata in questa intervista, è stata quella di abbandonare la leva obbligatoria in favore di un “esercito professionale” più piccolo. Il risultato netto di tali politiche proposte sarebbe diventato evidente a partire dal 1991, quando il crollo dell’Unione Sovietica lasciò gli Stati Uniti con le mani libere per rifare il mondo e si imbarcò in guerre senza fine che non costarono nulla in sangue alla cittadinanza americana, poiché le guerre per procura sarebbero state combattute dai nostri alleati, e nulla in denaro, poiché sarebbero state pagate con buoni del Tesoro acquistati dai cinesi e da altri stranieri.
Un altro commentatore mi ha suggerito di guardare un’intervista rilasciata la settimana scorsa dal colonnello Wilkerson, ex capo dello staff del Segretario di Stato Colin Powell. Wilkerson circolava ai massimi livelli del governo federale coinvolti nella politica estera e militare. Quando gli è stato chiesto cosa pensasse del mio suggerimento che gli Stati Uniti stiano usando Israele come loro proxi piuttosto che farsi guidare da Israele, Wilkerson ha detto che questa visione non caratterizza l’intero governo federale ma che tali visioni esistono al suo interno, in particolare nella cerchia dei neoconservatori precedentemente guidata dal Segretario di Stato Assistente Victoria Nuland. Ha continuato dicendo che molti di questi neoconservatori ricoprono ancora posizioni di responsabilità.
Questo autorevole commento che ha parzialmente giustificato la mia argomentazione mi ha fatto riflettere e alla fine sono giunto alla conclusione che ci sono almeno due fazioni principali al livello decisionale del governo odierno per quanto riguarda la politica estera e militare. Mettiamo da parte le etichette “neoliberali” o “neoconservatori” perché possono essere fonte di confusione e incoerenti. Invece parliamo in termini che quasi tutti riconosceranno immediatamente e distintamente: coloro che sostengono una politica estera “guidata dai valori” contro coloro che sostengono una politica estera “guidata dagli interessi”. I primi sono solitamente identificati dagli accademici come idealisti wilsoniani, i secondi come “realisti” o praticanti della “realpolitik”. I primi oggi sono Tony Blinken e gli altri i portavoce del Dipartimento di Stato e della sicurezza che forniscono quotidianamente disinformazione alla stampa. I secondi sono nascosti nei loro uffici dove tirano le leve del potere.
Questa biforcazione tra idealisti e realisti può essere fatta risalire ai fondatori della Repubblica, ma si è evoluta sostanzialmente nel tempo prima di raggiungere le forme che vediamo oggi. Nelle università americane, penso che gli idealisti wilsoniani superino di gran lunga i realisti, che detengono solo pochissimi bastioni, di cui il più notevole è l’Università di Chicago. È lì che Hans Morgenthau ha tenuto discorsi per molti decenni dopo la seconda guerra mondiale e dove il professor John Mearsheimer tiene discorsi oggi.
L’acquisizione del campo da parte degli idealisti wilsoniani ha avuto un impatto tragico sulla preparazione di una generazione di giornalisti e diplomatici americani. Questo perché il principio di base della scuola idealista è che le persone sono le stesse ovunque e non c’è una ragione particolare per studiare le lingue o la storia di paesi diversi. Ciò ha portato a un deprezzamento del curriculum per gli studi di area presso le principali università statunitensi come Harvard e Columbia, dove la conoscenza specifica del paese è sostituita da competenze quantitative che saranno meglio apprezzate dai datori di lavoro nel settore bancario o dalle ONG internazionali dove gli studenti potrebbero andare dopo la laurea.
Tra l’altro, l’idea che le persone siano essenzialmente le stesse ovunque e che i fattori culturali possano essere cancellati o ignorati si adatta molto bene al pensiero della fine della storia, così abilmente esposto da Francis Fukuyama, pensatore fondamentale dei neoconservatori all’inizio degli anni Novanta.
Dall’altro lato dell’equazione, i realisti troppo spesso non prendono realmente possesso di conoscenze fattuali sulle regioni del mondo di cui parlano così disinvoltamente. Sebbene sia impossibile essere un vero esperto di tutte le diverse regioni del mondo con il vasto numero di lingue diverse, ciò non impedisce ai professori di relazioni internazionali di dilungarsi su uno qualsiasi dei paesi di cui si parla oggi nelle notizie.
Gilbert Doctorow, 2024
