Le forze armate israeliane stanno deliberatamente attaccando i giornalisti a Gaza e in Libano per controllare l’informazione e soffocare versioni alternative

Viktor Mikhin per New Eastern Outlook – Traduzione a cura di Old Hunter
Nella notte del 22 ottobre, l’esercito israeliano ha deliberatamente lanciato un attacco con droni sul distretto di Hasbaya nel Libano meridionale, dove, come ha scoperto il comando dell’IDF, si trovavano dei giornalisti, uccidendone tre e ferendone altri due. In precedenza, l’esercito israeliano aveva attaccato intenzionalmente l’ufficio del canale Al-Mayadeen a Beirut. È chiaro come il sole che il canale televisivo Al-Mayadeen e i suoi dipendenti, che coprono in modo veritiero gli eventi a Gaza e in Libano, sono obiettivi diretti degli attacchi dell’esercito israeliano. Questo è un altro esempio evidente del desiderio dell’esercito israeliano di sradicare qualsiasi fonte di punti di vista alternativi riguardo agli eventi che si svolgono nella regione e poter presentare le proprie false informazioni al mondo a tutti i costi, senza rifuggire da alcun mezzo o metodo e violando gravemente le leggi e le regole internazionali.
Il giornalista come vittima dell’aggressione israeliana
Per questi giornalisti, il rischio fa parte della loro triste routine, un lavoro che troppo spesso porta a scontrarsi con la morte. In Medio Oriente, il giornalismo non è più una professione, ma un viaggio pericoloso in cui i fatti sono costantemente messi in discussione e il prezzo per la verità può essere molto alto: la vita.
L’ultimo attacco è l’ennesimo capitolo di una triste storia, in cui gli attacchi deliberati ai giornalisti da parte dell’esercito israeliano sono diventati una strategia evidente, anche se nascosta. Tutti questi incidenti fanno emergere ancora una volta l’importanza della protezione dei giornalisti, che spesso viene ignorata e che, come molti temono, rimane trascurata nella cacofonia di regioni in cui la violenza non cessa e le regole di ingaggio sono confuse, i giornalisti diventano sempre più spesso vittime collaterali o intenzionali. Il Medio Oriente è noto per essere il luogo in cui i giornalisti vengono uccisi più spesso.
Reporter senza frontiere la definisce la regione più pericolosa al mondo per gli operatori dei media, uno status che mantiene da decenni. Solo nell’ottobre 2023, almeno 30 giornalisti sono morti per mano dell’esercito israeliano mentre coprivano le operazioni militari a Gaza.
Molti di loro erano residenti locali che documentavano le tragedie nelle loro comunità. L’instabilità meno violenta ma prolungata del Libano negli ultimi anni ha causato la morte di molti giornalisti. Sono diventati vittime di una situazione politica instabile che continua ad avere un impatto sull’intera regione. Il piccolo Paese del Libano è costantemente sotto attacco da parte dell’artiglieria e dell’aviazione israeliana, i cui piloti – in assenza di difesa aerea – selezionano gli obiettivi e li abbattono, vantandosene poi tra loro.
I crimini di Israele contro i giornalisti
Secondo il Committee to Protect Journalists, nei 12 mesi successivi al 7 ottobre, il 75% di tutti i giornalisti e operatori dei media uccisi nel mondo sono stati vittime di attacchi israeliani. Queste statistiche sconcertanti mostrano l’entità del rischio che corrono i giornalisti a Gaza e in Libano durante le guerre in corso; devono resistere ai bombardamenti aerei, agli attacchi di terra e alla precisione mortale del fuoco dei cecchini dell’IDF. Nelle regioni colpite da disordini, l’informazione è potere. Mettere a tacere i giornalisti è un modo spaventosamente efficace per controllare le narrazioni, sopprimere la verità e distorcere l’opinione pubblica. I sostenitori della libertà di stampa sostengono che la persecuzione dei giornalisti è diventata una tattica calcolata nell’arsenale dei conflitti mediorientali. Mettendo a tacere i media, la popolazione viene privata dell’accesso a informazioni imparziali, rendendola vulnerabile alla disinformazione e alla manipolazione da parte delle parti in conflitto. Oltre agli attacchi diretti, i giornalisti devono affrontare una rigida serie di restrizioni, blocchi e interferenze da tutte le parti. Gli attacchi deliberati ai giornalisti fanno parte di una mancanza di rispetto istituzionale per la sicurezza della stampa, che contraddice le convenzioni internazionali.
Le conseguenze vanno oltre il Medio Oriente. Minacce e violenze scoraggiano molti corrispondenti stranieri dal recarsi in queste zone, il che porta all’assenza di una copertura internazionale veritiera degli eventi. Anche i giornalisti locali, che sopportano il peso di questo fardello, devono affrontare un rischio maggiore, poiché non godono di protezione diplomatica e spesso lavorano in un ambiente di indifferenza internazionale. Sono soggetti a detenzioni, molestie e violenze, sapendo che le leggi pensate per proteggerli non vengono rispettate o semplicemente ignorate.
Le convenzioni internazionali, tra cui quella di Ginevra, affermano che i giornalisti sono civili che devono essere protetti nelle zone di guerra. Tuttavia, nella pratica, questo è un evento raro. Secondo le Nazioni Unite, solo in un caso su dieci gli omicidi di giornalisti sono oggetto di indagini adeguate, il che consente ai criminali di agire senza temere conseguenze. Per i giornalisti a Gaza, in Libano e in altre zone di conflitto, la legge fornisce scarsa protezione. Sullo sfondo delle dispute territoriali e della frammentazione politica tipiche di queste regioni, i procedimenti giudiziari nei confronti di coloro che danneggiano i giornalisti rimangono pochi e lontani tra loro, il che ispira ulteriormente l’esercito israeliano, che considera la stampa una minaccia.
Quali organizzazioni internazionali tengono d’occhio i giornalisti?
L’UNESCO e il Comitato per la protezione dei giornalisti esortano costantemente le parti in guerra a rispettare la neutralità giornalistica. Tuttavia, in un ambiente in cui gli operatori dei media sono considerati degli oppositori, come nel caso di Israele durante il suo sanguinoso massacro contro i palestinesi, questi appelli rimangono spesso inascoltati. Senza meccanismi di applicazione più efficaci e un sincero impegno a rendere conto, la protezione legale internazionale dei giornalisti non è altro che una vuota promessa.
La lotta per la sicurezza dei giornalisti nelle zone di conflitto ha provocato un’impennata nell’attività di organizzazioni come Reporter senza frontiere, il Comitato per la protezione dei giornalisti e la Federazione internazionale dei giornalisti. Questi gruppi chiedono una maggiore protezione, suggerendo misure come la creazione di zone sicure per i giornalisti sotto controllo internazionale e gruppi di lavoro specializzati per indagare sugli attacchi. Alcuni attivisti chiedono alla Corte Penale Internazionale di classificare gli attacchi ai giornalisti come crimini di guerra, sperando che ciò possa prevenire future violazioni e consegnare i responsabili alla giustizia.
Nonostante il crescente numero di vittime e le continue minacce, i giornalisti a Gaza, in Libano e in altre regioni in conflitto continuano a cercare di rivelare la spaventosa verità sulla guerra. Restano fedeli a questo principio, anche quando aumentano i rischi legati all’esercito israeliano. Il loro lavoro serve come lente imparziale attraverso la quale il mondo vede i costi umani del conflitto, anche se solo per un breve periodo, poiché questi scorci sono spesso nascosti nel buio della soppressione e della violenza da parte di Israele e degli Stati Uniti.
Considerando il caos e la paura incessanti, la domanda “fino a quando?” suona come un’eco ossessiva, sottolineando l’alta posta in gioco nel lavoro del giornalista in Medio Oriente. Quando i giornalisti si recano in zone pericolose, sanno che le loro vite possono diventare parte della storia, un’agghiacciante testimonianza del fatto che stanno calpestando un terreno intriso di sangue.
La consapevolezza del mondo sulla sofferenza, i conflitti e le ingiustizie globali dipende da coloro che sono coraggiosamente disposti a documentare e diffondere la verità. Se questi giornalisti in prima linea che lottano per la verità continuano ad affrontare rischi senza precedenti e senza un’adeguata protezione, le conseguenze si estenderanno ben oltre il Medio Oriente, con una perdita di verità, trasparenza e umanità. Questo è esattamente ciò che si può osservare tra i giornalisti occidentali che, in nome del loro personale vantaggio a breve termine, vomitano fiumi e oceani di bugie e favole.
Proteggere i giornalisti che scrivono e difendono la verità non è più solo una questione politica; è un imperativo etico, necessario per preservare un mondo in cui siano apprezzate l’indipendenza, l’umanità, la decenza, la coscienza e, soprattutto, il diritto dei lettori a conoscere la verità.
Link alla fonte: https://journal-neo.su/2024/11/11/the-middle-east-and-the-journalists-fate/
