
di Elijah J. Magnier per il suo ejmagnier.com del 02/05/25 – Traduzione a cura di Old Hunter
Mentre le tensioni si fanno sempre più forti lungo il confine settentrionale di Israele, il lungo conflitto con Hezbollah si è evoluto da uno scontro diretto a una contesa strategica più sottile, combattuta sempre più non solo sui campi di battaglia, ma anche sulle mappe. Il conflitto odierno non è solo una serie di scaramucce transfrontaliere o manovre diplomatiche; è una guerra silenziosa in cui confini ridisegnati, zone cuscinetto e ambiguità calcolate vengono utilizzati per indebolire i movimenti di resistenza e frammentare gli stati nemici. Sebbene non dichiarate, le sue conseguenze stanno già rimodellando il Libano meridionale e una Siria in disgregazione.
Le uccisioni mirate israeliane di agenti e depositi di armi di Hezbollah continuano senza sosta. Dopo aver cancellato le precedenti linee rosse e regole d’ingaggio, Israele ora opera liberamente sul territorio libanese, violando sistematicamente sia il cessate il fuoco che la Risoluzione 1701 del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite. Queste azioni militari, apertamente sostenute dagli Stati Uniti, completano la più ampia offensiva strategica di Israele: uno sforzo su più fronti per indebolire le capacità di Hezbollah senza innescare una guerra su vasta scala.
Questa strategia si estende ora oltre il Libano, fino alla Siria, dove i recenti attacchi israeliani hanno imitato le tattiche libanesi. Nel giro di 24 ore, le forze israeliane hanno colpito nei pressi del palazzo presidenziale a Damasco – un’escalation simbolica – seguita da ulteriori attacchi a Suweida e nella capitale siriana, prendendo di mira i responsabili della sicurezza locale. Questi schemi rispecchiano le operazioni in corso in Libano e alzano la posta in gioco per l’intera regione.
La campagna di Israele privilegia la divisione e il contenimento rispetto all’escalation diretta, puntando a riscrivere la sceneggiatura regionale sfruttando l’instabilità siriana. La caduta di Bashar al-Assad e l’ascesa di una fragile autorità di transizione sotto la guida di Ahmad al-Sharaa offrono una rara opportunità.
Attraverso una combinazione di manovre cartografiche, attacchi di precisione e leva diplomatica, Israele sta lavorando per minare la legittimità territoriale di Hezbollah, portando avanti nel contempo il suo obiettivo di lunga data di ridisegnare i confini della Siria a proprio vantaggio.
Il conflitto con Hezbollah si sta ora svolgendo nel regno delle mappe e dei confini legali. Con il mutare delle alleanze e la caduta dei regimi, ridisegnare i confini è diventato un’arma geopolitica, non solo un processo burocratico. Le battaglie cartografiche definiscono sempre più legittimità e deterrenza in Medio Oriente.
L’autorità transitoria di Ahmad al-Sharaa apre nuove opportunità a Israele per influenzare la divisione del territorio tra Libano e Siria, soprattutto nelle aree contese che Hezbollah rivendica come territorio libanese occupato. Israele sta promuovendo una demarcazione dei confini che sposta in modo sottile queste zone dal Libano alla Siria, rimodellando così il contesto giuridico e politico a proprio favore.
Prendiamo ad esempio le fattorie di Shebaa: il Libano le considera territorio libanese sotto occupazione israeliana, mentre Israele le considera territorio siriano conquistato nel 1967. Se la nuova leadership siriana, sotto pressione o persuasione, le accettasse come territorio siriano e non ne rivendicasse la proprietà, ciò minerebbe la tesi del Libano e di Hezbollah a favore della resistenza armata. Questa riclassificazione potrebbe indebolire la pretesa di legittimità di Hezbollah come movimento di resistenza.
Questa è più di una questione semantica. Israele sta tentando di riformulare Hezbollah come una milizia sostenuta dall’estero che opera al di fuori di un mandato nazionale, trasformando l’immagine del gruppo da difensore della sovranità a attore politicamente motivato che prolunga il conflitto. Questa narrazione indebolisce il sostegno interno e internazionale di Hezbollah, in particolare tra le parti che cercano nuove alleanze regionali. La finalizzazione dei confini sotto la nuova leadership siriana è quindi doppiamente strategica: rimuove l’ambiguità su cui Hezbollah fa affidamento per giustificare le sue armi e riduce le aree in cui può rivendicare un mandato difensivo.
In breve, confini più chiari significano una resistenza diluita. Storicamente, Israele ha trovato la Siria più facile da dividere e sottoporre a pressione rispetto al Libano. Mentre la presenza di Hezbollah in Libano è radicata, la Siria post-Assad è un obiettivo più sfruttabile. Israele sta consolidando la sua presa sulle alture del Golan, sul Monte Hermon e su parti di Sweida, Quneitra e Daraa. Affermando di difendere i drusi, Israele sta attaccando i convogli e impedendo la mobilitazione delle forze in queste regioni, usando pretesti umanitari per espandere la sua presenza strategica.
Nel frattempo, il ritiro delle forze curde nella Siria nordorientale dai colloqui di riunificazione con Damasco segnala un’ulteriore disintegrazione nazionale. La divisione del governo curdo mina qualsiasi percorso verso una sovranità centralizzata, un risultato che Israele vede come un’opportunità per consolidare la propria profondità strategica.
Gli scontri in tutta la Siria ora coinvolgono le forze di al-Sharaa e diverse fazioni – curdi, alawiti e drusi – con migliaia di vittime, secondo quanto riferito, nelle ultime settimane. La violenza settaria è riemersa in zone druse come Sahnaya, Ashrafieh e Jaramana. Lo sceicco Hikmat al-Hijri, leader spirituale dei drusi siriani, ha accusato il governo ad interim di “massacri settari in stile ISIS” e ha chiesto un intervento internazionale. Questo dissenso interno sottolinea la crescente frattura in Siria, che si sposa con gli obiettivi strategici di Israele.
I leader israeliani hanno parlato apertamente di queste ambizioni. Il Ministro delle Finanze Bezalel Smotrich ha affermato che “Israele non fermerà i suoi sforzi finché la Siria non sarà smantellata e Gaza svuotata dei palestinesi”. Ci sono anche segnalazioni di pressioni israeliane a Washington per una Siria divisa con enclave etniche smilitarizzate vicino al confine israeliano – piani che il nuovo presidente siriano, al-Sharaa, ha respinto. Anche funzionari del Ministero degli Esteri israeliano, tra cui Gideon Sa’ar, hanno parlato di un cambio di regime in Siria come di un risultato necessario.
In questo vuoto di controllo statale nella Siria meridionale e nel Libano orientale, Israele sta creando zone cuscinetto e lanciando attacchi preventivi per contrastare Hezbollah e l’influenza iraniana. Questa strategia a due punte – militare sul terreno, diplomatica nella sala delle mappe – mira a minare la profondità strategica e la geografia operativa di Hezbollah.
Hezbollah riconosce questa minaccia. I recenti discorsi dei suoi leader riflettono la preoccupazione per una “guerra morbida” che colpisca sia i confini che la legittimità della resistenza. Il gruppo è consapevole che qualsiasi accettazione da parte del Libano di mappe riviste che minimizzino l’occupazione israeliana potrebbe minare i suoi fondamenti ideologici e legali.
L’élite politica libanese rimane divisa. Alcuni sostengono la demarcazione come un atto di sovranità; altri avvertono che si tratta di una trappola per isolare Hezbollah. Per gli Stati Uniti e i loro alleati, sostenere questo riorientamento – presentato come stabilizzazione – consente di raggiungere obiettivi strategici, limitando le rivendicazioni territoriali di Hezbollah senza uno scontro diretto.
La continua applicazione delle sanzioni statunitensi risalenti all’era Assad riflette un impegno costante per mantenere la Siria economicamente paralizzata. Rifiutandosi di revocarle o di finanziare la ricostruzione, Washington e Tel Aviv stanno segnalando che la stabilità a lungo termine in Siria non è una priorità.
In definitiva, questa non è una battaglia solo per il territorio, ma per la legittimità. Gli sforzi di Israele per dettare dove finisce il Libano e inizia la Siria sono un tentativo deliberato di ridefinire chi detiene il diritto di resistere e chi viene etichettato come un attore non autorizzato. È una guerra combattuta non solo con droni e missili, ma attraverso mappe, spartizioni e mandati politici: strumenti per ridisegnare la struttura di potere della regione e rimodellarne i confini. In questa lotta, chiunque controlli la narrazione della mappa non si limita a rivendicare la geografia, ma plasma il futuro del conflitto.