LA TEMPESTA IN OCCIDENTE: IL PARADIGMA INTELLETTUALE LIBERALE È CROLLATO

DiOld Hunter

24 Maggio 2025
Articolo presentato a “Trasformare il mondo: problemi e prospettive”, XXIII Letture scientifiche internazionali Likhachev, Università di scienze umane e sociali di San Pietroburgo, 22-23 maggio 2025

di Alastair Crooke per conflictsforum.substack.com    —    Traduzione a cura di Old Hunter

L’anno scorso a San Pietroburgo, mi sono chiesto: l’Occidente uscirà dalla sua guerra culturale come un partner potenziale più accomodante? O si disgregherà e ricorrerà alla bellicosità nel tentativo di tenere insieme le cose? [1]

Bene, questo è stato allora. La “controrivoluzione” è ora in corso sotto forma di “Tempesta” Trump. E l’Occidente è già a pezzi: il Progetto Trump sta mettendo a soqquadro l’America – e in Europa regnano crisi, disperazione e furia per rovesciare Trump e “tutte le sue opere”.

È questa dunque la “cosa”? La rivolta anticipata contro l’imposizione culturale “progressista”?

No. Questa non è la portata dei cambiamenti striscianti e fragorosi in corso negli Stati Uniti. Questi stanno provocando cambiamenti politici ben più complessi. Non sarà una cortese questione tra rossi blu. Perché c’è ancora un’altro colpo di scena che deve accadere, oltre alla rivoluzione MAGA.

La vera azione negli Stati Uniti non si svolge nei seminari della Brookings University o negli editoriali del New York Times. Si svolge dietro le quinte, lontano dagli occhi, lontano dalla portata della buona società e per lo più fuori copione. L’America sta attraversando una trasformazione più simile a quella che colpì Roma nell’età di Augusto.

Vale a dire che l’evento principale è il crollo di un paralitico ordine élitario e il conseguente sviluppo di nuovi progetti politici.

Il crollo del paradigma intellettuale del liberalismo globale – le sue illusioni e la relativa struttura tecnocratica di governance – trascende lo scisma rosso/blu in Occidente. La totale disfunzionalità associata alle guerre culturali occidentali ha evidenziato la necessità di un cambiamento nell’intero approccio alla governance economica.

Per trent’anni Wall Street ha venduto una fantasia, e quell’illusione si è appena infranta. La guerra commerciale del 2025 ha svelato la verità: la maggior parte delle principali aziende statunitensi è stata tenuta insieme con il nastro adesivo da catene di approvvigionamento fragili, energia a basso costo e manodopera straniera. E ora? Tutto sta crollando.

Per dirla con franchezza, le élite liberali hanno semplicemente dimostrato di non essere competenti o professionali in materia di governance. E non comprendono la gravità della situazione che si trovano ad affrontare: l’architettura finanziaria che un tempo produceva soluzioni facili e prosperità senza sforzi è ormai superata.

Il saggista e stratega militare Aurelien ha scritto in un articolo intitolato La strana sconfitta (originale in francese) [2], dove la «sconfitta» consiste nella «curiosa» incapacità dell’Europa di comprendere gli eventi mondiali:

“…ovvero la dissociazione quasi patologica dal mondo reale che [l’Europa] mostra nelle sue parole e azioni. Eppure, anche se la situazione peggiora… non c’è alcun segno che l’Occidente stia diventando più realista nella sua comprensione – ed è molto probabile che continuerà a vivere nella sua costruzione alternativa della realtà – finché non verrà espulso con la forza”.

Sì, alcuni capiscono che il paradigma economico occidentale del consumismo iperfinanziarizzato e indebitato ha fatto il suo corso e che il cambiamento è inevitabile; ma sono così profondamente coinvolti nel modello economico anglosassone che rimangono paralizzati nella ragnatela. “Non c’è alternativa” (TINA) è la frase d’ordine.

Pertanto, l’Occidente si trova continuamente sfavorito e deluso quando ha a che fare con stati che almeno si sforzano di guardare al futuro in modo organizzato.

L’Occidente è in crisi, ma non nel senso in cui la pensano i progressisti o i tecnocrati burocrati. Il suo problema non è il populismo, la polarizzazione o qualsiasi altra “questione di attualità” scelta nei talk show dei media tradizionali. La piaga più profonda è strutturale: il potere è così diffuso e frammentato che nessuna riforma significativa è possibile. Ogni attore ha potere di veto e nessuno può imporre coerenza. Il politologo Francis Fukuyama ci ha dato il termine per questo: “vetocrazia”, ​​una condizione in cui tutti possono bloccare, ma nessuno può costruire.

Il commentatore americano Matt Taibbi osserva:

“In senso più ampio, semplicemente, abbiamo una crisi di competenze in questo Paese. Ha avuto un impatto enorme sulla politica americana” [3].

In un certo senso, la mancanza di connessione con la realtà – con la competenza – è radicata nell’attuale neoliberismo globale. In parte, ciò può essere attribuito al celebre messaggio di “La via della schiavitù” di Friedrich von Hayek, secondo cui l’interferenza del governo e la pianificazione economica portano inevitabilmente alla servitù della gleba. Il suo messaggio viene regolarmente trasmesso, ogni volta che si parla della necessità di un cambiamento.

Il secondo punto (mentre Hayek combatteva contro gli spettri di quello che lui chiamava “socialismo”) era quello degli americani che siglavano come “unione” con la Scuola di monetarismo di Chicago, il cui figlio sarebbe stato Milton Friedman, che avrebbe scritto l'”edizione americana” di La via della schiavitù, che (ironicamente) sarebbe stata intitolata Capitalismo e libertà.

L’economista Philip Pilkington scrive che l’illusione di Hayek secondo cui i mercati equivalgano a “libertà” si è diffusa al punto da saturare completamente ogni discorso. In buona compagnia e in pubblico, si può essere certamente di sinistra o di destra, ma si sarà sempre, in una forma o nell’altra, dei neoliberisti – altrimenti semplicemente non si avrà accesso al dibattito.

“Ogni paese può avere le sue peculiarità, ma in linea di principio seguono tutti uno schema simile: il neoliberismo guidato dal debito è prima di tutto una teoria su come riprogettare lo Stato al fine di garantire il successo del mercato – e quello dei suoi partecipanti più importanti: le moderne imprese”  [4].

Eppure, l’intero paradigma (neo)liberista si fonda su questa nozione di massimizzazione dell’utilità come pilastro centrale (come se le motivazioni umane fossero definite riduttivamente in termini puramente materiali). Postula che la motivazione sia utilitaristica – e solo utilitaristica – come sua illusione fondante. Come hanno sottolineato filosofi della scienza come Hans Albert, la teoria della massimizzazione dell’utilità esclude a priori la mappatura del mondo reale, rendendola così indimostrabile [5]

La sua illusione risiede nel rendere il benessere dell’uomo e della comunità subordinato ai mercati e presume che l’eccesso di “consumi” sia una compensazione sufficiente per l’intrinseco vassallaggio. Questo atteggiamento è stato portato all’estremo con Tony Blair, il quale ha affermato che, ai suoi tempi, la politica non esisteva. Come Primo Ministro, ha presieduto un gabinetto di esperti tecnici, oligarchi e banchieri, la cui competenza ha permesso loro di guidare lo Stato con precisione. La politica era finita; lasciatela ai tecnocrati.

Il governo conservatore britannico eletto nel 1979 decise quindi – anziché imitare i concorrenti di successo della Gran Bretagna e fare l’opposto di ciò che avevano fatto – di affidarsi essenzialmente alla magia. “Quindi, tutto ciò che il governo doveva fare era creare il giusto ambiente magico (basse tasse, poche regolamentazioni) e che gli “spiriti animali” degli imprenditori avrebbero spontaneamente fatto il resto, attraverso la “magia” (interessante scelta di parole, questa) del “mercato”. Il mago, tuttavia, una volta evocati questi poteri, avrebbe dovuto assicurarsi di tenersi ben lontano dai suoi meccanismi”, come ha scritto Aurelien  [6].

Le idee furono mutuate dalla sinistra americana, ma il cosmopolitismo le diffuse in tutta Europa.

“L’ossessione anglosassone (ora più ampiamente occidentale) per gli archetipi degli imprenditori eroici e degli studenti che hanno abbandonato gli studi ha oscurato il fatto storico che nessuna industria significativa e nessuna tecnologia chiave sono mai state sviluppate senza un certo livello di pianificazione e di incoraggiamento da parte del governo”  [7].

Chiaramente, tali sistemi di idee liberali globaliste sono ideologici (se non magici), piuttosto che scientifici. E un’ideologia, quando non sarà più efficace, in futuro verrà sostituita da un’altra.

La lezione da trarre da questo è che quando uno stato diventa incompetente, alla fine sorge qualcuno che lo governi. Non per consenso, ma con la coercizione. Una cura storica per questa sclerosi politica non è il dialogo o il compromesso; è ciò che i Romani chiamavano proscrizione: una purga formalizzata. Silla lo sapeva. Cesare la perfezionò. Augusto la istituzionalizzò. Prendete gli interessi delle élite, negate loro risorse, spogliateli delle proprietà e costringeteli all’obbedienza… o peggio!

Come ha previsto il critico politico e culturale statunitense Walter Kirn:

Quindi, guardando al futuro, la domanda è: cosa vorranno le persone? A cosa daranno valore? A cosa daranno valore? Le loro priorità cambieranno? Penso che cambieranno radicalmente…

“[Gli americani] Prevedo che vorranno preoccuparsi meno delle questioni filosofiche e/o persino politiche a lungo termine di equità e così via; e vorranno invece avere un’aspettativa minima di competenza. In altre parole, questo è un momento in cui le priorità cambiano e credo che un grande cambiamento sia in arrivo: un grande, grande cambiamento, perché sembra che abbiamo affrontato problemi di lusso, e certamente abbiamo affrontato i problemi di altri Paesi, l’Ucraina o chiunque altro, con finanziamenti ingenti” [8].

Cosa ne pensa Bruxelles di tutto questo? Assolutamente nulla. La tecnocrazia dell’UE è ancora affascinata dall’America degli anni di Obama, una terra di soft power, politiche identitarie e capitalismo neoliberista cosmopolita. Sperano (e si aspettano) che l’influenza di Trump venga cancellata alle elezioni di medio termine del Congresso del prossimo anno. Gli strati dominanti di Bruxelles continuano a confondere il potere culturale della sinistra americana con quello politico.

Il conservatorismo americano, a quanto pare, si sta ricostruendo come qualcosa di più rude, più meschino e molto meno sentimentale. Aspira anche a emergere come qualcosa di più centralizzato, coercitivo e radicale. Con molte famiglie negli Stati Uniti e in Europa che sfiorano la bancarotta e il possibile esproprio a causa dell’implosione dell’economia reale, questo segmento della popolazione – che ora include una quota crescente della classe media – disprezza sia gli oligarchi che l’establishment e si sta avvicinando sempre di più a una possibile risposta violenta. A quel punto, la guerra culturale si sposterà dall’arena pubblica al “campo di battaglia” di strada.

L’attuale governo statunitense è legato soprattutto all’antica nozione di grandezza: alla grandezza individuale e al contributo che tale grandezza apporta all’intera civiltà.

L’individuo trasgressivo, ad esempio, gioca un ruolo significativo nelle teorie di Ayn Rand sull’industriale e sul genio (nei suoi romanzi, c’è sempre un forte elemento dell’outsider che è questo [U1] tipo di trasgressore criminale che apporta una nuova misura di energia, che gli insider non possono fornire), scrive il politologo politico Corey Robin [9].

C’è, in breve, un’affinità non poi così segreta tra il conservatorismo populista odierno e il radicalismo. Tuttavia, come sottolinea Emily Wilson nel suo libro, L’Iliade, la perdita di “grandezza raramente” viene facilmente recuperata [10].

Non si può sfuggire all’analogia dell’Iliade con i tempi odierni, in cui Trump cerca di recuperare la “grandezza” del suo Paese (e nel processo di raggiungere un kleos ][una reputazione] personale immortale). Oggi, potremmo definirla la propria “eredità”. Nell’Iliade è determinante e conferisce ai leader mortali la capacità metaforica di superare la morte attraverso l’onore e la gloria.

Tuttavia, non sempre finisce bene: Ettore, il protagonista, anche lui in cerca di kleos, viene ingannato e costretto a combattere viene ucciso sotto le mura di Troia. Trump potrebbe ben capire la morale della storia dell’Iliade.


  1. È possibile un accordo pacifico tra i BRICS e l’Occidente? Alastair Crooke, 22° Convegno Internazionale Likhachev Scientific Readings, Università di Scienze Umane e Sociali di San Pietroburgo, maggio 2024, https://www.lihachev.ru/chten_eng/2024/reports/42_Crooke_en.pdf
  2. Una strana sconfitta. Un fallimento della comprensione in Ucraina, Aurelien, Cercando di capire il mondo, Substack, 20 novembre 2024
  3. “Incendi in California e la crisi di competenza dell’America” ​​(trascrizione), Matt Taibbi e Walter Kirn, Rackett News, Substack , 11 gennaio 2025
  4. Le origini del neoliberismo, parte III – L’Europa e il centro-sinistra cadono sotto l’incantesimo di Hayek, Philip Pilkington, Naked Capitalism, 11 gennaio 2013, https://www.nakedcapitalism.com/2013/01/philip-pilkington-the-origins-of-neoliberalism-part-iii-europe-and-the-centre-left-fall-under-hayeks-spell.html
  5. Hans Albert espande la critica di Robinson alla teoria dell’utilità marginale alla legge della domanda , Philip Pilkington, Fixing the Economists , 27 febbraio 2014, https://fixingtheeconomists.wordpress.com/2014/02/27/hans-albert-expands-robinsons-critique-of-marginal-utility-theory-to-the-law-of-demand/
  6. Credi nella magia? Aurelien, Cercando di capire il mondoSubstack, 1 maggio 2025
  7. Aurelien, 2025, ibid.
  8. Walter Kirn (con Matt Taibbi), gennaio 2025, ibid.
  9. La mente reazionaria: il conservatorismo da Edmund Burke a Sarah Palin, Corey Robin, Oxford University Press, 2011
  10. L’Iliade , traduzione di Emily Wilson, WW Norton & Company, 2023

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