FINE DELL’ILLUSIONE DEI DUE STATI: LA CISGIORDANIA NON ESISTE PIÙ, LA GIORDANIA È NEL MIRINO

DiOld Hunter

22 Luglio 2025
L’annessione della Cisgiordania occupata da parte di Israele ha annientato ogni prospettiva di sovranità palestinese. Ora, con Tel Aviv e Washington che sostengono i piani per scaricare la causa palestinese sulla Giordania, il Regno hashemita si trova ad affrontare la più grave minaccia alla sua stabilità da decenni.

Dal suo corrispondente, thecradle.co, 21 luglio 2025   —   Traduzione a cura di Old Hunter

I governi israeliani che si sono succeduti, siano essi laburisti, il Likud o le loro coalizioni estremiste odierne, non hanno mai considerato la Cisgiordania come terra occupata. All’interno del progetto sionista, non si tratta di un territorio conteso, ma di un diritto divino: “Giudea e Samaria”, nucleo del mito di Eretz Israel

La presenza israeliana non è una necessità militare o una merce di scambio. È il fondamento di una visione coloniale che considera la sovranità palestinese una minaccia da smantellare, non un diritto da riconoscere.

‘Annessione strisciante’ 

Oggi, lo stato di occupazione [Israele] sta attuando la fase più aggressiva di questo progetto con un’annessione silenziosa e continua. Senza dichiararlo formalmente per evitare ricadute diplomatiche mentre il genocidio a Gaza continua, Tel Aviv sta ridisegnando le mappe sul campo. 

Sta espandendo gli insediamenti a un ritmo senza precedenti, costruendo strade di circonvallazione riservate esclusivamente ai coloni ebrei e consolidando l’architettura dell’apartheid nell’Area C, la porzione più grande della Cisgiordania occupata, che comprende oltre il 60% del territorio. Il controllo militare israeliano, sancito dagli Accordi di Oslo del 1993, viene sfruttato per ottenere il pieno dominio territoriale.

Lo stato di occupazione ha sfruttato l’attacco militare del 13 giugno contro l’Iran per intensificare la sua presa sulla Cisgiordania occupata, erigendo nuovi posti di blocco, bloccando l’accesso a villaggi e città palestinesi, intensificando incursioni quotidiane e arresti di massa e limitando gravemente la vita quotidiana di circa 3,2 milioni di palestinesi. La distruzione sistematica delle infrastrutture nei campi profughi ha costretto almeno 40.000 palestinesi a spostarsi negli ultimi mesi: una lenta e silenziosa pulizia etnica che si sta svolgendo nella nebbia della guerra.

Queste tattiche sono rafforzate dalla decisione del governo israeliano dell’11 maggio di avviare una diffusa registrazione delle terre nell’Area C. Pur non essendo ufficialmente etichettato come “Legge di Regolarizzazione”, il “processo di assegnazione delle terre” rispecchia l’intento e la struttura della legislazione del 2017, che legalizza gli avamposti dei coloni e formalizza il furto delle terre palestinesi. 

Questo rinnovato impegno conferisce allo stato occupante la piena autorità di espropriare terre e di rafforzare la propria presa sui territori occupati, sotto l’egida dell’ordine burocratico. 

Parallelamente, le autorità israeliane si sono mosse per rilanciare il piano di insediamento E1, a lungo bloccato nei pressi di Gerusalemme Est occupata, che prevede la costruzione di 3.412 unità abitative per i coloni. Il piano separerebbe Gerusalemme Est occupata dal resto della Cisgiordania occupata e costringerebbe allo sfollamento forzato le comunità beduine come Khan al-Ahmar. 

A fine maggio, il governo israeliano ha inoltre approvato la creazione di 22 nuovi insediamenti illegali in tutta la Cisgiordania occupata e ha legalizzato retroattivamente diversi avamposti di insediamenti già esistenti. Ciò rafforza l’architettura dell’apartheid che si estende da Gerusalemme alla Valle del Giordano. 

L’obiettivo non è un segreto: rimodellare la mappa in modo da rendere un futuro stato palestinese geograficamente e politicamente impraticabile. Si tratta della creazione di una Cisgiordania senza sovranità palestinese, senza contiguità territoriale e senza un futuro stato. In base a questo piano, un’Autorità Nazionale Palestinese (ANP) compiacente governerà gli affari civili sotto il controllo militare israeliano, un’autorità Potemkin senza potere, senza terra e senza dignità.

La Giordania affronta il caldo 

Di fronte a questi sviluppi, la Giordania è forse lo stato confinante più preoccupato. Il Regno hashemita condivide profondi legami storici, geografici e sociali con la Cisgiordania occupata, in particolare durante il periodo dell’unione tra il 1948 e il 1967. Questa storia conferisce ad Amman una particolare sensibilità ai cambiamenti che avvengono al di là del Giordano.

Ciò che desta allarme è tuttavia l’assenza di una posizione seria, chiara e diretta da parte della Giordania sulla crescente minaccia del controllo israeliano sulla Cisgiordania occupata. Le dichiarazioni ufficiali si limitano a generiche obiezioni diplomatiche, prive di una decisa politica di deterrenza o di una mobilitazione strategica.

Il Regno hashemita teme da tempo di essere costretto a svolgere il ruolo di “patria sostitutiva” per i palestinesi. Idee come la “Patria Alternativa” e la confederazione – che mirano a spostare la questione palestinese sul suolo giordano – non sono nuove. Sono riemerse ciclicamente dagli anni ’70, ma oggi appaiono sempre più strutturate come una via alternativa per liquidare la causa palestinese. 

Più di metà della popolazione giordana è composta da rifugiati palestinesi e cittadini di origine palestinese, con profondi legami familiari e nazionali con la Cisgiordania occupata. Qualsiasi tentativo di dissolvere la formula dei due stati senza un’alternativa palestinese sovrana rischia di trasformare la Giordania in una valvola di sfogo demografica. Innescherebbe disordini, costringerebbe alla fuga nuove ondate di palestinesi e comprometterebbe il fragile equilibrio all’interno del regno.

I funzionari giordani hanno costantemente avvertito che i trasferimenti forzati di palestinesi verrebbero considerati atti di guerra. La loro preoccupazione non è ipotetica. I deputati israeliani hanno ripetutamente promosso varianti del piano “La Giordania è Palestina”, in base al quale i palestinesi della Cisgiordania verrebbero sfollati o governati dalla Giordania attraverso una confederazione imposta da Israele e dall’Occidente che assolve Israele da ogni responsabilità. La “Confederazione Giordano-Palestinese” mira ad assegnare alla Giordania il ruolo di amministrare i resti della popolazione palestinese, una volta completato il controllo territoriale da parte di Israele.

Il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha chiarito la sua strategia: i palestinesi possono ricevere autorità amministrativa, ma non sovranità territoriale. Cerca di preservare il controllo israeliano sotto una parvenza di potere delegato, trasformando qualsiasi “autorità” palestinese in una foglia di fico per un dominio continuo.

In un’intervista rilasciata a Fox News, Netanyahu ha rilasciato una dichiarazione significativa:

“Aspiriamo a dare ai palestinesi autorità, non terra”.

Ecco perché Amman considera la proposta di una confederazione una trappola strategica. Senza l’istituzione di uno Stato palestinese veramente indipendente, qualsiasi forma di accordo amministrativo funge da cortina fumogena per l’annessione.

Il vero obiettivo è quello di esternalizzare la gestione dei palestinesi alla Giordania finché Israele non sarà in grado di completare la riorganizzazione demografica della Palestina storica.

I sostenitori di questo piano ritengono che le condizioni regionali siano più favorevoli che mai. Dal primo mandato del presidente statunitense Donald Trump nel 2017, diversi stati della Lega Araba hanno normalizzato le relazioni con Israele nell’ambito degli “Accordi di Abramo” del 2020. Questo nonostante le violazioni di lunga data dei trattati, tra cui le ripetute violazioni da parte di Israele dell’accordo di pace di Wadi Araba del 1994 con la Giordania, uno dei primi stati arabi a formalizzare le relazioni con [Israele] lo stato di occupazione.

Altri paesi, tra cui l’Arabia Saudita, si stanno avvicinando ad accordi simili. Dopo la caduta del governo dell’ex presidente siriano Bashar al-Assad, anche la Siria – ora governata dall’ex capo di Al-Qaeda Ahmad al-Sharaa – si sta preparando ad aderire a questa “Alleanza di Abramo“. 

Elementi di questo schema si possono già trovare nel cosiddetto piano di pace “Accordo del secolo” del presidente degli Stati Uniti Donald Trump del 2020 e nell’iniziativa saudita del 2020 per un “Regno hashemita di Palestina“, presumibilmente approvata dal principe ereditario Mohammed bin Salman (MbS).

La diplomazia sepolta sotto le ruspe

Con il cambiamento di atteggiamento politico di Washington, il crollo della formula dei due stati è passato da possibilità a obiettivo politico. Trump ha chiarito che intende abbandonare del tutto la condizione di Stato palestinese. 

Il Dipartimento di Stato si è rifiutato di avallare la soluzione dei due stati e, a febbraio, Trump ha dichiarato: “Gli Stati Uniti prenderanno il controllo della Striscia di Gaza e anche noi faremo la nostra parte”, riferendosi al suo piano postbellico per la Riviera di Gaza

Persino la risoluzione 2735 del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, redatta dall’amministrazione dell’ex presidente statunitense Joe Biden e adottata nel giugno 2024, suona ormai vuota. Chiede due stati democratici, Israele e Palestina, che vivano fianco a fianco in pace. Ma l’annessione in corso da parte di Israele rende questa visione impossibile. Tel Aviv sta seppellendo la risoluzione nello stesso terreno che prepara per i coloni sionisti.

La Giordania, che si è precipitata in difesa di Israele durante i tre scontri militari diretti tra Iran e Israele, non è più in disparte: ora è direttamente minacciata dalle ambizioni espansionistiche dello stato occupante. 

Mentre Tel Aviv intensifica i suoi sforzi per cancellare la causa palestinese, Amman si ritrova con le spalle al muro, pressata dall’apatia di Washington, circondata da stati arabi che rafforzano i legami con Israele e vincolata a un trattato di pace che non offre più nemmeno una parvenza di equilibrio.

L’Autorità Nazionale Palestinese, un tempo l’amministratore preferito di Washington per gli affari palestinesi, sta crollando sotto il peso della propria irrilevanza. Non ha alcun controllo territoriale, non esercita alcuna autorità e conserva scarsa legittimità popolare. Se dovesse disintegrarsi completamente, la Giordania sarebbe la prima a subirne l’impatto.

La monarchia hashemita si trova ad affrontare un momento di reale pericolo storico. Per evitare di essere costretta a gestire l’occupazione israeliana per procura, Amman deve abbandonare con decisione le formule fallimentari e costruire un fronte arabo-palestinese coerente e collettivo. 

Senza questo, la Giordania rischia di essere trascinata in un nuovo ordine regionale in cui diventerebbe sia il cuscinetto che il capro espiatorio per la sepoltura definitiva dello Stato palestinese.

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