Il presidente Donald Trump, che aveva liquidato Benjamin Netanyahu andato a chiedergli di annettere Gaza, si appresterebbe invece a prenderne il controllo. Mentre Tel Aviv si prepara ad annettere tutta la Palestina mandataria ed Egitto e Giordania si preparano invece a consegnare le chiavi di Gaza all’Autorità palestinese, si sta valutando un’imponente operazione immobiliare da cento miliardi di dollari.
La Marcia del ritorno, foto di Steve Sabella, estratta dalla raccolta The Great March of Return.

di Thierry Meyssan, voltairenet.org, 2 settembre 2025

Il presidente Donald Trump ha tenuto il 27 agosto una riunione alla Casa Bianca per raccogliere suggerimenti per il futuro di Gaza. Oltre a JD Vance, vicepresidente, erano presenti Steve Witkoff, inviato speciale, Marco Rubio, segretario di Stato, Jared Kushner, consigliere durante il primo mandato di Trump, l’ex primo ministro britannico Tony Blair e il ministro israeliano per gli Affari strategici Ron Dermer.

Dopo la consultazione non c’è stato alcun comunicato. Ma secondo il Washington Post, la Striscia di Gaza dovrebbe in prospettiva essere «amministrata dagli Stati Uniti per almeno dieci anni e trasformata in un lussuoso complesso turistico, nonché in un centro produttivo e di alta tecnologia». L’investimento richiederebbe la colossale cifra di cento miliardi di dollari.

Questo progetto è espressione di una mentalità jacksoniana. Nel 1830 il presidente Andrew Jackson (1829-1837) approvò l’Indian Removal Act, la legge sulla deportazione degli indiani. Per cessare le guerre, dunque il loro massacro, venne proposto agli indiani di accettare il confinamento nelle riserve. Il trasferimento fu particolarmente cruento per i Cherokee (si ricordi la vicenda del Sentiero delle Lacrime), che però accettarono questa sorta di pace. Quasi tutte le altre tribù invece la respinsero. Due secoli dopo soltanto la tribù dei Cherokee si è arricchita e integrata, mentre tutte le altre tribù continuano a essere marginalizzate. Non c’è dubbio che il metodo usato da Jackson sia riuscito a porre fine al genocidio degli indiani, ma a quale prezzo!

Il progetto in fieri del presidente Trump è per i palestinesi scioccante quanto lo fu quello di Jackson per i Cherokee, ma propone una soluzione laddove nessun altro lo fa. I palestinesi, che da generazioni lottano per far valere i propri diritti, vi si rassegneranno? Il diritto internazionale afferma che nessun popolo può essere espulso dalla propria terra. L’Assemblea generale delle Nazioni Unite ha costantemente ribadito il diritto al ritorno dei palestinesi che furono espulsi con la forza nel 1948 (Risoluzione 194 dell’11 dicembre 1948 dell’Assemblea generale e Risoluzione 237 del 14 giugno 1967 del Consiglio di sicurezza). Sette anni fa i civili palestinesi organizzarono la Marcia del ritorno. Le forze di difesa israeliane (FDI) spararono sulla folla pacifica uccidendo almeno 120 persone e ferendone 4.000. È evidentemente illusorio credere che questo popolo possa facilmente aderire a questo progetto.

I partecipanti all’incontro alla Casa Bianca hanno perciò ipotizzato un indennizzo di 23.000 dollari a persona per ogni famiglia che accetti l’esilio. Sono già stati presi contatti con Libia, Etiopia, Sudan del Sud, Indonesia e Somaliland. Nessuno di questi Stati ne ha però dato conferma. L’amministrazione Trump prevede di riuscire a spostare un quarto della popolazione di Gaza.

Tony Blair, ex primo ministro britannico (1997-2007), ex inviato
speciale del Quartetto per il Medio Oriente (2007-2015).

Secondo il Financial Times, il Tony Blair Institute for Global Change (TIT) e il Boston Consulting Group (BCG) hanno svolto incontri preliminari per il Piano Riviera per Gaza, denominato The Gaza Reconstitution, Economic Acceleration and Trasformation Trust (GREAT* Trust). Ed è in queste riunioni preparatorie che è nato il progetto Gaza Humanitarian Foundation (GHF). Durante l’estate questa fondazione di diritto svizzero ha distribuito gli aiuti umanitari a Gaza in sostituzione dell’Autorità d’occupazione, delle Nazioni Unite, della Croce Rossa Internazionale nonché di numerose associazioni umanitarie. Questa iniziativa ha sicuramente consentito di eludere Hamas, ma ha causato l’uccisione da parte delle Forze di difesa israeliane (FDI) di quasi mille civili in fila per ricevere aiuti alimentari. Uno scandalo unanimemente condannato, anche da personalità israeliane ebraiche. La GHF è stata in realtà creata dal Mikveh Yisrael Forum, di cui fanno parte in particolare Yotam HaCohen, consigliere strategico di Benjamin Netanyahu nonché figlio dell’ex generale Gershon HaCohen, Liran Tankman, ex ufficiale dei servizi segreti riconvertitosi nell’high-tech, e l’americano-israeliano Michael Eisenberg, investitore in capitali di rischio. La maggior parte dei leader del Mikveh Yisrael Forum si è unita al Coordinatore delle attività governative nei Territori (COGAT), Ghassan Alian, nella convinzione che il governo Netanyahu non stia facendo alcunché per aiutare gli abitanti di Gaza e che spetti agli israeliani prendere l’iniziativa. La GHF sarebbe stata finanziata per cento milioni di dollari da uno Stato europeo non identificato.
TRIAL International, una ONG con sede in Svizzera, ha presentato due memorie legali per chiedere alle autorità svizzere di indagare sulla conformità della GHF alla legge svizzera e al diritto umanitario internazionale. La questione centrale sollevata da TRIAL International è se le associazioni umanitarie possano o meno utilizzare società militari private. Infatti il direttore esecutivo della GHF, l’ex marine statunitense Jake Wood, si è dimesso quasi subito. La Fondazione ha allora fatto ricorso ai servizi di Philip F. Reilly e della sua società, la Safe Reach Solutions. Ma Reilly è un ex soldato del 7° Gruppo Forze Speciali statunitensi, specializzato in missioni contro il narcotraffico in America Latina. È diventato capo del ramo paramilitare della Cia, all’epoca denominato Divisione Attività Speciali, in seguito ribattezzato Centro delle Attività Speciali. Tra il 2008 e il 2009 è stato a capo della stazione afghana della Cia, nonché a capo delle operazioni del Centro missioni antiterroriste dell’Agenzia, che ha diretto il controverso programma di attacco con droni durante la guerra al terrorismo. In seguito è passato al settore privato come vicepresidente senior delle attività speciali della società militare Constellis, proprietaria della società di mercenari precedentemente nota come Blackwater. Infine ha lavorato per un altro esercito privato, Orbis. Se è vero che le FDI non hanno ucciso civili in questua di cibo è perché se ne sono incaricati gli uomini di Philip F. Reilly.

Secondo i promotori immobiliari, professionisti del settore, Kushner, Trump e Witkoff, il progetto della futura Gaza è degno di Dubai. Numerose società transnazionali vi hanno già aderito.

Per facilitare la concentrazione degli abitanti di Gaza, il governo sionista revisionista di Benjamin Netanyahu ha deciso la costruzione a Rafah di una tendopoli di 600 mila posti, dove i palestinesi avrebbero garantiti cibo e cure sanitarie ma da cui non potrebbero uscire.

Il 14 maggio, durante una conferenza sulla colonizzazione ebraica nella Cisgiordania occupata, il ministro delle Finanze Bezalel Smotrich ha dichiarato: «I civili saranno mandati a sud, in una zona umanitaria, e da lì inizieranno a spostarsi in gran numero in Paesi terzi».

Il 13 agosto, su i24News in lingua ebraica, è infine intervenuto lo stesso primo ministro affermando di avere una «missione storica e spirituale» da compiere e assicurando di essere «molto» devoto alla visione di un «Grande Israele». A 75 anni, Netanyahu ha affermato pubblicamente di rivendicare l’eredità del mentore di suo padre, Vladimir Jabotinsky, fondatore del sionismo revisionista.

Il 23 luglio la Knesset ha approvato con 71 voti favorevoli e 14 contrari una legge non vincolante che chiede al governo di annettere la Cisgiordania prima che nuovi membri permanenti del Consiglio di sicurezza dell’Onu riconoscano pienamente lo Stato di Palestina.
Peraltro le FDI hanno reso noto che nella prima metà del 2025, in Cisgiordania, sono stati registrati 404 attacchi di coloni, contro i 618 dell’intero 2024.
Il Repubblicano Mike Johnson, presidente della Camera degli Stati Uniti, ha espresso il suo sostegno all’annessione. All’inizio di agosto ha visitato l’insediamento di coloni di Ariel e ha dichiarato di ritenere che «la Giudea e la Samaria» appartengono al popolo ebraico; ha inoltre espresso il suo sostegno all’estensione della sovranità israeliana alla Cisgiordania. È stata la prima volta che una personalità statunitense di così alto livello ha visitato gli insediamenti israeliani in Cisgiordania. L’amministrazione Trump sta mantenendo una cauta distanza da questo movimento, soprattutto perché sta concentrando i suoi sforzi sul rafforzamento degli Accordi di Abramo con gli Stati arabi.
Secondo un sondaggio condotto a dicembre 2024 dall’Istituto per gli sudi sulla sicurezza nazionale, il 34% dell’opinione pubblica israeliana rifiuta l’annessione dei territori palestinesi, il 21% ritiene che gli attuali insediamenti dovrebbero essere annessi e il 21% che si dovrebbe annettere tutto.

Egitto e Giordania continuano caparbiamente ad addestrare centinaia di giovani palestinesi fedeli a Fatah per formare una forza di sicurezza di diecimila uomini e mettere l’Autorità palestinese al potere a Gaza. Intanto l’Arabia Saudita e la Francia si preparano a riconoscere pienamente lo Stato di Palestina all’Assemblea generale delle Nazioni Unite e la Palestina di prepara a proclamare la propria indipendenza.

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