
di Alastair Crooke, conflictsforum.substack.com, 7 novembre 2025 — Traduzione a cura di Old Hunter
Il via alle elezioni di medio termine del 2026 negli Stati Uniti è stato dato questa settimana con tre elezioni importanti e una altrettanto importante per la ridefinizione dei distretti elettorali tenutasi in California. I Democratici hanno stravinto in tre importanti elezioni (New York, New Jersey, Virginia) così come hanno vinto la proposta di ridefinizione dei distretti elettorali in California. La ridefinizione dei distretti elettorali in California potrebbe garantire ai Democratici altri cinque seggi alla Camera.
Ma la lente attraverso cui interpretare questi eventi è forse migliore di quella delle ultime elezioni generali britanniche: il partito di governo era screditato e ampiamente inviso. L’elettorato britannico voleva dargli un sonoro schiaffo, cosa che ha puntualmente fatto. Il problema era che gli elettori non apprezzavano molto nemmeno i partiti alternativi. Ma per inviare il messaggio, dovevano votare per qualcosa. Il Partito Laburista ha ottenuto una schiacciante maggioranza, ma nessun mandato reale. Il Primo Ministro Starmer, e il suo partito (a quanto pare), sono ampiamente invisi quanto quelli precedenti.
Per ora la politica nel Regno Unito è in crisi. La situazione è più o meno la stessa in Francia.
Quindi, quando i titoli dei giornali affermano che i Democratici hanno “fatto piazza pulita” nelle elezioni negli Stati Uniti, probabilmente riflettono la stessa doppia antipatia evidente in Europa. I populisti americani non apprezzano l’establishment al potere di nessuno dei due partiti, considerandoli come “Pincopanco” e “Pancopinco”: la loro risposta è “una piaga per entrambe le Camere”. (Anche i Democratici hanno i loro populisti).
Questa situazione di stallo non è suscettibile di soluzioni rapide. La classe dirigente è profondamente radicata e controllata dai grandi donatori proprio per mantenere lo status quo.
Ciononostante, la dinamica populista negli Stati Uniti è inconfutabile e potrebbe presto evolversi oltre la portata delle strutture di repressione della libertà di parola da parte dei donatori.
Le ragioni principali di questa situazione di stallo sono profondamente strutturali, oltre che ideologiche.
Dal punto di vista strutturale, la crisi colpisce tutte le famiglie tranne circa il 10% più ricco. Il mercato azionario statunitense è entrato in una fase di euforia irreale: i fondamentali non contano, i dati non contano, contano solo il meme del giorno e come negoziarlo. (Il 10% delle famiglie più ricche possiede l’87% di tutte le azioni).
Tuttavia, la fascia più bassa della società è ulteriormente “punita” dall’aumento dei prezzi (inflazione), che ha provocato una crisi di fiducia dei consumatori senza precedenti da decenni. Persino i prodotti di prima necessità rimangono invenduti sugli scaffali dei supermercati.
Ma le critiche alle politiche di Trump, e in particolare ai dazi (per il loro effetto sui prezzi), sono state notevolmente attenuate da quest’estate – scrive il Financial Times – quando Trump ha chiesto a Goldman Sachs di licenziare il suo capo economista, che aveva scritto una nota equilibrata sui dazi commerciali che aveva suscitato l’ira del Presidente. Acqua fredda. Solo due guru sembrano autorizzati a dire la loro: Ray Dalio di Bridgewater e Jamie Dimon di JPMorgan, sostiene il FT.
Tuttavia, il cambiamento strutturale chiave che incute ansia per le prospettive di imminenti disordini sociali lungo la spina dorsale del panjandrum [i pezzi grossi] finanziario è un semplice grafico che mostra i prezzi delle azioni statunitensi in ascesa verticale lungo il loro vettore ascendente, incrociandosi a un certo punto con una traiettoria nettamente discendente delle offerte di lavoro. È stato ampiamente definito una “croce della morte”.
Questo grafico spiega molto di ciò che si nasconde dietro i risultati delle elezioni occidentali.
Il punto di incrocio, ovvero dove i vettori si dividono in modo così esplosivo, è indicato come la data di lancio dello strumento di intelligenza artificiale Chat GPT. Il grafico prefigura quindi una bomba a orologeria sociale. Le grandi aziende prevedono che l’intelligenza artificiale porterà a una massiccia sostituzione di posti di lavoro?
È probabile un risultato del genere? Un recente studio del MIT, al contrario, ha rilevato che il 95% delle aziende che avevano investito in strumenti di intelligenza artificiale non aveva ottenuto alcun ritorno, concludendo che l’intelligenza artificiale odierna non comprende gli “ambienti”, ma si limita a individuare gli schemi al loro interno.
In ogni caso, la prospettiva è cupa: o si tratta di un errore di valutazione cruciale da parte dei giganti statunitensi dell’intelligenza artificiale, che potrebbe innescare un crollo del mercato, oppure i colossi statunitensi dell’intelligenza artificiale stanno correttamente prevedendo un imminente tsunami di sostituzioni di posti di lavoro. Qualunque sia la causa, le implicazioni politiche sono enormi.
Che il loro giudizio sia giusto o sbagliato, la realtà è che, con i 4 maggiori investitori statunitensi in intelligenza artificiale che pianificano di investire 420 miliardi di dollari in infrastrutture il prossimo anno, il “Padrino dell’intelligenza artificiale”, Geoffrey Hinton, afferma che questo livello di spesa può essere giustificato solo sostituendo gli esseri umani: “Penso che le grandi aziende stiano scommettendo sul fatto che causerà una massiccia sostituzione di posti di lavoro con l’intelligenza artificiale, perché è lì che si troveranno i grandi soldi… Credo che per fare soldi bisognerà sostituire il lavoro umano”.
Tanto per essere chiari, Trump ha scommesso sul dominio degli Stati Uniti nell’intelligenza artificiale globale: “Se andiamo avanti di un paio d’anni, vedremo numeri mai visti prima. Stiamo costruendo alcuni degli edifici più grandi mai costruiti al mondo: gli edifici dell’intelligenza artificiale”.
Tuttavia, il CEO di Nividia ha dichiarato al FT che la Cina supererà gli Stati Uniti nel campo dell’intelligenza artificiale e Open AI sta cercando di ottenere una garanzia sui prestiti governativi.
La faglia “geologica” qui è che non esiste un’unica economia americana (o europea), ma due economie ben distinte: una cornucopia finanziarizzata e l’altra basata sulla privazione strutturata. Le due non si incontrano. L’Occidente ha investito troppo nel modello “cornucopia” per poterlo cambiare in tempi brevi. Significherebbe stravolgere profondamente le “strutture architettoniche”.
Se così fosse, Trump sarebbe in pericolo e le elezioni di medio termine di novembre potrebbero essere tese. Le prospettive sono intrinsecamente instabili. La bolla dell’intelligenza artificiale potrebbe scoppiare in qualsiasi momento e innescare una svendita sui mercati. E anche la Corte Suprema degli Stati Uniti potrebbe forse stabilire che la forte dipendenza di Trump dai dazi – sia come strumento geopolitico utilizzato come arma, sia come fonte di entrate per colmare i buchi del deficit nel bilancio federale – sia parzialmente o totalmente incostituzionale.
Trump ha affermato che, se la Corte Suprema dichiarasse incostituzionali le sue tariffe, “saremmo indifesi e potremmo persino arrivare alla rovina della nostra Nazione”.
Anche a livello della base di Trump le prospettive sono instabili: i sostenitori del MAGA questa settimana si sono tirati indietro dalle urne, restando a casa o passando ai democratici.
Alla radice del disincanto del MAGA c’è sia la “split economy”, ma anche – sulla scia dell’omicidio di Charlie Kirk – una crescente frattura tra i sostenitori del MAGA “America First” e il gruppo di grandi donatori filo-israeliani. La stretta identificazione di Trump con Netanyahu e Israele si è dimostrata una questione perdente a livello elettorale. Eppure, questo è l’ambito in cui – in modo unico – Trump non è semplicemente transazionale. Agisce e parla – e “fa quello che dice” – da sionista zelante.
La grande domanda, quindi, è: Trump riuscirà a ridefinire sé stesso sulla scia di un chiaro segnale che le elezioni di medio termine sono sue? Se non riuscirà a ricalibrarsi, avrà un anno di tempo, dopo il quale potrebbe ritrovarsi ad affrontare indagini della Camera o addirittura un impeachment, con gli Stati Uniti che entrano in una fase di crisi politica ed economica.
Le opzioni di Trump sono limitate: non gli sarà consentito di fare marcia indietro sulla profonda architettura di politica estera finanziata dai donatori, in vigore da quattro decenni: vale a dire il sostegno incondizionato a Israele e il ricorso aperto e senza restrizioni all’azione militare statunitense ogniqualvolta gli attori rifiutino di allinearsi alle posizioni di Stati Uniti e Israele o di sottomettersi al primato commerciale del dollaro.
Anche l’IA di supporto, considerata da gran parte del MAGA come “orwelliana”, non è un fattore determinante per il successo elettorale. La chiave del futuro (sia per gli Stati Uniti che per l’Europa) è chi riesce a convincere gli elettori che possono, e lo faranno, fornire soluzioni alle contraddizioni strutturali “di base” che stanno rovinando il benessere dei loro elettori.
Se Trump dovesse essere sconfitto alle elezioni di medio termine del prossimo anno, non si tornerà più ai metodi neoliberisti degli ultimi 40 anni. Nessun candidato negli Stati Uniti o in Europa può più aspettarsi di vincere con un programma pro-globalizzazione o DEI. Questo è ovvio. E se le soluzioni politiche vengono respinte (o manipolate) dagli strati dominanti, allora l’insurrezione diventa possibile.
In conclusione? La politica estera di Trump dovrà affrontare ostacoli sia da parte di Israele (esacerbando l’inquietudine del MAGA) sia dall’Europa. La tecnocrazia d’élite europea continua a negare di essere ampiamente considerata dai propri elettori come un fallimento disfunzionale. La loro replica tecnocratica, altrimenti sigillata, è permeata dall’autocompiacimento che in qualche modo un ritorno alla “normalità” seguirà la prevista sconfitta di Trump alle elezioni di medio termine.
Per proteggersi politicamente dall’imminente sconfitta in Ucraina, l’establishment europeo è fiducioso di poter riuscire a reprimere il dissenso con la forza e a controllare ulteriormente la narrazione dei media. La “russofobia” è il loro unico grido di battaglia e potremmo aspettarci ulteriori provocazioni rivolte alla Russia. Sperano (ancora) di dimostrare di aver avuto ragione, fin dall’inizio: che la Russia è davvero la minaccia. Le élite possono crederci, ma i loro elettori no, nonostante la prevalenza della ‘”Estonia-ite”, come è stata occasionalmente definita la “coda baltica che scodinzola al cane dell’UE”.
L'”Ordine” di Trump è intrinsecamente instabile. Di fronte all’evidente declino dell’Occidente, Trump naviga “eroicamente” controcorrente, cercando di far rivivere l’età dell’oro dell’America. Ma quell’età, se mai è stata d’oro, non esiste più. È tramontata; il MAGA sta ritrovando i suoi valori più nell’eredità di Pat Buchanan, piuttosto che nel mondo Bush-Cheney.
Quando l’equilibrio fondamentale di un “ordine” viene interrotto oltre un certo punto; quando i giovani si ribellano all’illusione e cominciano a cercare qualcosa di nuovo che sostituisca i vecchi schemi stanchi… questo è noto come l’attesa della luna nuova.
Ecco dove stiamo. In attesa.
