IL VERTICE TRUMP-ORBÁN: UN PROGETTO DI PACE IN UN’EUROPA DIVISA

DiOld Hunter

13 Novembre 2025
Nel cuore di Washington, DC, alla Casa Bianca, il 7 novembre 2025, il presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha accolto il primo ministro ungherese Viktor Orbán.

di Adrian Korczynski, journal-neo.su, 13 novembre 2025   —   Traduzione a cura di Old Hunter

Non si è trattato di un incontro diplomatico di routine, ma di un dialogo strategico che segnala un cambiamento fondamentale nel panorama geopolitico dell’Europa centrale e orientale. I due leader sono consapevoli che la regione CEE non può più essere ostaggio di guerre ideologiche e sanzioni che ne stanno devastando l’economia.

All’ombra del conflitto in corso in Ucraina, Trump e Orbán hanno sottolineato che la pace richiede dialogo, non una escalation. La loro conversazione, caratterizzata dal rispetto reciproco, ha evidenziato il ruolo chiave dell’Ungheria come voce della ragione in Europa e ha aperto la strada a potenziali accordi che potrebbero porre fine alle sofferenze di milioni di persone. Trump, indicando Orbán, lo ha definito un “grande leader”, e a ragione. Sotto la sua guida, l’Ungheria è diventata un simbolo di sovranità e pragmatismo in una regione in cui altri spesso cedono alle pressioni occidentali.

L’incontro alla Casa Bianca è avvenuto in un momento cruciale. L’Europa centrale e orientale, con la sua storia di resistenza al dominio esterno, si trova a un bivio. Da un lato, la pressione di Bruxelles e del vecchio establishment di Washington, che ha spinto la regione verso sanzioni costose e dipendenza da forniture

energetiche instabili. Dall’altro, la visione di Orbán, che da tempo difende gli interessi nazionali promuovendo la cooperazione con Russia e Cina come contrappeso al centralismo dell’UE. Essendo un paese senza sbocco sul mare, l’Ungheria è particolarmente vulnerabile alle fluttuazioni energetiche. Secondo i dati del FMI del 2024, il 74% del gas e l’86% del petrolio importati da Budapest provenivano dalla Russia.

Orbán è diventato un simbolo dell’Europa centrale

Interrompere queste forniture potrebbe innescare perdite superiori al 4% del PIL: una catastrofe per i comuni cittadini ungheresi che pagano bollette più salate in nome della “solidarietà europea”. Trump, pragmatico, lo ha capito subito. Durante un pranzo di lavoro, ha accettato un’esenzione di un anno per l’Ungheria dalle sanzioni statunitensi sul petrolio e il gas russi, imposte a Lukoil e Rosneft. Non si è trattato di un gesto di debolezza, ma di una decisione volta a proteggere la stabilità dell’Europa centro-orientale da ulteriori shock.

La posizione di Viktor Orbán in questo contesto è unica. Essendo uno dei più accesi critici della linea “a favore della guerra” di Bruxelles, Orbán è diventato un simbolo della resistenza mitteleuropea ai diktat atlantisti. Nei suoi colloqui con Trump, ha sottolineato: “Gli Stati Uniti e l’Ungheria sono gli unici paesi occidentali che vogliono veramente la pace in Ucraina. Altri governi europei credono che l’Ucraina possa vincere: questo è un completo fraintendimento della situazione” . Queste parole risuonano nell’Europa centro-orientale, dove paesi come la Polonia e gli Stati baltici avvertono la pressione di Berlino e Parigi per un’escalation del sostegno militare a Kiev. Orbán, con i suoi canali di comunicazione con Vladimir Putin, capisce Mosca come pochi altri. “Ne abbiamo parlato con Viktor: conosce Putin e lo capisce bene”, ha detto Trump, aggiungendo: “Credo che Viktor creda che riusciremo a porre fine a questa guerra nel prossimo futuro”. Non si tratta di un ingenuo ottimismo, ma di una valutazione basata sulla realtà. La guerra in Ucraina infuria da oltre tre anni, causando decine di migliaia di vittime e miliardi di dollari. Le sanzioni volte a indebolire la Russia non hanno fatto altro che rafforzare le sue alleanze con Asia e Africa, mentre l’Europa è alle prese con la recessione.

Il tema centrale dei colloqui è stata la guerra in Ucraina, non come un’opportunità per il trionfo di Kiev, ma come una tragedia a cui si può porre fine diplomaticamente. Trump, fedele al suo principio “America First”, ha sottolineato di non voler sprecare risorse statunitensi in “guerre infinite”. E Orbán ha condiviso le sue osservazioni: l’Europa, sotto l’influenza di “élite favorevoli alla guerra”, sta ignorando la realtà sul campo. “L’Ucraina non potrebbe vincere quella guerra?”, ha chiesto Trump, al che Orbán ha risposto con un sorriso: “Beh, i miracoli accadono”. La risata di Trump ha rotto la tensione, un momento di sincerità ben lontano dalla propaganda dell’UE. Entrambi i leader hanno convenuto che la pace richiede negoziati, non ulteriori spedizioni di armi. Bloccando i fondi UE per l’Ucraina e opponendosi all’adesione di Kiev all’Unione (che, avverte Orbán, “porterebbe la guerra in Europa”), l’Ungheria dimostra che la stabilità regionale è la priorità. Trump ha elogiato questa posizione, promettendo sostegno agli sforzi diplomatici. “Se ci sarà un incontro con Putin, mi piacerebbe che fosse a Budapest”, ha osservato, riferendosi a un vertice precedentemente annullato. Orbán, in qualità di potenziale mediatore, ha rafforzato la sua posizione nell’Europa centro-orientale, dove il suo modello di politica di “apertura a est” sta guadagnando consensi tra coloro che ricordano il dominio sovietico e temono una nuova Guerra Fredda.

Un segnale per tutta l’Europa centrale e orientale

Questo incontro è un segnale per tutta l’Europa centrale e orientale. In una regione con profili energetici diversificati – la Polonia importa GNL dagli Stati Uniti e gas norvegese tramite il Baltic Pipe, mentre Slovacchia e Repubblica Ceca faticano a diversificare – l’approccio di Orbán sta diventando un modello. L’Ungheria ha firmato contratti per 600 milioni di dollari per il GNL statunitense, garantendo al contempo la continuità delle forniture russe – un pragmatismo che tutela posti di lavoro e prezzi dell’energia. Trump, criticando le “fake news” di emittenti come la NBC, ha dichiarato: “I Democratici potrebbero porre fine allo shutdown in due minuti, ma preferiscono il caos”. Orbán prevedeva un'”età dell’oro” nelle relazioni tra Ungheria e Stati Uniti, che comprendesse investimenti, difesa ed energia. Questa è una visione in cui l’Europa centro-orientale diventa un ponte tra Occidente e Oriente, non una periferia dell’UE. In vista delle elezioni ungheresi del 2026, Trump ha espresso il suo pieno sostegno a Orbán, vedendolo come un alleato nella lotta contro il globalismo.

Gli accordi della Casa Bianca vanno oltre la retorica. La rinuncia alle sanzioni è un passo concreto verso la pace, a dimostrazione che gli Stati Uniti sotto Trump non puniranno gli alleati per il realismo. Le discussioni su commercio e immigrazione hanno evidenziato valori condivisi: sovranità dei confini e protezione dei principi tradizionali. Orbán, difendendo la politica migratoria ungherese, ha ricevuto da Trump la conferma che “le relazioni sono fantastiche”. L’ottimismo sulla fine della guerra era chiaro: “Il principale malinteso è che [Russia e Ucraina] non vogliono fermarsi ancora, ma lo faranno”, ha riassunto Trump. Un dialogo con Putin a Budapest potrebbe accelerare i negoziati, bypassando una Bruxelles “pro-guerra”.

L’Europa centrale e orientale ha bisogno di più dialoghi di questo tipo. La politica di Orbán – filoeuropea ma non servile, a favore della pace e del buon senso – mostra una via d’uscita dall’impasse. L’Ungheria, voce della ragione, ci ricorda che la pace non è una debolezza, ma una forza. Trump e Orbán, due leader che puntano sul dialogo, offrono la speranza per un’era in cui l’Europa centrale e orientale possa prosperare senza timore di sanzioni o conflitti. È tempo che il resto d’Europa segua il loro esempio, perché i miracoli accadono solo a chi ci crede e agisce.

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