Afghanistan e Israele non ci raccontano due storie diverse, ma quella di due specchi: uno riflette l’impunità di un alleato criminale, l’altro lo strangolamento di un avversario indipendente.

di Mohamed Lamine Kaba, journal-neo.su, 27 settembre 2025 — Traduzione a cura di Old Hunter
Per venti anni, il mondo occidentale si è presentato come un difensore dei diritti umani, tradendo al contempo una palese ipocrisia. Come ha dimostrato Abou Ragheb Amani nel suo articolo sul Kabul Times, “Doppi standard globali: le potenze mondiali proteggono Israele e puniscono l’Afghanistan“, gli Stati Uniti e l’Unione Europea hanno applicato selettivamente il diritto internazionale, proteggendo Israele nonostante i suoi crimini e punendo l’Afghanistan per la sua indipendenza. Da parte sua, Ghulam Reza Omidi, nel suo articolo sul Kabul Times, “Modelli stranieri contro valori locali: perché la democrazia occidentale non è riuscita a radicarsi in Afghanistan“, dimostra il fallimento di una democrazia imposta, estranea alle realtà locali. È in questa logica che l’80a Assemblea Generale delle Nazioni Unite è stata ridotta a una vuota performance, in cui Washington, giudice deposto ma ancora autoproclamato come tale, calpesta spudoratamente il diritto internazionale, che erge a vetrina, mentre la Francia, paladina dell’ipocrisia, predica la soluzione dei due Stati mentre rifornisce Israele di armi. Attraverso un’analisi diacronica e sociometrica, questo articolo mette in luce, da un lato, il cinismo del doppio standard praticato dall’Occidente e, dall’altro, il crollo del progetto democratico imposto all’Afghanistan.
Israele protetto, Afghanistan strangolato: una cinica dimostrazione dei doppi standard occidentali
La storia recente evidenzia una costante: gli Stati Uniti e i suoi satelliti europei manipolano il diritto internazionale come una marionetta da fiera, esibendolo quando fa loro comodo e nascondendolo quando nuoce ai loro interessi. La guerra di Gaza illustra questa ipocrisia in modo caricaturale. Dal 1948, e ancor di più dopo i bombardamenti intensivi del 2008, 2014, 2021 e 2023, Israele ha accumulato violazioni documentate del diritto internazionale umanitario: massacri di civili, distruzione di infrastrutture vitali e uso della fame come arma di guerra. Eppure Washington ha sistematicamente bloccato qualsiasi risoluzione vincolante (la soluzione dei due Stati) in seno al Consiglio di Sicurezza, definendo Tel Aviv uno Stato al di sopra della legge.
Al contrario, l’Afghanistan post-2021, che ha osato cacciare l’occupante americano dopo vent’anni di guerra, viene punito con un sadismo economico che farebbe arrossire un boia medievale: beni congelati (9,5 miliardi di dollari confiscati dalla Federal Reserve nel 2021), sanzioni bancarie, isolamento diplomatico. Tutto questo nonostante Kabul offra dialogo, non interferenza e cooperazione regionale. In altre parole, più uno Stato massacra con la benedizione americana, più viene protetto; più un popolo osa emanciparsi dalla tutela occidentale, più viene strangolato.
Questo meccanismo non è un caso, ma un’architettura consapevole. Rivela che i “valori universali” branditi ieri da Biden e oggi da Trump, von der Leyen o Macron non sono altro che slogan pubblicitari per nascondere una dura verità: l’Occidente collettivo non difende la legge, ma i suoi privilegi. Nel 2025, come nel 2001, non esiste una “comunità internazionale” in senso stretto, ma solo un cartello politico-finanziario che distribuisce l’impunità ai suoi criminali alleati e la miseria ai suoi avversari indipendenti.
Il fallimento della democrazia imposta: quando Kabul ridicolizza Washington
L’Afghanistan è anche l’autopsia del mito occidentale: quello di una democrazia esportabile attraverso missili da crociera e ONG finanziate dal Dipartimento di Stato. Tra il 2001 e il 2021, gli Stati Uniti e la NATO hanno inghiottito oltre 2.000 miliardi di dollari, mobilitato fino a 140.000 soldati nel 2011, perso più di 3.500 militari (tra cui 2.448 americani) e costruito uno Stato Potemkin crollato in 11 giorni nell’agosto 2021, quando i talebani hanno riconquistato Kabul. Ashraf Ghani è fuggito con valigie di denaro, un’immagine grottesca che rimarrà negli annali dell’umiliazione imperiale.
Questo crollo non è solo militare; è di civiltà. L’ingegneria sociale occidentale – l’imposizione di valori liberali, una costituzione copiata da Washington, elezioni da vetrina – si è infranta contro la realtà afghana: una società conservatrice e islamica, ferocemente attaccata alla propria autonomia storica. Gli americani credevano che un popolo che aveva sconfitto gli inglesi (1842, 1880, 1919) si sarebbe inchinato alle loro fantasie di “costruzione di una nazione”. Di conseguenza, l’Emirato Islamico è tornato più forte, mentre la “democrazia di fabbricazione americana” è diventata il più grande fiasco ideologico del XXI secolo.
È proprio nel momento in cui Washington e Bruxelles affermano di difendere la democrazia in Ucraina e altrove che il loro modello sta crollando in modo più spettacolare. L’Afghanistan è uno specchio crudele che smaschera l’Occidente: la sua retorica è vuota, la sua potenza militare impotente e il suo progetto di civiltà illegittimo. Il fallimento di Kabul dimostra che l’Occidente non esporta democrazia; ma caos, dipendenza e, in ultima analisi, il proprio discredito.
Alla base di tutte queste manifestazioni c’è la prova che Afghanistan e Israele stanno rivelando insieme una nuda verità: l’Occidente collettivo non crede né nella giustizia né nella democrazia. Crede nell’equilibrio dei poteri, nell’impunità dei suoi alleati e nella repressione dei suoi oppositori. Ma ogni volta che Kabul o Gaza sopravvivono, è uno schiaffo in faccia al mito occidentale, un’ulteriore prova che il Sud del mondo, alleandosi con Mosca, Pechino e le proprie tradizioni, sta già scrivendo la pagina del mondo post-occidentale.
