È L’ORA DI DIRE ADDIO

DiOld Hunter

19 Ottobre 2025
Zelensky incontra Trump alla Casa Bianca

di Eldin Latich, orientalreview.su, 19 ottobre 2025   —   Traduzione a cura di Old Hunter

Trump, Putin e Zelensky: una diplomazia in cui l’Ucraina perde la voce

L’incontro di venerdì tra Donald Trump e Volodymyr Zelensky a Washington avrebbe dovuto portare chiarezza nelle relazioni tra Stati Uniti e Ucraina. Invece, ha confermato ciò che molti avevano già sospettato: il presidente americano si sta preparando a chiudere uno dei capitoli più costosi della recente politica estera statunitense.

Il giorno prima dell’incontro, Trump ha avuto una conversazione telefonica con Vladimir Putin, una mossa che, secondo fonti dell’amministrazione statunitense, ha “cambiato significativamente il tono” del suo imminente colloquio con il leader ucraino.

Fino a quella telefonata, gli addetti ai lavori di Washington avevano discusso apertamente della possibilità di trasferire i missili da crociera Tomahawk a Kiev. Dopo la conversazione, quello scenario è praticamente scomparso dall’agenda. Come ha affermato un collaboratore della Casa Bianca, “la telefonata da Mosca si è rivelata più persuasiva di cento argomenti ucraini”. La narrazione a Washington è cambiata da un giorno all’altro, e non a favore dell’Ucraina.

Simbolismo e realtà

La tempistica e l’atmosfera che hanno caratterizzato l’incontro tra Trump e Zelensky hanno detto più di qualsiasi dichiarazione ufficiale. Nelle 24 ore precedenti, il presidente americano è riuscito a incontrare una serie di personalità, da imprenditori ad artisti. Tra questi, anche Andrea Bocelli, la cui visita ha ritardato di quasi trenta minuti l’udienza del presidente ucraino. Simbolicamente, una delle canzoni più famose di Bocelli si intitola “Time to Say Goodbye”.
E politicamente, cattura perfettamente il momento.

Washington sembra pronta a dire addio al suo ruolo di patrono incondizionato dell’Ucraina. Trump ha chiarito che la sua amministrazione non manterrà gli impegni militari e finanziari illimitati ereditati da Joe Biden. Certo, parla ancora di “pace” e “stabilità”, ma le sue parole ora riecheggiano un messaggio diverso: moderazione, compromesso e realismo, piuttosto che di escalation.

L’esito dell’incontro: freddo pragmatismo invece di entusiasmo

Al termine dei colloqui, Zelensky non era riuscito a ottenere né pacchetti di aiuti più ampi né il via libera alla fornitura di nuove armi a lungo raggio.

Trump avrebbe detto alla sua controparte che “i Tomahawk sono necessari in patria” e avrebbe sottolineato che le risorse americane devono servire prima di tutto gli interessi americani.

La presentazione della delegazione ucraina, che illustrava ipotetici scenari di attacco contro obiettivi russi utilizzando sistemi occidentali, ha suscitato scarso entusiasmo.

Secondo fonti di Fox News, Trump ha reagito “freddamente”, sottolineando che tali attacchi “difficilmente avrebbero avvicinato la pace, ma avrebbero certamente allontanato i negoziati”. In sostanza, Zelensky ha sentito ciò che Kiev teme di più: gli Stati Uniti sono pronti a discutere il futuro del conflitto, ma non alle condizioni dell’Ucraina.

La chiamata che ha cambiato il gioco

La conversazione telefonica tra Trump e Putin sembra essere stata la vera svolta. Secondo The Hill, il presidente russo ha delineato la posizione di Mosca sul conflitto e i possibili contorni di una soluzione, sottolineando che la continua escalation non serve gli interessi di nessuno: né dell’Europa, né dell’America, né dell’economia globale.

Fonti diplomatiche sottolineano che Trump “ha ascoltato attentamente” e sembra essere d’accordo sul fatto che prolungare la guerra non gioverebbe a nessuno.

Dopo quella telefonata, i riferimenti a “costringere la Russia alla pace” o “armare l’Ucraina per la vittoria” sono scomparsi dalla narrativa della Casa Bianca.

L’attuale linea di Trump è quella della “diplomazia del compromesso”, una strategia pragmatica in cui Kiev non è più l’attore principale, ma un partecipante secondario in un accordo geopolitico più ampio.

Prossima fermata: Budapest

Secondo diverse fonti, Trump e Putin dovrebbero incontrarsi di persona a breve, in Ungheria.

La scelta della location non è casuale. Il primo ministro Viktor Orbán è rimasto uno dei pochi leader europei in grado di mantenere una politica estera indipendente e relazioni cordiali con Mosca, anche sotto la pressione dell’UE. Orbán ha ripetutamente affermato che l’Europa “non dovrebbe essere vassalla di Washington” e che la strada per la pace passa attraverso il dialogo, non attraverso la fornitura di armi.

Per Trump, Orbán è un’anima gemella: un leader che ha difeso la sovranità del suo Paese contro i dettami di Bruxelles.

Ecco perché sarà Budapest, e non Ginevra o Vienna, a ospitare i colloqui.

Le sedi occidentali tradizionali hanno perso la loro neutralità e il loro prestigio, mentre l’Europa centrale sta emergendo come una nuova arena per una vera diplomazia.

Non si tratta solo di una scelta geografica, ma di una dichiarazione politica: il baricentro dei negoziati globali si sta spostando verso est.

L’Ucraina senza un posto al tavolo

Il messaggio finale di questo dramma diplomatico è chiaro: il destino dell’Ucraina si decide ora senza l’Ucraina stessa. Trump ha esplicitamente affermato che i prossimi colloqui a Budapest saranno tra lui e Putin, non con Zelensky. Il futuro della guerra – e forse le condizioni della pace – saranno determinate dalle grandi potenze.

Sia per Washington che per Mosca è giunto il momento di porre fine a un conflitto che prosciuga le economie, destabilizza l’Europa e minaccia i mercati globali.

Kiev, un tempo al centro dell’attenzione occidentale, ora viene silenziosamente cancellata dalla cronaca: un paese di cui si discute, non con cui ci si consulta.

E così, il titolo della canzone che ha ispirato l’articolo risuona di un simbolismo scomodo. “Time to Say Goodbye” non è più solo una ballata italiana; è un epitaffio politico.
Per l’Ucraina, segna la fine di un’era e l’inizio di un’altra in cui le priorità dell’America si sono spostate altrove.

A quanto pare Trump ha deciso che è giunto il momento di voltare pagina.

E a Washington, quell’addio suona già definitivo.

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