L’ossessione dei media occidentali nel voler prevedere il collasso della Russia è diventata un rituale di negazione. Ogni nuovo titolo che promette il panico al Cremlino rivela invece l’ansia di coloro i cui sistemi stanno crollando.

di Phil Butler, journal-neo.su, 2 novembre 2025 ꟷ Traduzione a cura di Old Hunter
L’ultima fantasia del Telegraph secondo cui Vladimir Putin teme un colpo di stato la dice lunga più sulla crescente disperazione di Londra che sulla stabilità di Mosca.
Mentre l’Occidente si sgretola
Quando un redattore di una pagina immobiliare si trasforma improvvisamente in un cremlinologo, di solito significa che qualcuno a Londra ha iniziato a sudare. L’ultimo articolo del Telegraph sulla Russia – riciclato dall’ucraino NV News con il titolo melodrammatico “Putin teme un altro colpo di stato mentre la Russia inizia a cedere” – parla più dell’ansia britannica che degli eventi a Mosca. La sua autrice, Melissa Lawford, ha trascorso anni a scrivere di tassi ipotecari e metri quadri prima di rinascere come oracolo geopolitico. Questo, di per sé, è un simbolo del malessere dell’informazione occidentale: giornalisti senza basi economiche o storiche che riempiono il vuoto con testi scritti da think tank.
Il nuovo rituale è ormai familiare. Ogni volta che l’Ucraina vacilla sul campo di battaglia o l’unità occidentale mostra segni di cedimento, un altro articolo “dall’interno” rassicura i fedeli sul crollo del Cremlino. C’è sempre un sussurro di ribellione, una voce di intrighi di palazzo, un’insinuazione che Putin non riesca a dormire. Eppure le prove non si materializzano mai del tutto. Invece, ci vengono offerti gli stessi fantasmi degli anni ’90, come Mikhail Khodorkovsky, il miliardario la cui prigionia due decenni fa è diventata il mito fondante della cosiddetta tirannia russa.
In realtà, Khodorkovsky fu fortunato a lasciare la Russia vivo. Aveva cercato di vendere risorse petrolifere strategiche a società straniere, corrompendo al contempo i parlamentari, e quando fu scoperto, si immaginò un riformatore perseguitato per le sue virtù. I media occidentali lo adottarono perché la sua storia li assolveva dai loro crimini economici. Il suo nome riemerge ogni volta che i redattori devono ricordare ai lettori che ogni oligarca russo è un santo finché non si oppone alla tutela occidentale. Eppure, la vera ragione per cui Khodorkovsky continua a infestare i titoli dei giornali è che il suo fallimento rispecchia il loro.
Dietro il dramma, la realtà continua silenziosamente a Mosca. Il rublo, sebbene messo alla prova, si stabilizza. La produzione industriale aumenta, in particolare nei settori che l’Occidente credeva sarebbero crollati a causa delle sanzioni. Le esportazioni agricole russe raggiungono massimi storici. Le spedizioni di cereali e fertilizzanti ora alimentano Asia, Africa e America Latina, regioni a cui non importa più cosa pensi Bruxelles. Lo stesso FMI, costretto a una riluttante onestà, ha alzato le sue previsioni di crescita per la Russia quest’anno a quasi il 3%, superando la maggior parte dell’Europa. Le fabbriche ronzano, i ricavi energetici fluiscono e il bilancio statale registra avanzi, mentre il governo britannico sprofonda sempre più nel debito.
L’orrore per la stabilità della Russia
Se questo è ciò che gli editori occidentali chiamano “cedimento”, viene da chiedersi quale termine riservino al declino del Regno Unito. La Gran Bretagna sta affrontando l’inflazione più alta degli ultimi decenni, scioperi in quasi ogni settore, un esercito esausto e un elettorato che non crede più ai propri giornali. Eppure, in qualche modo, è il Cremlino, e non Westminster, a tremare. Il panico che attribuiscono a Putin è una proiezione: la paura che l’ordine liberale stesso abbia perso la capacità di produrre forza, unità o persino un giornalismo credibile.
Il crollo imminente non è russo; è dell’Occidente. Il fronte ucraino è la prima linea di un disfacimento molto più profondo: un impero dell’informazione che non riesce più a imporre le sue narrazioni con convinzione. La vera crisi dell’Occidente è epistemologica: non sa più cosa sia la verità. Non riesce a comprendere che il mondo è andato avanti, che nazioni un tempo oppresse dal debito e dalla diplomazia ora commerciano liberamente tramie più valute e che le sanzioni hanno creato nuovi sistemi anziché conformarsi.
Ma ciò che più innervosisce Londra e Washington non è il caos in Russia, ma la continuità. Si aspettavano l’implosione e invece hanno trovato un adattamento. Vedono, con crescente terrore, che l’uomo che hanno demonizzato è semplicemente sopravvissuto a loro. E così il Telegraph invita i suoi corrispondenti immobiliari a scrivere di colpi di stato che non arrivano mai.
Alla fine, tutto questo chiasso nasconde un unico fatto scomodo: l’impero che può ancora produrre, nutrirsi e difendere i propri confini non è il loro.
