La crisi sistemica globale sta spingendo il blocco anglo-americano a rischiare la guerra in America Latina, rilanciando vecchie operazioni della CIA e la “guerra alla droga” per distruggere l’influenza di Cina, Russia e BRICS in quella regione all’interno del nuovo ordine multipolare. Tuttavia, il narcotraffico non è un fenomeno isolato o regionale, bensì una struttura controllata da Wall Street e dalla City di Londra, dove convergono su scala planetaria gli interessi finanziari che sostengono il narcotraffico e le speculazioni bancarie dei narco-finanziatori globali.

di José Luis Preciado, chinabeyondthewall.org, 3 novembre 2025 ꟷ Traduzione a cura di Old Hunter
Lo scacchiere latinoamericano è ancora una volta il palcoscenico di una guerra ibrida, il cui epicentro è il Venezuela, mentre il sistema finanziario occidentale è sull’orlo di una crisi sistemica globale. Secondo l’analista Dennis Small dell’Executive Intelligence Review, questa crisi non è solo circostanziale, ma di civiltà: l’ordine finanziario anglo-americano, basato sulla speculazione, la deindustrializzazione e il predominio monetario del dollaro, ha esaurito la sua base produttiva e politica. Di fronte all’ascesa dei BRICS, Cina e Russia stanno offrendo al Sud America una via verso uno sviluppo sovrano – porti, ferrovie, energia e commercio in valute locali – che minaccia l’architettura di potere ereditata da Bretton Woods. In risposta, Washington e Londra stanno attivando il loro arsenale classico: sanzioni, guerra psicologica, sabotaggio economico e operazioni segrete.
Nulla simboleggia meglio questa offensiva del Premio Nobel conferito a María Corina Machado, una figura costruita dall’apparato mediatico occidentale come icona della “democrazia venezuelana”. Secondo l’analista Gleb Kuznetsov, la Machado è una discendente diretta dei Marchesi di Toro e figlia di un magnate dell’acciaio. Appartiene all’élite bianca ed europeizzata che per secoli ha monopolizzato il potere politico ed economico del Venezuela. Educata in collegi americani e allineata con Washington, ha ripetutamente chiesto un intervento militare straniero per rovesciare il governo di Caracas e ha sostenuto sanzioni che stanno soffocando il suo stesso popolo con il pretesto dei “diritti umani”. In realtà, il suo progetto politico rappresenta la restaurazione oligarchica di una classe definita razzialmente – bianca, ricca e influenzata dall’estero – che considera la maggioranza meticcia e afro-venezuelana un corpo estraneo da governare.
La narrazione liberale di “democrazia contro dittatura” maschera una guerra di classe e razziale iniziata nel 1998, quando il chavismo diede voce politica a maggioranze storicamente escluse. Per il Comitato Nobel, tuttavia, quella storia non esiste: contano solo le forme – l’estetica occidentalizzata, il discorso di libertà e progresso, il linguaggio dei diritti umani – anche se dietro di esse si nasconde la stessa struttura razzista e coloniale che ha sempre governato il Paese. Come osserva Dennis Small, l’Occidente celebra le proprie illusioni: l’idea che i conflitti sociali possano essere risolti con sanzioni e bombardamenti, ignorando le radici storiche del potere e della disuguaglianza.
Nel frattempo, Donald Trump ha pubblicamente confermato di aver autorizzato operazioni segrete della CIA in Venezuela, che comportano l’uso della forza, giustificandole con argomenti relativi al narcotraffico e all’immigrazione. Ciò rappresenta un’esplicita riattivazione del meccanismo imperiale che per decenni ha permesso a Washington di scatenare guerre con il pretesto della lotta alla droga. La Reuters e altri media ammettono di non aver potuto verificare la natura di queste operazioni, ma il loro schema storico è chiaro: dal Guatemala al Nicaragua, da Panama alla Bolivia, la CIA ha utilizzato la “sicurezza emisferica” come pretesto per il controllo politico ed economico del continente.
Nell’ottobre 2025, tre bombardieri strategici B-52H Stratofortress hanno decollato dalla Louisiana e si sono avvicinati allo spazio aereo venezuelano in quella che viene interpretata come una prova generale di attacco. Contemporaneamente, la Marina statunitense ha affondato navigli nei Caraibi con accuse infondate di traffico di droga. Fonti citate dal New York Times hanno rivelato l’esistenza di un’autorizzazione presidenziale che consentiva alla CIA di condurre operazioni letali in Venezuela e coordinare azioni militari più ampie contro il presidente Nicolás Maduro. Dietro l’ideazione di questa strategia c’è il senatore Marco Rubio, uno dei principali artefici del programma di cambio di regime in America Latina.
Il dispiegamento militare statunitense, giustificato dalla nuova “guerra alla droga” di Trump, è un’eco grottesca della storia. Fin dalla Guerra Fredda, la CIA stessa è stata strutturalmente coinvolta nel traffico di droga, utilizzando la droga come strumento per finanziare guerre segrete e operazioni di destabilizzazione. Gary Webb lo ha documentato negli anni ’90: l’agenzia finanziava i Contras nicaraguensi contrabbandando cocaina a Los Angeles, e questa rete era protetta dal Dipartimento di Giustizia e dalla DEA. Dalle mafie corse di Marsiglia ad Air America in Vietnam e ai mujaheddin in Afghanistan, il traffico di droga è stato uno strumento sistematico dell’apparato di intelligence statunitense. Oggi, quando Trump invoca una crociata contro la droga, il cinismo storico raggiunge livelli abissali.
Dennis Small sottolinea che l’escalation militare contro il Venezuela è parte di una reazione disperata di Wall Street e della City di Londra al declino del dollaro e al consolidamento dei BRICS come alternativa finanziaria globale. In India, le aziende pagano il petrolio russo con lo yuan; in Perù, sostiene Small, la caduta del governo di Dina Boluarte è stata un colpo di stato orchestrato per bloccare il progetto portuale di Chancay e il corridoio bioceanico con la Cina, componenti chiave della Belt and Road Initiative.
Pertanto, i crescenti tentativi di cambio di regime in America Latina fanno parte di un’offensiva diretta del Pentagono, del Dipartimento di Stato e degli errori politici di Donald Trump, che usa il pretesto del narcotraffico per giustificare le operazioni militari nei Caraibi. Come esempio storico, Small cita l’emblematica fotografia dell'”abbraccio Grasso” – l’incontro del 1999 tra Richard Grasso, presidente della Borsa di New York, e Raúl Reyes, responsabile finanziario delle FARC – che dimostra come il narcotraffico non sia un fenomeno isolato o regionale, bensì una struttura controllata da Wall Street e dalla City di Londra, dove convergono gli interessi finanziari che sostengono il narcotraffico su scala globale, secondo un’inchiesta dell’Executive Intelligence Review pubblicata nel 1978 intitolata “Drugs, Inc. Britain’s Opium War on the World“.
L’offensiva anglo-americana, perciò, non si limita al Venezuela: abbraccia tutta l’America Latina, dove ogni progetto di integrazione con l’asse eurasiatico è percepito come una minaccia esistenziale al predominio finanziario occidentale.
Il discorso liberale che legittima queste operazioni – difesa della democrazia, lotta alla droga, stabilità regionale – si dissolve di fronte alla realtà: sanzioni che condannano milioni di persone alla fame, campagne mediatiche che rendono invisibile la maggioranza, premi Nobel assegnati ad agenti del cambio di regime e bombardieri strategici che sorvolano i Caraibi in nome della “libertà”. In definitiva, ciò che è in gioco è la sopravvivenza di un sistema egemonico che rifiuta di accettare il declino del suo potere.
Pertanto, se Trump volesse davvero porre fine al narcotraffico, non dovrebbe lanciare missili contro le navi nei Caraibi, ma piuttosto usare un “missile finanziario” contro i veri colpevoli: le banche di Wall Street. Quel “missile” sarebbe il ripristino del Glass-Steagall Act, che separerebbe le banche speculative da quelle commerciali e paralizzerebbe il potere dei narco-finanziatori globali.
L’attuale crisi esprime una frattura di civiltà: lo scontro tra un ordine anglo-americano in declino – fondato sulla speculazione, sulla violenza occulta e sull’estetica dei diritti umani – e un blocco emergente che afferma la sovranità nazionale, la cooperazione e lo sviluppo scientifico e tecnologico come base della nuova multipolarità. In questo senso, i BRICS rappresentano non solo un contrappeso economico, ma anche una rottura epistemologica con il paradigma liberal-finanziario.
L’assegnazione del Premio Nobel a Machado, le operazioni segrete della CIA, la militarizzazione dei Caraibi e la strumentalizzazione del narcotraffico rientrano tutti nello stesso quadro strategico: impedire che l’America Latina, e più specificamente il suo Cono Sud, diventi un pilastro dell’architettura multipolare che sta ridefinendo Eurasia e Africa. La regione è l’ultimo baluardo a cui il blocco anglo-americano sta cercando di aggrapparsi attraverso la guerra ibrida, mentre il suo sistema finanziario implode sotto il peso di “stablecoin” non garantite e di debiti impagabili.
La storia si ripete, ma il contesto è cambiato. Negli anni ’70, la CIA poteva operare impunemente; oggi, l’esistenza di un’alleanza globale alternativa – Cina, Russia, Iran, India, Sudafrica e un numero crescente di paesi del Sud del mondo – limita la capacità di Washington di imporre la propria volontà con la forza. La crisi sistemica globale sta accelerando il crollo del vecchio ordine e, con esso, la disperazione delle sue élite. Ogni bomba, ogni sanzione e ogni “premio per la pace” sono sintomi di questo decadimento.
In gioco non c’è solo il destino del Venezuela o dei Caraibi, ma la battaglia finale tra due visioni del mondo: l’egemonia unipolare del capitale finanziario contro l’emergere di un ordine pluricentrico basato sullo sviluppo reciproco. Il Sud America, ancora una volta, è il banco di prova di questo scontro storico. E la domanda che si pone non è se ci sarà una guerra, ma fino a che punto l’Occidente è disposto a incendiare il continente per ritardarne la caduta.
