LA CADUTA DEL REGIME DI ZELENSKY E DI QUELLO DEI SUOI ALLEATI

DiOld Hunter

25 Novembre 2025
Il piano di pace statunitense-russo per l’Ucraina pone certamente fine a un conflitto. Ma, soprattutto, apre la strada a una riscrittura della Storia. No, l’operazione militare russa non è stata un’«aggressione militare illegale, non provocata e ingiustificata», ma l’applicazione della Risoluzione 2202 del Consiglio di sicurezza, in conformità al diritto internazionale. Le popolazioni europee, se riconosceranno di essersi sbagliate o di essere state ingannate cambieranno i loro regimi come l’Ucraina cambierà presto il proprio.
Il vertice di Anchorage del 15 agosto 2025 ha definito i principi del piano di pace per l’Ucraina

di Thierry Meyssan, voltairenet.org, 25 novembre 2025  

Il conflitto tra Ucraina e Russia sta volgendo al termine: i presidenti russo e statunitense hanno concordato un piano in 28 punti, sul modello di quello adottato dal Consiglio di Sicurezza per il conflitto arabo-ebraico [1].

Sebbene i principi guida siano stati approvati durante il vertice di Anchorage (Alaska) del 15 agosto 2025 da Donald Trump e Vladimir Putin in persona, i dettagli sono stati negoziati da Steve Witkoff e Kirill Dmitriev dal 24 al 26 ottobre a Miami. L’accordo è stato ufficialmente rivelato a Rumstem Umerov, segretario del Consiglio di Sicurezza e Difesa ucraino, solo all’inizio della scorsa settimana, prima che fuggisse in Qatar. Il presidente ucraino non-eletto Zelensky ne è venuto a conoscenza nel dettaglio il 20 novembre, quando Dan Driscoll (segretario all’esercito), e i generali Randy George (capo di stato-maggiore dell’esercito) e Chris Donahye (comandane delle forze statunitensi in Europa e Africa) sono andati a presentarglielo.

Negli ultimi tre mesi le forze russe hanno bombardato le unità nazionaliste integraliste (banderiste o neonaziste, secondo il vocabolario del Cremlino) del “führer bianco” Andriy Biletsky. Quest’ultimo è quindi stato sconfitto nelle battaglie di Mariupol (maggio 2022), Bakmut/Artiomovsk (dicembre 2023) e Pokrovsk (novembre 2025).

L’11 novembre il Dipartimento di Stato ha dato il via libera alla divulgazione dell’Operazione Midas, vasta inchiesta condotta dall’Ufficio anticorruzione ucraino (NABU) con l’aiuto di 80 ispettori statunitensi. L’operazione ha già provocato le dimissioni di due ministri – Herman Halushchenko, ministro della Giustizia, e Svitlana Grynchuk, ministra dell’Energia – nonché la fuga in Qatar del citato Umerov. Con ogni probabilità seguiranno le dimissioni di Andriy Yermak, capo di gabinetto dell’Ufficio di presidenza. A quel punto Zelensky sarà privo di difese: i principali responsabili politici su cui faceva affidamento saranno annientati. Non avrà altra scelta se non accettare il piano di Trump o fuggire, seguendo l’esempio di Umerov.

Diversamente da quanto ci si sarebbe aspettati, quando il 20 novembre ha incontrato la delegazione statunitense, il presidente non-eletto non ha cercato di modificare il piano di pace, ma di ottenere un’amnistia; non un’amnistia per i crimini di guerra, ma per i reati di corruzione.

Già ora gli ucraini rimasti nel Paese (un terzo della popolazione è fuggito, metà in Russia e metà in Unione Europea) sono furiosamente contrari all’autoproclamato presidente. Era stato eletto per combattere la corruzione, l’ha invece portata a livelli senza precedenti. A novembre la popolazione si è rivoltata diverse volte contro i reclutatori militari. Anche i nazionalisti integralisti ritengono ormai che Zelensky non possa più aiutarli a realizzare i loro progetti apocalittici contro gli slavi e stanno cercando di mettersi d’accordo in fretta per rovesciarlo.

Gli Stati dell’Unione Europea, che immaginavano una guerra lunga e si stavano preparando ad affrontarla, non possono accettare una capitolazione di fatto. Oggi si trovano di fronte alla fine brutale del proprio sogno. Alla caduta del regime ucraino seguirà, evidentemente, quella dei leader europei che l’hanno sostenuto.

È infatti arrivato il momento della resa dei conti. L’Unione Europea ha dapprima elargito all’Ucraina un miliardo di euro in contanti, poi il suo comitato militare ha istituito una camera di compensazione per consentire agli ucraini di scegliere le armi da prelevare dalle scorte degli eserciti dei Paesi membri. Infine la UE ha messo a disposizione dell’Ucraina i propri mezzi, come i satelliti. La Ue ha dato sempre di più: fino ai tre miliardi di euro a luglio-agosto.

Non è esito di iniziative dei funzionari della Commissione. Il primo marzo 2022 il parlamento europeo – eletto a suffragio universale – in una sessione cui ha partecipato in videoconferenza il presidente Zelensky, ha fatto propria l’ottica della Nato, che ignora gli Accordi di Minsk e considera l’operazione speciale russa contro i nazionalisti integralisti – in applicazione della Risoluzione 2202 del Consiglio di Sicurezza – un’«aggressione militare illegale, non provocata e ingiustificata». Adottando la Risoluzione P9¬TA(2022)0052 il parlamento europeo ha aperto la strada al sostegno incondizionato della Ue al regime di Zelensky, e molti Stati membri vi si sono buttati a capofitto.

Dopo che il 28 febbraio 2025 il presidente Trump e il suo vice Vance hanno strapazzato Zelensky nella stanza ovale della Casa Bianca, alcuni governi europei si sono subito coordinati. Ci sono stati andirivieni tra Parigi e Londra, entrambe intenzionate a guidare una coalizione di volontari. Alla fine sono rimasti in lizza solo i britannici. Londra ha stretto un’alleanza con i Paesi baltici (Danimarca, Estonia, Finlandia, Islanda, Lettonia, Lituania, Norvegia, Svezia e Paesi Bassi) e il 5 novembre vi ha associato l’Ucraina: una Nato nella Nato, a guida esclusivamente britannica.

La Francia, pur non partecipando a questa alleanza capeggiata dal Regno Unito, non ha voluto essere da meno. Ma ormai si tratta più di un atteggiamento che di un’azione concreta. Il 17 novembre il presidente Macron ha firmato con l’omologo non-eletto Zelensky una lettera d’intenti secondo cui, quando l’industria francese sarà in grado di produrli, venderà 100 Rafale all’Ucraina. Poi il 18 novembre ha spedito il capo di stato maggiore delle forze armate, generale Fabien Mandon, al Congresso dei sindaci di Francia per comunicare loro che i francesi devono prepararsi a sacrificare i propri figli in un’imminente guerra contro la Russia.

In preda al panico, il 21 novembre Zelensky ha telefonato agli alleati. Secondo l’Eliseo, Emmanuel Macron, Friederich Merz e Keir Starmer hanno ribadito ancora una volta «che tutte le decisioni che hanno implicazioni per gli interessi dell’Europa e della Nato richiedono il sostegno congiunto e il consenso rispettivamente dei partner europei e degli alleati della Nato».

Il 22 novembre si sono ritrovati tutti a Johannesburg (Sudafrica), al vertice dei capi di Stato e di governo del G20, a eccezione di… Trump e Putin. La dichiarazione finale contiene solo una frase evasiva sull’argomento: «Guidati dagli obiettivi e dai principi della Carta delle Nazioni Unite nella sua interezza, lavoreremo per una pace giusta, completa e duratura in Sudan, nella Repubblica Democratica del Congo, nei Territori palestinesi occupati, in Ucraina, nonché per porre fine ad altri conflitti e guerre in tutto il mondo». Banalità che non giustificano una riunione di tale livello. Gli europei si sono comunque consultati dietro le quinte per elaborare una controproposta.

La stampa europea si limita a definire il piano di pace russo-statunitense «favorevole a Mosca», il che non è affatto vero né è il nocciolo della questione. Il piano, per quanto ne sappiamo, prevede il riconoscimento della Crimea e delle due repubbliche del Donbass (Donetsk e Lugansk) come territori russi. Ma era già così PRIMA della guerra. Prevede anche che il resto della Novorossia sarà attribuito secondo la linea del fronte. In altri termini, passeranno alla Russia quasi per intero gli oblast di Kherson e Zaporijia, ma non il porto di Odessa che le avrebbe consentito di stabilire una continuità territoriale con la Transnistria, candidata all’adesione alla Federazione di Russia.

Inoltre il piano impone la riduzione dell’esercito ucraino da 800 mila a 600 mila uomini, la rinuncia ai missili a lungo raggio, in grado di colpire Mosca (ma che al momento non possiede; si tratta del dibattito sui Tomahawk statunitensi e sui Taurus tedeschi), e all’adesione alla Nato, ma aerei da caccia europei potranno essere stazionati in Polonia.

Dal punto di vista russo, la questione più importante è altra: la denazificazione del regime di Kiev. Obiettivo fondamentale di cui i membri della Nato non sono mai stati consapevoli. La denazificazione presuppone in ciascun Paese un programma di educazione alla cultura dell’altro, come fu quello attuato in Francia e Germania alla fine della seconda guerra mondiale.

Mosca ottiene quindi ciò per cui si è battuta, ma non ciò che spera da tempo: il ritiro della Nato ai confini del 1991. Un punto che sarà sempre fonte di conflitto. L’Unione Europea deve esserne consapevole. Non dovrà stupirsi se questo conflitto si protrarrà.

Da parte statunitense, Washington s’impegna a revocare le sanzioni contro la Russia e a reintegrarla nel G7/8.

Certo il presidente Trump riuscirà a tirar fuori il suo Paese da questo ginepraio. Ma intende anche porre l’Unione Europea di fronte alle proprie responsabilità.

La ricostruzione dell’Ucraina, stimata in 200 miliardi di dollari, sarà finanziata per metà dall’Unione Europea e per metà dalla Russia. Ciascuna delle due parti dovrà dunque sborsare 100 miliardi di dollari. La quota russa sarà prelevata dai fondi congelati durante il conflitto, sotto il controllo degli Stati Uniti, che beneficeranno della metà dei proventi di questi investimenti.

Infine, se l’Ucraina rinnoverà l’impegno a non costruire bombe atomiche, l’elettricità prodotta dalla centrale di Zaporijia sarà destinata per metà all’Ucraina e per metà alla Russia.

Nessuno menziona però il punto più critico: l’Unione Europea, e di conseguenza la Nato, dovranno riconoscere che la Russia non ha compiuto «un’aggressione militare illegale, non provocata e ingiustificata», ma ha applicato legittimamente la risoluzione 2202 del Consiglio di Sicurezza, in conformità con la Carta delle Nazioni Unite e il diritto internazionale.

È necessario un esame di coscienza da parte di ciascuno. Tutti hanno alimentato questa guerra, di cui non si conosce il numero delle vittime. Gli alti funzionari di Bruxelles hanno agito con arroganza, i governi membri della Ue hanno avuto un comportamento gregario, e i popoli europei si sono convinti d’incarnare la pace.

È questa presa di coscienza la cosa più importante, suscettibile tra l’altro di provocare la caduta dei regimi che volevano «mettere in ginocchio la Russia» e hanno agito di conseguenza.

                                                                                                                                 Thierry Meyssan

[1] “Il piano di Trump per la pace in Ucraina”, Traduzione Rachele Marmetti, Rete Voltaire, 25 novembre 2025.

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