La Gaza Humanitarian Foundation (GHF) è una fondazione registrata in Svizzera a febbraio 2025, designata da Israele e Stati Uniti per gestire la distribuzione degli aiuti umanitari nella Striscia di Gaza per sostituire l’UNRWA. Nelle intenzioni di questi due paesi, entro la fine di maggio 2025 la GHF dovrebbe diventare l’unico canale autorizzato per l’ingresso e la distribuzione di cibo, medicinali e beni essenziali nella Striscia di Gaza. Non ha esperienza pregressa nel settore umanitario e presenta una struttura a dir poco opaca, elemento che solleva numerosi interrogativi sulla legittimità, la trasparenza e l’efficacia operativa. Gli obiettivi del progetto appaiono essenzialmente due: privatizzare gli aiuti umanitari a Gaza tramite l’impiego di contractor militari privati e militarizzare la distribuzione affidando all’esercito israeliano il totale controllo sui cittadini palestinesi attraverso il ricorso al controllo biometrico per la distribuzione degli aiuti.

ANTEFATTI
Prima della guerra, Gaza riceveva fino a 600 camion di aiuti al giorno attraverso sei valichi, principalmente gestiti dall’Unrwa. Dopo l’inizio del conflitto nell’ottobre 2023, Israele ha progressivamente ridotto questi flussi per motivi di sicurezza, imponendo un blocco totale tra marzo e maggio 2025, il più lungo nella storia dell’enclave. In questi due mesi e mezzo, quasi nessun aiuto è entrato, aggravando una crisi alimentare già seria. Solo di recente, sotto pressione statunitense, sono stati autorizzati pochi camion, mentre circa tremila risultano ancora bloccati ai confini.
È in questo quadro critico che il governo israeliano ha definito la parziale ripresa degli aiuti come un “ponte temporaneo” in vista dell’introduzione, entro la fine di maggio, di un nuovo meccanismo di distribuzione. Il sistema attuale, gestito da agenzie dell’Onu come l’Unrwa, sarà completamente sostituito dalla Gaza Humanitarian Foundation (Ghf), una fondazione svizzera di recente costituzione, che diventerà l’unico canale autorizzato per l’ingresso di cibo e medicinali. [1]
FUNZIONE E OBIETTIVI DICHIARATI DELLA GHF
La GHF dovrebbe diventare l’unico canale autorizzato per l’ingresso e la distribuzione di cibo, medicinali e beni essenziali nella Striscia di Gaza entro la fine di maggio 2025. Opererà attraverso pochi hub centralizzati, principalmente nel sud della Striscia, sotto la supervisione dell’esercito israeliano. Il progetto del governo Netanyahu prevede infatti la creazione di pochi centri di distribuzione gestiti da contractor privati e protetti dalle forze armate israeliane, un approccio in totale contrasto con il modello da sempre usato dall’ONU, che prevede centinaia di punti di distribuzione più piccoli in tutta l’enclave. L’attività dovrebbe avvalersi di contractor privati, tra cui le società di sicurezza private americane Safe Reach Solutions e UG Solutions, per proteggere i punti di distribuzione. Questi centri saranno collocati in aree designate dall’esercito israeliano, con un sistema di accesso che include controlli biometrici.
La motivazione ufficiale sostenuta da Israele e Stati Uniti per l’esistenza di GHF è evitare che gli aiuti finiscano nelle mani di Hamas, accusato di dirottare risorse. Più in generale, la decisione si inscrive nella campagna di delegittimazione della UNRWA, l’Agenzia delle Nazioni Unite per il soccorso e l’occupazione dei profughi palestinesi nel vicino oriente, che Israele accusa di essere “infiltrata” da Hamas. Per questo motivo, Israele ha approvato nel 2024 una legge che vieta le attività dell’UNRWA sul proprio territorio e nei territori occupati, rendendo impossibile il suo operato, soprattutto a Gaza, dove la cooperazione con l’esercito israeliano è essenziale per la distribuzione degli aiuti.
La fondazione GHF si presenta in apparenza come “un’entità neutrale” per gestire una crisi umanitaria in un’area devastata dalla guerra. Organizzazioni per i diritti umani e osservatori internazionali hanno, però, criticato GHF definendola una “farsa politicizzata” che opera sotto il controllo diretto di Israele. L’ONU, a lungo il principale fornitore di aiuti a Gaza, ha condannato l’accordo come una “foglia di fico” per lo sfollamento, mentre un “membro del consiglio” citato in una bozza di documento della GHF questo mese ha detto al Financial Times di non essere mai stato nel loro consiglio. Il capo degli aiuti delle Nazioni Unite, Tom Fletcher, ha detto al Consiglio di sicurezza la scorsa settimana che il piano GHF subordina “gli aiuti a obiettivi politici e militari”: “Rende la fame una merce di scambio”.
DUBBI SULLE REALI COMPETENZE IN CAMPO UMANITARIO
Un articolo del Financial Times di qualche giorno fa solleva pesanti interrogativi sulla natura e le reali competenze in campo umanitario di GHF. Registrata in Svizzera a febbraio da un cittadino armeno senza precedente esperienza documentata nel settore, la fondazione include anche un ramo americano di cui si conoscono pochi dettagli. Il quotidiano britannico ha già documentato l’arrivo in Israele di personale di sicurezza privato, ingaggiato per proteggere convogli e siti di distribuzione. Le due società di sicurezza americane che saranno coinvolte coinvolte – Safe Reach Solutions e Ug Solutions – hanno già operato brevemente a Gaza durante un cessate il fuoco temporaneo a gennaio, ma non hanno risposto alle domande dei giornalisti sulle loro operazioni attuali e sui termini del loro contratto con la fondazione. GHF rivendica collaborazioni con figure come Tony Blair e Nate Mook (ex World Central Kitchen), i quali, però, hanno smentito ogni coinvolgimento.
GHF dice che distribuirà 300 milioni di pasti nei primi 90 giorni e che i suoi piani prevedono di nutrire i palestinesi per 1,30 dollari a pasto, compreso il costo del pagamento dei mercenari stranieri che assumerà per proteggere il cibo e le sue strutture.
Ma non c’è chiarezza su come verrà finanziata GHF. Nessun donatore straniero ha contribuito fino alla scorsa settimana, secondo tre persone che hanno familiarità con il piano, sollevando dubbi sulla provenienza dei finanziamenti e degli aiuti. Una persona che ha familiarità con le attività di GHF ha detto che una singola nazione si è impegnata per almeno 100 milioni di dollari, ma non si è ancora fatta avanti.
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Nate Mook, l’ex amministratore delegato di World Central Kitchen, un ente di beneficenza che ha sfamato centinaia di migliaia di palestinesi prima di esaurire le scorte a causa dell’assedio, è stato nominato in un primo documento del GHF come “un inestimabile membro del consiglio di amministrazione”. Mook ha detto al FT che “non era nel consiglio di amministrazione” e ha rifiutato di commentare ulteriormente. La persona che ha familiarità con le operazioni di GHF ha detto che il suo nome era apparso in una “bozza di documento interno che purtroppo è trapelato alla stampa”.
GHF è stata oggetto di attenzione per la sua struttura organizzativa opaca, a cominciare dal fatto di essere un’affiliata svizzera costituita all’inizio di febbraio da un cittadino armeno senza legami significativi con il lavoro umanitario e un secondo ramo americano anonimo della fondazione. Poco è stato rivelato sul finanziamento della fondazione. Nei giorni scorsi i media israeliani hanno pubblicato fotografie di appaltatori della sicurezza privata stranieri vestiti di kaki che atterrano nel paese e vengono informati, prima del dispiegamento a guardia dei convogli di aiuti e dei siti di distribuzione.
Le due aziende statunitensi coinvolte – Safe Reach Solutions e UG Solutions – sono state assunte per gestire un sistema di checkpoint molto più piccolo all’interno di Gaza all’inizio dell’anno durante un cessate il fuoco di breve durata. Nessuna delle due aziende ha risposto ai messaggi in cerca di commenti.
Il direttore esecutivo di GHF, Jake Wood, un veterano dei Marines degli Stati Uniti che gestiva l’agenzia di soccorso Team Rubicon, ha sostenuto che, mentre il piano di aiuti è imperfetto, è l’unico modello che ha l’approvazione di Israele:
“Siamo impegnati a fornire aiuti in modo umanitario, non militarizzato”, ha detto un portavoce di GHF. “La distribuzione sarà gestita esclusivamente da team civili”. “Ora è il momento di collaborare a questo sforzo. Comprendiamo alcune delle preoccupazioni [dell’ONU], ma questo nuovo meccanismo è il metodo per fornire assistenza salvavita agli abitanti di Gaza in un modo che Israele permetterà”.
Il Tony Blair Institute ha negato che Blair o il TBI stessero svolgendo un lavoro di consulenza formale per conto del programma.
L’ONU e altre agenzie hanno finora rifiutato di partecipare, sostenendo che istituendo solo una manciata di centri di distribuzione di massa – per lo più raggruppati nel sud di Gaza – GHF costringerà i palestinesi affamati a portare le loro famiglie nella regione al confine con l’Egitto.
The little-known group poised to take over Gaza’s aid, Financial Times, 21 maggio 2025
RICORSO A TECNOLOGIE BIOMETRICHE PER LA DISTRIBUZIONE DEGLI AIUTI
Il modello di distribuzione degli aiuti scelto da GHF prevede lo screening biometrico per controllare l’accesso, assicurando che raggiungano solo destinatari verificati e impedendo la diversione da parte di gruppi come Hamas, che Israele accusa di rubare gli aiuti. Il sistema biometrico, come delineato in proposte correlate come quella della Global Delivery Company (GDC), include tecnologie come impronte digitali, scansioni facciali e possibilmente campioni vocali per verificare l’identità dei palestinesi ai checkpoint di distribuzione degli aiuti. Questi posti di blocco farebbero parte di “bolle umanitarie” o zone sicure, principalmente nel sud di Gaza, protette da appaltatori di sicurezza privati e coordinate con l’esercito israeliano, anche se GHF insiste che le Forze di Difesa Israeliane (IDF) non saranno direttamente coinvolte nella distribuzione degli aiuti.
Sebbene i nomi dei fornitori dei sistemi biometrici di GHF non siano pubblicamente dettagliati, aziende come Keyless e AuthenticID, note per l’autenticazione biometrica che preserva la privacy e la verifica automatizzata dell’identità, sono citate in contesti simili per le loro tecnologie biometriche avanzate.
Gruppi per i diritti umani, come Skyline International for Human Rights (SIHR), hanno condannato il sistema biometrico come una forma di sorveglianza coercitiva. Sostengono che richiedere ai palestinesi di presentare dati biometrici (ad esempio, scansioni facciali o dell’iride) in cambio di aiuti essenziali come cibo e acqua trasforma gli aiuti umanitari in un meccanismo di controllo, opprimendo potenzialmente una popolazione già vulnerabile.
Lo stesso Washington Post, in un articolo di ieri, arriva a definire le aree sotto sorveglianza di GHF come “campi di concentramento con biometria” e accosta GHF a Blackwater, la famigerata ex società mercenaria statunitense accusata di innumerevoli atrocità in Iraq:
In documenti interni precedentemente non pubblicati, il gruppo ha dettagliato un modello radicalmente nuovo e ambizioso: ha immaginato la creazione di un’organizzazione chiamata Gaza Humanitarian Foundation (GHF) che avrebbe assunto appaltatori privati armati per fornire logistica e sicurezza per una manciata di centri di distribuzione degli aiuti da costruire nel sud di Gaza. In base all’accordo, che sostituirebbe le attuali reti di distribuzione degli aiuti coordinate dalle Nazioni Unite, i civili palestinesi dovranno recarsi presso gli hub e sottoporsi a controlli di identità per ricevere razioni dalle organizzazioni non governative (ONG). Alla fine, secondo il piano, i palestinesi vivrebbero in complessi sorvegliati che ospiterebbero ciascuno fino a decine di migliaia di non combattenti.
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In un documento confidenziale di 198 pagine datato novembre 2024, sei mesi prima che Israele e Stati Uniti approvassero pubblicamente la GHF, i pianificatori del progetto hanno riconosciuto che si tratta di una “entità completamente nuova… che non ha progetti passati o prestazioni su far leva” e che la GHF avrebbe bisogno di reclutare con cura gruppi di aiuto internazionali e dirigenti rispettabili “che abbiano la loro credibilità all’interno del mondo umanitario”. Ma quasi nessuna delle principali agenzie delle Nazioni Unite o dei gruppi di aiuto elencati nei piani ha accettato di cooperare.
Nonostante sia stata annunciata in un comunicato stampa del 14 maggio, la GHF è rimasta impantanata internamente nella confusione e nel dubbio. Importanti dirigenti umanitari che l’organizzazione ha propagandato come cruciali per guidare i suoi sforzi devono ancora firmare o l’hanno sconfessata, e i paesi arabi ed europei che sono stati proposti come finanziatori si sono tirati indietro, sollevando dubbi su come la GHF avrebbe reperito finanziamenti e forniture di aiuto.
I documenti di pianificazione anticipavano lo scetticismo dell’opinione pubblica e preparavano preventivamente punti di discussione nel caso in cui la GHF si fosse imbattuta in accuse che paragonassero i suoi centri di distribuzione alimentare e complessi residenziali a “campi di concentramento con biometria” o paragonassero l’organizzazione alla Blackwater, un’ex società mercenaria statunitense implicata nelle violenze contro i civili in Iraq.
Anche ai più alti livelli delle Forze di Difesa Israeliane, alti ufficiali hanno messo in discussione il piano, dicono persone che hanno familiarità con le deliberazioni interne. Sebbene gli ufficiali dell’IDF concordino ampiamente sul fatto che la presunta diversione degli aiuti debba essere affrontata, dicono queste persone, alcuni ufficiali si sono chiesti se le lunghe code agli hub della GHF porterebbero a fughe precipitose, come le forze di sicurezza private avrebbero operato a fianco dell’IDF e se il piano servisse a un obiettivo politico più ampio di occupare Gaza.
The Washington Post, Sweeping overhaul of Gaza aid raises questions of morality and workability, 24 maggio 2025