Arriva in Italia il Coro Amwaj fondato da Mathilde Vittu, docente al Conservatorio, e da Michele Cantoni, musicista italiano che vive a Betlemme da vent’anni. Lo abbiamo incontrato per capire cosa sta succedendo in Cisgiordania e per seguire i suoi importanti progetti a tutela della musica palestinese.
PREMESSA

Dopo l’annullamento degli spettacoli organizzati quest’estate a causa dell’aggressione israeliana all’Iran, finalmente, il Coro Amwaj arriva in Italia: sarà a Milano (21 settembre), a Genova (24), a Firenze (25), a Lavagna (26), a Modena (28), a Vicenza (30), a Venezia (2 ottobre).
Jorge Luis Borges ha scritto: “Un uomo che coltiva il suo giardino, chi è contento che sulla terra esista la musica, il ceramista che premedita un colore e una forma, chi è contento che sulla terra ci sia Stevenson…Queste persone, che si ignorano, stanno salvando il mondo”. Abbiamo incontrato una di queste persone, il maestro Michele Cantoni che, insieme alla moglie Mathilde Vittu (docente al Conservatorio di Parigi), porta la musica fra le strade martoriate di Betlemme e della Cisgiordania confermando una volta di più che l’arte resta una delle “armi” più potenti per affermare la propria dignità. E se è vero che la musica è ciò che più assomiglia all’infinito, portarla ai ragazzi sottoposti ai confinamenti e agli sbarramenti di uno Stato occupato militarmente, significa lasciare accesa la luce della speranza.
Michele, tu avevi un’avviata carriera in Europa come violinista, cosa ti ha spinto nel 2003 a lasciare Londra per trasferirti a Betlemme?
Inizialmente è stata la curiosità: volevo osservare con i miei propri occhi ciò di cui avevo letto molto negli anni precedenti, particolarmente in libri e articoli sulla questione palestinese dello straordinario Edward Said. Mi sono recato a Betlemme, per la prima volta verso la fine della seconda Intifada, a luglio del 2003. Le due settimane trascorse lì, facendo attività musicali in un centro culturale per bambini, mi hanno letteralmente cambiato la vita. Affascinato dalla generosità e dalla positività delle persone che avevo incontrato, e non potendo restare inerte di fronte alla chiarissima realtà di apartheid che Israele imponeva su di loro, ho scelto di trasferirmi a Betlemme l’anno successivo. Una scelta che non ho rimpianto neppure per un attimo da allora.
In Palestina hai fatto tantissimo per la musica e, in generale, per salvaguardare la cultura palestinese di fronte al costante tentativo di cancellarne la memoria storica. Hai lavorato per importanti istituzioni come il Conservatorio Nazionale Edward Said, dove eri direttore didattico e artistico; hai coordinato e ideato progetti; hai creato la Palestine Philharmonie per sostenere i musicisti palestinesi e arginare la continua fuga di talenti; infine, nel 2015 hai fondato il Coro Amwaj. Come è nata l’idea di fondare un coro per bambini e giovani?

Nel corso dei miei primi dieci anni di lavoro in Palestina, ho potuto non solo partecipare attivamente al mondo dell’educazione musicale e della pratica musicale palestinese, ma anche osservarlo e conoscerlo intimamente. Il mio approccio è sempre stato quello di capire come contribuire, come sostenere, sviluppare e integrare ciò che già veniva proposto dalle varie istituzioni. Le istituzioni musicali palestinesi che esistevano allora in Cisgiordania erano principalmente delle scuole di musica private (Conservatorio Edward Said con sedi a Gerusalemme, Ramalla, Betlemme, Nablus e Gaza; Al-Kamandjati a Ramalla e Jenin; la Bethlehem Academy of Music) presso le quali lo studio della musica avveniva esclusivamente tramite lezioni individuali di strumento, generalmente piuttosto onerose. La pratica corale era praticamente inesistente.
Il mio ruolo di direttore didattico del Conservatorio Edward Said mi ha permesso, tra le altre cose, di entrare in contatto con musicisti di tutto il mondo interessati ad insegnare in Palestina. È così che, nel 2013, ho incontrato Mathilde Vittu, musicista e didatta assolutamente fuoriclasse il cui ricchissimo percorso musicale era iniziato in una scuola corale, in Francia, quando era bambina.
Quando, nel 2015, Mathilde mi ha proposto di creare assieme una scuola corale a Hebron – la città più grande della Cisgiordania, dove non esistevano progetti musicali e dove i coloni israeliani si sono insediati violentemente nel centro storico – non ho avuto esitazioni. Nasce così, quello stesso anno, la prima scuola corale palestinese, Amwaj (Onde, in arabo) con sedi a Hebron e Betlemme.

Gli studenti di Amwaj hanno accesso ad un’istruzione musicale di alta qualità, e acquisiscono un’ampia esperienza esecutiva, attraverso un programma pedagogico intensivo basato sul canto collettivo attorno ad un repertorio che va dalla musica occidentale a quella tradizionale e del mondo arabo. Ma Amwaj è innanzitutto un progetto sociale, in cui i partecipanti accedono a tutti i corsi e a tutte le attività in modo completamente gratuito. L’unico requisito per entrare a far parte del coro è l’impegno a frequentare le attività didattiche durante tutto l’anno. Attualmente, il coro è composto da circa 70 bambine, bambini e giovani tra gli 8 e i 22 anni.
Quali sono le principali difficoltà che incontri per riuscire a insegnare musica ai ragazzi cisgiordani?
Gestire un progetto pedagogico e artistico non è mai facile, ovunque. Le difficoltà sono ancora più numerose quando si vive sotto occupazione militare di un regime straniero.
La frammentazione del territorio e la separazione della popolazione occupata sono caratteristiche del sistema di apartheid imposto da Israele in tutta la Palestina storica (Cisgiordania, Gerusalemme, Gaza, e la parte della Palestina in cui nel 1948 è stato istituito lo Stato israeliano, artificialmente, mediante pulizia etnica della popolazione locale). Si tratta di un sistema disegnato per controllare e terrorizzare la popolazione autoctona, per scoraggiare gli spostamenti e i contatti tra persone di località differenti, oltre che per limitare l’accesso di stranieri che volessero recarsi in Palestina per progetti con individui o istituzioni palestinesi.

Inoltre, all’interno della società palestinese – una società patriarcale, fortemente incentrata su valori religiosi, islamici o cristiani – una delle conseguenze della prolungata occupazione israeliana è stato l’irrigidimento di alcune forme di conservatorismo che non facilitano lo sviluppo di iniziative artistiche e pedagogiche innovative e miste di genere, come Amwaj. Peraltro, la musica e l’educazione musicale sono spesso percepite semplicemente come forme di intrattenimento leggero, e le scelte personali di giovani che volessero intraprendere una carriera musicale, nonostante una crescente domanda di insegnanti di musica all’interno dei settori educativi e culturali palestinesi, raramente ricevono il sostegno che meritano e che necessitano.
Tuttavia, l’esperienza decennale di Amwaj ha dimostrato che il suo approccio pedagogico e i suoi risultati artistici riescono ad attirare sempre più interesse all’interno della società palestinese. Nel corso degli anni, infatti, abbiamo potuto notare una graduale trasformazione nell’ambito della scuola corale (i membri del coro, le loro famiglie e amici) come nelle comunità più ampie che la circondano (pubblici e istituzioni varie). Questo successo, all’interno di un terreno politico e sociale fragile, rafforza la determinazione del team di Amwaj a cercare modi per consolidare, rafforzare e sviluppare ulteriormente il proprio lavoro in modo sostenibile.

Per la sostenibilità del programma pedagogico e artistico, dal 2022 lavoriamo intensamente sulla formazione professionale di nuove generazioni di formatori e direttori di coro. I tirocinanti fungono da assistenti didattici in Amwaj e acquisiscono esperienza partecipando agli spettacoli in qualità di direttori di coro, solisti o accompagnatori al pianoforte. Nel 2024 i tirocinanti hanno iniziato a essere contattati, per la loro competenza, da altre istituzioni in Palestina e all’estero. Parallelamente al programma di formazione professionale, stiamo consolidando partenariati pedagogici con istituzioni corali e conservatori in vari paesi europei, per continuare ad offrire, ai coristi come ai tirocinanti, un’esperienza formativa il più ricca possibile.
A livello economico, per un progetto pedagogico e artistico la sostenibilità è praticamente impossibile da raggiungere. Inoltre, la maggior parte dei donatori e delle fondazioni che sostengono progetti culturali in Palestina sono più interessati a finanziare spettacoli, campi estivi e festival che a sostenere un lavoro inserito nella continuità come quello della nostra scuola corale. Noi abbiamo avuto la fortuna di trovare l’eccezione in questo contesto: la fondazione svizzera Les Instruments de la Paix – Genève ha creduto nel nostro progetto sin dall’inizio e ci ha sostenuti in questi primi dieci anni, facendosi carico delle spese legate alle attività didattiche ed alla gestione della scuola corale. Dieci anni di sostegno sono molti per qualunque fondazione e quel finanziamento cesserà alla fine di quest’anno. Siamo quindi alla ricerca di fonti alternative a partire dal 2026.
Con l’ampliamento della cosiddetta “operazione Muro di Ferro” iniziata a febbraio di quest’anno, anche in Cisgiordania la situazione si fa sempre più drammatica. Puoi descriverci cosa sta accadendo? Come hai visto cambiare città come Betlemme ed Hebron nel corso degli ultimi 20 anni?
Il peggioramento graduale della situazione, che ho osservato per vent’anni in Cisgiordania, ha avuto un’impennata a partire da ottobre del 2023, con conseguenze catastrofiche sia sulla sicurezza della popolazione palestinese che sulla situazione economica, ormai praticamente inesistente.

Al livello pratico, nel caso specifico di Betlemme e Hebron, assieme ai nostri colleghi e giovani cantanti abbiamo potuto riscontrare direttamente un irrigidimento delle restrizioni sui movimenti: mentre fino a due anni fa si poteva entrare e uscire dalle varie città della Cisgiordania tramite vie d’accesso alternative ai check-point militari principali ora, su ciascuna di quelle vie, i militari israeliani hanno messo delle pesantissime barriere metalliche che, in qualunque momento, permettono loro di sigillare completamente le città. Le barriere vengono aperte e chiuse dall’esercito a piacimento, in maniera totalmente arbitraria, risultando quotidianamente in una sorta di sadico e caotico ping-pong di veicoli all’interno delle città e attorno ad esse.
Da due anni a questa parte, l’occupazione militare e l’apartheid, mediante sempre più esplicite azioni di punizione collettiva, si sono trasformate in enormi operazioni di pulizia etnica e genocidio, in maniera sistematica a Gaza e progressivamente anche in parti della Cisgiordania. Demolizioni di interi quartieri, di intere città, pogrom contro comunità palestinesi da parte di coloni israeliani, brutalità senza precedenti da parte dell’esercito israeliano, arresti di massa, sistematico uso di torture.
La situazione più drammatica e urgente è chiaramente quella di Gaza, una gigantesca gabbia nella quale da decenni sono sotto assedio più di due milioni di persone, e che si è trasformata in pochi mesi in un vero e proprio campo di sterminio. Le città sono state rase al suolo, la gente ripetutamente spostata e ammassata come bestiame, terrorizzata, affamata, presa di mira e bombardata dall’esercito israeliano che implementa con diligenza e freddezza le politiche decise, ed esplicitamente dichiarate, dal governo israeliano. Il tutto con la tacita e vergognosa approvazione dei paesi occidentali che insistono a considerare Israele come un paese amico, un alleato, come una democrazia e un paese civile malgrado ogni evidenza dell’assoluto contrario.
E’ una follia totale, che tutti noi qui in Palestina viviamo con sbigottimento e orrore.

Allo stesso tempo, ci sono sviluppi incoraggianti grazie ad un monitoraggio meticoloso e ad un’estensiva documentazione, giorno dopo giorno, delle azioni e delle politiche di Israele. Se l’entità attuale delle atrocità è senza precedenti, lo è anche il livello di consapevolezza e indignazione nella società civile in tutto il mondo. Per la prima volta, in 100 anni di aggressione coloniale, oggi Israele e il sionismo – nonostante il loro ancora sbalorditivo potere militare e politico – sono esposti e isolati a livelli straordinari. Israele è sempre più visto come uno Stato basato sulla supremazia razziale, uno Stato canaglia, i suoi leader sono incriminati per crimini di guerra e crimini contro l’umanità dalla Corte Penale Internazionale, i suoi soldati possono essere arrestati per crimini di guerra se si recano all’estero, le sue politiche e le sue azioni vengono contestate da sentenze e pareri consultivi della Corte Internazionale di Giustizia, e i suoi alleati occidentali sono ampiamente ritenuti complici di crimini di guerra e contro l’umanità.
Stiamo assistendo oggi alla più grande crisi morale e di opinione pubblica mai affrontata da Israele e dai suoi sostenitori, i cui tentativi di negare decenni di realtà documentata stanno finalmente perdendo credibilità agli occhi del mondo. La monotona narrativa filo-israeliana di negazione – composta da affermazioni non corroborate, palesi menzogne, nauseanti giustificazioni e insulti – è inesorabilmente sfidata da rigorosi rapporti e testimonianze di esperti legali palestinesi, israeliani e internazionali, storici, studiosi, giornalisti, docenti, organizzazioni per la salvaguardia dei diritti umani, agenzie umanitarie, oltre che da milioni di esseri umani coscienziosi la cui consapevolezza, indignazione e solidarietà aumentano di giorno in giorno.
Questo cambiamento essenziale nell’opinione pubblica è accompagnato da un’evoluzione costante della terminologia adottata per descrivere la situazione. Negli ultimi 21 mesi, il consenso è cresciuto intorno alla pertinenza di termini legali come punizione collettiva, forza sproporzionata, violenza indiscriminata, pulizia etnica, crimini di guerra, apartheid e genocidio, oltre che di termini più generali come campo di concentramento o campo di sterminio. Negli ultimi mesi, sempre più storici, giornalisti e associazioni umanitarie, volendo sottolineare l’assoluta urgenza della situazione, non esitano a ricorrere all’uso della frase “soluzione finale della questione di Gaza” in riferimento alle intenzioni e alle azioni di Israele.
Michele, che cosa è per te la musica?
La musica mi ha accompagnato tutta la vita, mi ha permesso di viaggiare, di conoscere gente, di scoprire luoghi e culture, di condividere valori ed emozioni, in pubblico come nella vita privata, di incontrare Mathilde e di trascorrere dieci meravigliosi anni con gli straordinari coristi di Amwaj. Cosa si può volere di più?
D6 Puoi consigliare ai nostri lettori italiani come iniziare a scoprire il panorama musicale palestinese?
Ci sono un gran numero di musiciste e musicisti palestinesi d’eccezione – di oggi o degli ultimi decenni – con una varietà di percorsi formativi e di stili.

Per citarne solo alcune/i: Nai Barghouti (cantante, flautista, compositrice); Mohamed Najem (clarinettista, compositore); i suonatori di oud e compositori Nizar Rohana, Moneim Adwan e Ahmad al-Khatib; le cantanti Amal Murkus, Sanaa Moussa e Rim Banna; Issa Boulos (compositore); Dina Shilleh (pianista, compositrice); Faris Ishaq (suonatore di nay, clarinettista, compositore); Ahmed Eid (bassista, chitarrista, cantante, compositore); il Galilee Quartet; il cantante rap Tamer Nafar e il suo gruppo DAM.
Dopo l’annullamento degli spettacoli organizzati quest’estate a causa dell’aggressione israeliana all’Iran che ha comportato la chiusura dello spazio aereo, finalmente, il 21 settembre inizia da Milano la tournée italiana del Coro Amwaj che farà tappa a Genova (24), a Firenze (25), a Lavagna (26), a Modena (28), a Vicenza (30), a Venezia (2 ottobre). Quale repertorio musicale avete scelto? Come riesci a organizzare una simile tournée che prevede il trasferimento di ben 60 ragazzini? Il tuo progetto trova supporto all’estero, nella società civile e nel mondo della musica?
Nel corso del suo primo decennio (2015-2025), il coro Amwaj si è esibito ampiamente in Palestina e all’estero, dando un ruolo centrale agli scambi pedagogici e culturali attorno a repertori in molteplici lingue e stili, spesso commissionando ed eseguendo in prima assoluta opere musicali di compositori di tutto il mondo.

Le tematiche degli spettacoli del coro sono dettate dalle circostanze, nel senso che in ogni momento e luogo il repertorio musicale viene scelto da Mathilde e dal team didattico in funzione del contesto in cui si inserisce la rappresentazione.
In una Palestina sotto occupazione militare, soggetta da decenni ad un brutale regime di apartheid, e in un momento storico in cui, in Occidente, la demonizzazione del popolo palestinese assume dimensioni tali da agevolarne il genocidio e criminalizzare qualsiasi forma di dissenso, un coro come il nostro non può tacere, soprattutto quando si esibisce in Europa.
A febbraio-marzo del 2024, a pochi mesi dall’inizio della campagna genocidaria israeliana contro la popolazione inerme di Gaza, Amwaj ha effettuato una tournée di spettacoli in Belgio e in Francia che si è rivelata essere, ad oggi, l’esperienza internazionale più significativa, d’impatto e densa di emozioni sia per i giovani coristi che per i loro pubblici.
Il programma musicale, intitolato “Dalia, voce d’esilio”, è costruito attorno a “Dalia Suite”, un adattamento che la compositrice britannica Roxanna Panufnik ha realizzato, per il nostro coro, dalla sua opera “Dalia” (commissione Garsington Opera, 2022). Dalia è una bambina siriana che attraversa il Mediterraneo e arriva in Francia, poi in Inghilterra, e viene separata dalla madre, unica sopravvissuta, con lei, alla traversata. È il suo talento per il cricket che alla fine farà guadagnare a Dalia il rispetto degli abitanti della sua città inglese d’accoglienza. La storia si conclude con una domanda: “I sopravvissuti devono sempre dimostrare il loro valore e il loro talento per essere accolti, curati e rispettati?”
Accanto ad una versione scenica di “Dalia Suite” – con la regia di Marina Meinero – durante la tournée del 2024 Amwaj ha eseguito e presentato in anteprima una varietà di composizioni in arabo e francese, tra cui “Qu’allais-tu faire à Gaza” di Robin Burlton, su una potente poesia scritta in francese dal poeta di Gaza Amir Hassan “Qu’allais-tu faire à Gaza” (Amir Hassan/Robin Burlton) e “Pollens : Musique d’exils” del compositore francese Yves Balmer (commissione Amwaj, 2023) Yves BALMER, Pollens : Musique d’exils (Lyrics: Marik FROIDEFOND) .
In Italia presenteremo un adattamento dello stesso programma attorno alle tematiche di esilio e libertà. Le esibizioni sono programmate in sette città italiane (Milano, Genova, Firenze, Lavagna, Modena, Vicenza, Venezia) e centinaia di famiglie locali sono pronte ad accogliere nelle loro case i 60 membri del nostro gruppo: 47 giovani cantanti di Hebron e Betlemme, di età compresa tra i 9 e i 22 anni, e il team Amwaj composto da direttrici di coro, musicisti, personale di documentazione, coordinatori e volontari.

Organizzare una tournée di questo tipo non è certo cosa facile, ma combinando pazienza, determinazione e un’esperienza di molti anni, tutto funziona a meraviglia… quando riusciamo a viaggiare.
Anno dopo anno, in Palestina come all’estero, Amwaj riscuote successo e apprezzamento crescenti, sia nel mondo della musica che in termini di pubblico. Attira sempre più attenzione, per la qualità delle rappresentazioni come per l’impegno del coro a livello sociale, umano e morale di fronte a situazioni di ingiustizia e abuso.
Il sostegno che troviamo all’estero varia da un paese all’altro. In Francia, dove abbiamo fatto già cinque tournée, solitamente gli spettacoli avvengono su invito di una serie di istituzioni culturali prestigiose (Philharmonie de Paris, Institut du Monde Arabe, La Seine Musicale, La Barcarolle, Les Petits Chanteurs de Lyon) che provvedono a coprire sia il costo dello spettacolo stesso che una quota, parte delle spese di viaggio. In Italia, dove siamo meno noti, per ora collaboriamo con istituzioni e persone che non hanno necessariamente modo di coprire tutte le spese ma dimostrano una sensibilità particolare in termini di accoglienza e di solidarietà.
D8 Che cosa possiamo fare per supportare il Coro Amwaj?
In maniera diretta, qualunque sostegno permetta alla scuola corale di continuare e rafforzare le sue attività è importante:
– Per musicisti e didatti (soprattutto nell’ambito del canto, della direzione corale, o delle discipline teatrali e di scena) può trattarsi di un contributo professionale, possibilmente volontario, alle attività pedagogiche e artistiche di Amwaj, ad esempio tramite residenze in Palestina presso la scuola corale.
– Per istituzioni corali e conservatori, può essere stabilendo delle convenzioni con Amwaj che consentano scambi regolari a livello della formazione, dei repertori e qualunque altra dimensione abbia un senso per entrambe le parti.
– Per chi non rientrasse nelle categorie precedenti e avesse modo di fornire un sostegno economico, le donazioni sono sempre di estrema utilità per noi.

In Francia, è stata creata nel 2019 un’associazione benefica che, tramite le adesioni annuali permette di supportare la scuola corale, principalmente finanziando in parte le tournée che effettuiamo lì e coprendo le spese di artisti francesi che vengono per fare residenze presso Amwaj a Betlemme e a Hebron.
Sarei interessato a capire come si potrebbe stabilire in Italia un’associazione simile. Chiederei a chiunque avesse esperienza in questo senso, e disponibilità per aiutare, di contattarmi per suggerire come procedere.
Ma è anche essenziale un sostegno indiretto, più generale. Vista la situazione terribile in cui si trova la Palestina, devono moltiplicarsi urgentemente le azioni di denuncia, le lotte contro l’ingiustizia e l’apartheid di cui sono vittime i palestinesi.

Per fare ciò, è importante informarsi, capire profondamente la realtà palestinese, decostruire gli stereoptipi della propaganda filo-israeliana. Capire che nulla può giustificare la supremazia razziale, il colonialismo, la pulizia etnica o il genocidio, né qui né altrove. Capire che non vi è nulla di complicato in ciò che sta accadendo, che non siamo nell’ambito di un conflitto, bensì di una brutale oppressione di un popolo indifeso da parte di uno Stato estremamente potente. Capire che non è pericoloso per gli stranieri venire in Cisgiordania.
È importante vedere con i propri occhi la realtà qui, dimostrare solidarietà a chi si sente inevitabilmente abbandonato dal mondo, e testimoniare quella realtà il più possibile.
Incoraggio chiunque a venirci a trovare. Canteremo per voi e con voi!
NOTE
- Per approfondire:
– sito Web: Coro Amwaj
– canale Youtube: Coro Amwaj
– pagina Facebook: coro Amwaj - Fermiamo il genocidio. L’urlo degli intellettuali.