SOSTENIBILITÀ COSMETICA: COME APPARIRE GREEN SENZA CAMBIARE NULLA

DiOld Hunter

26 Luglio 2025
Non è mai stato così facile apparire sostenibili, né così difficile esserlo davvero
Il greenwashing ESG è endemico in tutto il mondo

Setyo Budiantoro, asiatimes.com, 25 luglio 2025    —   Traduzione a cura di Old hunter

In un mondo che dipende dall’apparenza, l’ESG (Environmental, Social, and Governance) è diventato il travestimento perfetto. Alcune cose vengono adottate così rapidamente, così universalmente, che dimentichiamo di porci la domanda più essenziale di tutte: perché? L’ESG è una di queste.

In pochi anni, queste tre lettere sono diventate la lingua franca del business globale. Le sale riunioni riecheggiano delle sue promesse. I bilanci annuali sono impreziositi dai suoi indicatori. Le decisioni degli investimenti dipendono dalla sua presenza.

Per molte aziende, l’ESG è ormai il passaporto per i mercati globali, la cartina di tornasole per la solidità della reputazione, il fondamento di una strategia a lungo termine. Ma sotto questa accettazione diffusa, si sta manifestando qualcosa di silenziosamente inquietante. Nella corsa all’apparenza sostenibile, ci siamo forse dimenticati di essere sostenibili?

Il panorama aziendale odierno è saturo di “come”. Come comunicare. Come conformarsi. Come segnalare la propria responsabilità. I dipartimenti di sostenibilità crescono. Vengono assunti consulenti ESG. I punteggi vengono pubblicati. I dashboard vengono aggiornati. Le certificazioni si moltiplicano. Ma in tutta questa coreografia, una domanda spesso rimane dolorosamente assente: per prima cosa, perché lo stiamo facendo?

Senza un “perché” concreto, l’ESG rischia di trasformarsi in una maschera splendidamente decorata, un rituale performativo che placa gli investitori ma raramente trasforma l’anima dell’impresa. Diventa un’immagine senza orientamento, un’adesione senza coscienza. La verità più profonda è questa: l’ESG ha reso più facile apparire come una buona azienda, senza mai diventarlo.

Stiamo assistendo all’ascesa di quella che potremmo definire sostenibilità cosmetica: quella che sa scrivere report ma non sa porre domande difficili. Quella che colleziona etichette verdi ma evita la responsabilità morale. Quella che quantifica le emissioni di carbonio ma non sa quantificare il coraggio. Non si tratta solo di un problema di comunicazione. È una crisi di integrità.

Quando le aziende adottano l’ESG solo per ottenere accesso al capitale, ottenere licenze, sbloccare partnership globali, perdono di vista il punto. L’ESG non è mai stato concepito come un traguardo. Doveva essere una porta d’accesso. Un percorso verso un’indagine più profonda: qual è il nostro posto nel mondo? Che tipo di eredità stiamo lasciando? Per chi stiamo plasmando il futuro?

La vera sostenibilità non inizia con le metriche, ma con il significato. Non risiede in report corposi e sdolcinati, ma nei momenti invisibili in cui un’azienda sceglie i principi anziché la convenienza, anche quando nessuno la osserva. Non si dimostra con le schede di valutazione, ma con il modo in cui un’azienda reagisce quando le sue pratiche più redditizie vengono messe in discussione da questioni etiche che non può più ignorare.

Per essere chiari, questo non è un invito ad abbandonare l’ESG. È un invito a recuperarne l’anima. Perché quando l’ESG diventa solo un’altra lista di controllo, perde il suo potere di risvegliare. E il mondo non ha bisogno di più metriche. Ha bisogno di più specchi.

Abbiamo bisogno di un cambiamento: dalla sostenibilità performativa alla responsabilità trasformativa. Da “Come soddisfiamo gli standard?” a “Qual è il futuro che stiamo contribuendo a creare?”. Da “Come riduciamo il danno?” a “Come diventiamo una forza positiva?”.

E in ogni settore, in ogni regione, ci sono aziende – alcune piccole, altre grandi – che silenziosamente percorrono questo cammino. Non sempre vincono premi. Ma fanno qualcosa di più duraturo: riparano. Nutrono. Ripristinano la fiducia. Scelgono la profondità anziché l’ostentazione.

Non sempre li troverete in prima pagina nelle classifiche della sostenibilità. Ma ne sentirete l’impatto dove più conta: nella dignità degli agricoltori, i cui mezzi di sussistenza sono rispettati. Nella salute dei fiumi, non più trattati come discariche. Nella resilienza delle comunità, non più invisibili nelle sale riunioni.

Queste aziende non si chiedono solo come conformarsi. Vivono con un perché che non può essere esternalizzato. Sanno che la sostenibilità non è una strategia, è un’identità. Non un reparto, ma una direzione. Non uno strumento di branding, ma una bussola morale.

È giunto il momento per ogni azienda di scegliere. Verrai ricordato come un’azienda che ha imparato l’arte di apparire responsabile? O come un’azienda che ha reso il mondo un posto migliore con discrezione, costanza e coraggio, non per marketing, ma perché era la cosa giusta da fare?

La prossima frontiera della sostenibilità non sarà conquistata con migliori visualizzazioni dei dati o strumenti di divulgazione più sofisticati. Sarà guidata da coloro che saranno disposti a anteporre la coscienza alla convenienza e il significato ai mezzi di misurazione.

Quindi chiediti, onestamente e senza guardare alle performance: se la tua azienda cessasse di esistere, il mondo perderebbe qualcosa di insostituibile? Se la risposta è incerta, potrebbe essere il momento di tornare indietro, non al tavolo da disegno, ma allo specchio.

Perché il vero futuro dell’ESG non apparterrà alle aziende che hanno gridato più forte, ma a quelle le cui decisioni silenziose hanno contribuito a costruire un mondo migliore, realmente sostenibile.

Setyo Budiantoro è un esperto di sviluppo sostenibile presso The Prakarsa, borsista del MIT Sloan IDEAS, membro del comitato consultivo di Fair Finance Asia ed esperto di SDG-ESG presso l’Indonesian ESG Professional Association (IEPA).

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