Una selezione che traccia gli sviluppi strategici nell’Asia occidentale, basata su analisi e resoconti della stampa e dei commentatori arabi/regionali, comprese fonti e canali alternativi (4 settembre 2025)

di Alastair Crooke, conflictsforum.substack.com, 4 settembre 2025 — Traduzione a cura di Old Hunter
La regione si prepara alla guerra: tutte le parti stanno facendo calcoli strategici mentre le tensioni aumentano nella regione: “Washington sta spingendo incessantemente per smantellare quella che chiama la “rete di influenza” dell’Iran e ridisegnare l’equilibrio di potere in modi che garantiscano la sicurezza dell’entità israeliana, rafforzando al contempo il controllo statunitense sull’Asia occidentale“, osserva Al-Akhbar . L’Iran proteggerà e difenderà chiaramente la sua sovranità, e se questo porta alla guerra, così sia. Come sottolinea Al-Akhbar: “La leadership iraniana si trova di fronte a scelte difficili… La continua moderazione rischia un’ulteriore erosione delle capacità, insieme alla graduale perdita di deterrenza regionale con l’inasprirsi dell’assedio. D’altra parte, il confronto militare diretto, sebbene costoso, potrebbe alla fine rivelarsi la perdita minore“.
L’accanita ricerca di Israele di un “Grande Israele” – Una Siria frammentata e balcanizzata; una zona cuscinetto nel Libano meridionale; un’entità di Gaza; l’82% della Cisgiordania annessa: Israele continua a emanare aggressivamente dictat che riflettono i suoi interessi espansionistici in Palestina, Siria, Libano e Iraq. Ciò che Israele non è riuscito a ottenere in guerra, lo sta facendo con la copertura dei cessate il fuoco, con il sostegno dell’élite al potere statunitense ed europea. L’obiettivo chiaro di Israele è la balcanizzazione degli Stati sovrani, con l’obiettivo di creare entità autonome nella sua periferia geostrategica. Parallelamente, e con l’esplicito sostegno degli Stati Uniti, Israele sta perseguendo aggressivamente il disarmo e l’effettiva smilitarizzazione di Hezbollah, di ampie zone della Siria meridionale, dei campi profughi palestinesi in Libano, di Hamas a Gaza e della resistenza in Cisgiordania. Il suo obiettivo strategico è una regione disarmata, frammentata e neutralizzata, priva di capacità militari.
La resistenza a questo tentativo israelo-statunitense di ridisegnare l’equilibrio di potere nell’Asia occidentale è solida: Hamas e la Resistenza a Gaza rimangono imbattute, con l’Iran che aumenta il suo sostegno alla Resistenza. L’Iran stesso si sta preparando alla guerra; Hezbollah è ribelle – “per ora, la resistenza sta prendendo tempo, ricostruendo il suo arsenale, fortificando le sue posizioni e aspettando“. Anche i gruppi di resistenza iracheni e lo Yemen sono ribelle. Il leader del Partito Nazionalista Turco Bahçeli ha avvertito che le forze delle SDF nel nord-est della Siria “operano sotto l’influenza di Israele”: “L’alleanza tra Stati Uniti e Israele sta gettando le basi per una sanguinosa guerra civile e per la divisione in Siria. Questa situazione rappresenta una grave minaccia alla sicurezza non solo per la Siria, ma anche per la Turchia… La proposta di “Unione Federale” per la Siria è meramente simbolica… [è] un passo mascherato verso la divisione e la secessione, che segnala il caos totale”. Anche i paesi del Golfo, osserva Hussein Ibish, “non contribuiranno certamente a nessuna versione dell’accordo [di governance] che Netanyahu sembra prevedere” per Gaza. “Non accetteranno mai le condizioni di Netanyahu”, avverte.

La Regione si prepara alla guerra
Tutte le parti stanno facendo calcoli strategici mentre le tensioni aumentano nella regione: “Washington sta spingendo incessantemente per smantellare quella che definisce la ‘rete di influenza’ dell’Iran e ridisegnare l’equilibrio di potere in modo da garantire la sicurezza dell’entità israeliana, rafforzando al contempo il controllo statunitense sull’Asia occidentale“, osserva Al-Akhbar. La Guida Suprema dell’Iran ha affermato chiaramente che negoziare con gli Stati Uniti è una chimera, perché ciò che Israele e gli Stati Uniti vogliono è un cambio di regime e rendere l’Iran “obbediente”. L’Iran proteggerà e difenderà chiaramente la sua sovranità, e se questo porta alla guerra, così sia. Al-Akhbar osserva: “La leadership iraniana si trova di fronte a scelte difficili… Una continua moderazione rischia di erodere ulteriormente le capacità economiche, politiche e di sicurezza, insieme alla graduale perdita di deterrenza regionale con l’inasprirsi dell’assedio. D’altra parte, il confronto militare diretto, sebbene costoso, potrebbe alla fine rivelarsi la perdita minore“. Con la guerra sempre più vista come inevitabile, la domanda chiave sarà la sua tempistica. Questa non è una decisione unilaterale dell’Iran, ma sarà una decisione più ampia dell’Asse della Resistenza, poiché dipenderà dalla prontezza di altri paesi (Iraq, Siria, Libano e Yemen). Nel frattempo, l’Iran sta aumentando il sostegno alla Resistenza.
I calcoli strategici di Israele saranno probabilmente determinati da una finestra di opportunità che si sta riducendo: l’Iran si sta rafforzando man mano che il suo popolo si unisce sotto la bandiera, mentre Israele si sta muovendo nella direzione opposta, con le fratture e le crepe del Paese che si approfondiscono. L’influente Istituto israeliano per gli Studi sulla Sicurezza Nazionale ha pubblicato un rapporto nel luglio 2025, non solo attestando l’implausibilità del raggiungimento dell’obiettivo di un cambio di regime in Iran, ma mettendo a nudo come la disastrosa “Guerra dei 12 giorni” di Netanyahu abbia reso questo obiettivo ancora più irrealizzabile. Riconoscendo che Israele “intendeva minare le fondamenta” della Repubblica Islamica e innescare proteste pubbliche di massa, il rapporto dell’INSS ammette che “non solo non vi è alcuna prova che le azioni di Israele abbiano favorito questo obiettivo, ma almeno alcune di esse hanno avuto l’effetto opposto“. Il rapporto ha riconosciuto che gli iraniani hanno “mostrato un notevole grado” di “unione attorno alla bandiera” durante la guerra dei 12 giorni e “la volontà di difendere la loro patria in un momento critico contro un nemico esterno“, lamentando che ogni traccia di dissenso pubblico nella Repubblica islamica “è quasi completamente scomparsa” in seguito alla guerra, senza “un’opposizione organizzata e strutturata” all’interno o all’esterno del paese in grado di mobilitare i manifestanti, per non parlare di sostituire il governo popolare della Repubblica islamica.
In Libano, nonostante le minacce e le pressioni statunitensi, l’inviato statunitense Barrack ha ammesso che Israele non ha approvato la sua proposta di de-escalation. Separatamente, l’esercito libanese, in particolare il suo comandante, sta ritraendo la prospettiva di un conflitto diretto con Hezbollah (Asharq al-Awsat e Al-Akhbar). L’esercito ha una larga componente di coscritti sciiti e la prospettiva di una guerra civile è concreta. Hezbollah si rifiuta fermamente di disarmare. Pertanto, come sottolinea Al-Akhbar, o il Presidente e il Primo Ministro fanno marcia indietro, o assisteremo a un conflitto interno, se l’esercito tentasse di disarmare Hezbollah.
* * * * *
La guerra come perdita minore? – La leadership iraniana si trova di fronte a scelte difficili (Al-Akhbar):
Washington sta spingendo senza sosta per smantellare quella che definisce la “rete di influenza” dell’Iran e ridisegnare l’equilibrio di potere in modo da garantire la sicurezza dell’entità israeliana, rafforzando al contempo il controllo statunitense sull’Asia occidentale… [di fatto] una “guerra ibrida” contro l’Iran, condotta simultaneamente dall’esterno e dall’interno del Paese, accompagnata da una vasta campagna politica e mediatica per riformulare il “dossier nucleare iraniano” come un pretesto pronto per l’escalation e l’aggressione. La retorica occidentale è diventata sempre più ostile a causa del rifiuto dell’Iran di capitolare. In questo contesto, la leadership iraniana si trova di fronte a scelte difficili… La continua moderazione rischia di erodere ulteriormente le capacità economiche, politiche e della sicurezza, insieme alla graduale perdita di deterrenza regionale con l’inasprirsi dell’assedio. D’altra parte, il confronto militare diretto, sebbene costoso, potrebbe in definitiva rivelarsi la perdita minore. La guerra, nonostante i suoi pericoli, ha il potenziale per unificare il fronte interno, ridisegnare le equazioni della deterrenza e impedire a Washington e Tel Aviv di smantellare pezzo per pezzo l’influenza dell’Iran… La sfida più grande per l’Iran è che il tempo non è dalla sua parte. La strategia statunitense di “massima pressione” potrebbe non essere riuscita a raggiungere i suoi grandi obiettivi negli ultimi anni, ma ha prodotto guadagni tattici per Washington e i suoi alleati; guadagni che potrebbero presto trasformarsi in minacce esistenziali per Teheran.
* * * * *
Hezbollah si è preparato sia alla guerra che alla rottura interna (The Cradle)
In Libano si profilano due scenari: “Il primo è uno scontro tra Hezbollah e l’esercito [libanese], un esito considerato improbabile, almeno per ora… Lo scenario più probabile è un’inversione di rotta del governo [sulla sua decisione di disarmo], guidata dalla consolidata capacità di Hezbollah di esercitare pressioni senza ricorrere allo scontro diretto. Una delle sue leve principali è quella di incanalare la rabbia pubblica per la crescente crisi economica e sociale del Libano, inquadrando questo malcontento attorno alle difficoltà quotidiane piuttosto che alla questione del disarmo… È improbabile che Hezbollah ricorra a tattiche d’urto, adottando invece una strategia di escalation calcolata, con ogni passo subordinato alla risposta opposta… Per ora, la resistenza sta prendendo tempo, ricostruendo il suo arsenale, rafforzando le sue posizioni e aspettando. Nel frattempo, Washington si affretta a consolidare i suoi successi e a ridisegnare l’equilibrio locale prima che gli eventi sfuggano al controllo”.
* * * * *
Hezbollah rimodella la sua strategia di deterrenza abbracciando l’ambiguità (Al-Akhbar):
Crescono le preoccupazioni circa l’intenzione di Israele di riaccendere le sue aggressioni contro il Libano… Tel Aviv vuole annientare ogni possibilità che Hezbollah si riprenda rapidamente dai recenti colpi; [ma] l’entità israeliana opera con cautela, temendo che un’altra guerra possa ribaltare l’equilibrio e vanificare le affermazioni di Netanyahu di aver neutralizzato il partito. Dopo quattro decenni di confronto, Israele ha imparato che Hezbollah non può essere indebolito fino al collasso. A differenza dell’OLP, è un movimento ideologico con una notevole capacità di apprendimento e adattamento… Tel Aviv teme che la sua “finestra di opportunità” si stia chiudendo rapidamente. I funzionari della sicurezza israeliani avvertono che gli attacchi alla leadership e alle infrastrutture di Hezbollah non rimarranno efficaci a lungo, e qualsiasi ritardo rischia di [far perdere] l’iniziativa…
[Tuttavia] questo potrebbe non tradursi in guerra… Israele ha avuto un leggero vantaggio nell’ultimo scontro, ma una nuova guerra comporta rischi elevati. A livello nazionale, Netanyahu ha venduto all’opinione pubblica la vittoriosa propaganda della “neutralizzazione della minaccia di Hezbollah”. Questa immagine si frantumerebbe all’istante nel momento in cui i razzi colpissero Tel Aviv. A livello regionale, una guerra su vasta scala potrebbe sconvolgere i rapporti con Washington e complicare il processo di normalizzazione con le capitali arabe. Nel frattempo, le mutevoli dinamiche in Siria, Iraq e Yemen rendono il campo di battaglia più imprevedibile che mai. Quindi la pazienza non è un lusso, ma una necessità che consente a Israele di godere del suo status attuale senza rischiarlo in un nuovo costoso conflitto… [Israele] insiste nel dimostrare la superiorità, anche se ciò rafforza la tesi di Hezbollah per il mantenimento delle sue armi.
La contro-domanda del partito è ovvia: come si può chiedere a Hezbollah di consegnare le armi mentre Israele continua a occupare e attaccare il Libano? Raddoppiando l’arroganza, Israele perpetua le stesse dinamiche che legittimano le armi di Hezbollah… Hezbollah sembra rimodellare la sua strategia di deterrenza abbracciando l’ambiguità… rilanciando un metodo che risale ai suoi anni formativi fino alla guerra del 2006, operando nel più stretto segreto e coltivando un’aura di incertezza. L’ambiguità del partito è diventata il suo strumento più potente, che ora costringe Israele a immaginare lo scenario peggiore.
* * * * *
Il Libano non ha più bisogno di questo governo (Ibrahim Al-Amine, Al-Akhbar):
Il Libano si trova a un altro bivio critico. Il Presidente Aoun e il Primo Ministro Salam stanno ancora portando avanti questo progetto [di disarmo], anche dopo che Israele stesso ha rinnegato il documento statunitense e Barrack ha apertamente ammesso che la sua proposta non aveva l’approvazione israeliana. Il significato non potrebbe essere più chiaro: Aoun e Salam stanno dimostrando ancora una volta che la loro preoccupazione non è il Libano, ma la soddisfazione di coloro che li hanno messi al potere. La loro priorità è placare Washington e Riyadh… Con funzionari di questo tipo, il dialogo è inutile. La vera domanda ora è se permangano basi per una partnership, con loro o con il più ampio blocco politico allineato al piano USA-Arabia Saudita-Israele di smantellare la resistenza e prendere il controllo degli apparati politici e di sicurezza del Libano. Pertanto, rimanere parte del governo non è più solo discutibile, ma piuttosto insostenibile. Il crollo delle istituzioni statali come strumento per affrontare le crisi del Paese lascia la resistenza e i suoi alleati liberi dai vincoli di questo cosiddetto accordo. Per quanto riguarda il fronte con Israele, la risposta alla domanda se la guerra tornerà sicuramente non dipenderà dalle riunioni del governo, ma sarà il risultato dell’evolversi della realtà in Palestina e in tutta la regione.
* * * * *
Mar Rosso: sta prendendo forma un asse non dichiarato, che unisce Cina, Russia, Iran e Ansar Allah (Al-Akhbar):
Nel Mar Rosso si delineano i contorni di un asse non dichiarato, che unisce Cina, Russia, Iran e Ansar Allah… un’alleanza informale, con influenza diretta sulle rotte marittime chiave… non basata su trattati scritti o strutture di coordinamento formali, ma piuttosto su una rete di interessi interconnessi che consente a ciascuna parte di beneficiare delle capacità dell’altra, pur mantenendo un significativo grado di libertà di manovra. La Cina rappresenta il cuore di questo asse. L’Iran fornisce garanzie per la sicurezza della navigazione cinese attraverso le vie d’acqua (Hormuz e Bab al-Mandab), mentre Ansar Allah tratta le navi cinesi “in modo neutrale”… Rapporti di intelligence occidentali hanno parlato di forniture cinesi avanzate ad Ansar Allah, inclusi missili e droni, in cambio di garanzie per la sicurezza delle navi cinesi… La caratteristica più distintiva [dell’Alleanza] è la sua capacità di operare nella zona grigia; non ci sono impegni formali che possano essere presi di mira, né chiare linee rosse che possano essere negoziate.
* * * * *
Cosa dicono 1: Il presidente del Parlamento iraniano Ghalibaf: “L’Iran adotterà presto misure dissuasive contro il meccanismo Snapback”:
La Repubblica Islamica ha ripetutamente spiegato l’illegalità dell’utilizzo di questo meccanismo di attivazione, e altri membri del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, come Russia e Cina, lo hanno confermato ufficialmente. Gli E3 [Francia, Germania, GB, ndt], a causa del mancato rispetto degli impegni assunti nell’ambito del JCPOA, non hanno il diritto di attivare il meccanismo e hanno quindi avviato illegalmente il processo di snapback. Di conseguenza, l’Iran deve adottare un’azione deterrente per imporre sanzioni alle azioni illegali degli E3, al fine di modificare la decisione del nemico di attivare il meccanismo di attivazione. La decisione unitaria della Repubblica Islamica in merito sarà presto attuata e annunciata.
* * * * *
Cosa dicono 2: Il piano di disarmo del Libano dipende dall’attuazione graduale da parte di Israele, altrimenti potrebbe essere sospeso (Asharq al-Awsat):
Il Comando dell’esercito libanese [ha] completato la preparazione del piano commissionato dal Consiglio dei ministri il 5 agosto per limitare le armi allo Stato prima della fine dell’anno… Tuttavia, secondo le informazioni ottenute da Asharq Al-Awsat, il piano include fasi e scadenze per il completamento di ciascuna fase… Fonti politiche ufficiali di alto livello, parlando con Asharq Al-Awsat, non escludono di abbandonare le scadenze per “disinnescare la crescente tensione all’interno della comunità sciita”… Il piano include molteplici scenari per garantire la sua attuazione di successo [e] nasce dall’idea che il nemico del Libano e dei libanesi è la stessa cosa: Israele… Coloro che sono coinvolti nell’attuazione sono consapevoli che la decisione è, prima di tutto, politica e non spetta alla leadership dell’establishment militare. Pertanto, la mancata attuazione da parte di Israele della strategia “passo dopo passo” delineata nel “documento americano”, i cui obiettivi sono stati concordati dal Libano, potrebbe collocare il piano militare nella categoria “pronto ma sospeso” finché Tel Aviv non adotterà un provvedimento corrispondente all’approvazione governativa dell’esclusività delle armi. I funzionari libanesi contano ancora su una svolta raggiunta dagli inviati statunitensi Tom Barak e Morgan Ortagus con la parte israeliana [che non è stata imminente].
* * * * *
Cosa dicono 3: Piano B: disarmare Hezbollah con la forza militare, avverte il senatore Lindsey Graham:
“Se non riusciamo a raggiungere una soluzione pacifica per il disarmo, allora dobbiamo prendere in considerazione il Piano B… disarmare Hezbollah con la forza militare”.

L’accanita ricerca di Israele di un “Grande Israele” – Una Siria frammentata e balcanizzata; una zona cuscinetto nel Libano meridionale; un’entità di Gaza; l’82% della Cisgiordania annessa…
Israele continua a imporre aggressivamente diktat che riflettono i suoi interessi espansionistici in Palestina, Siria, Libano e Iraq. Ciò che non è riuscito a ottenere in guerra, Israele lo sta facendo sotto la copertura dei cessate il fuoco, con il sostegno dell’élite al potere degli Stati Uniti e dell’Europa. L’obiettivo chiaro di Israele è la balcanizzazione degli stati sovrani, con l’obiettivo di creare entità autonome nella sua periferia geostrategica. Parallelamente, e con l’esplicito sostegno degli Stati Uniti, Israele sta perseguendo aggressivamente il disarmo e l’effettiva smilitarizzazione di Hezbollah, di vaste aree della Siria meridionale, dei campi profughi palestinesi in Libano, di Hamas a Gaza e della resistenza in Cisgiordania. Il suo obiettivo strategico è una regione disarmata, frammentata e neutralizzata, priva di capacità militari. Come ha chiarito l’inviato statunitense Tom Barrack: “Nella mente di Israele, le linee create da Sykes-Picot sono prive di significato… Andranno dove vogliono, quando vogliono e faranno ciò che vogliono per proteggere gli israeliani e i loro confini”.
La resistenza a questo tentativo israelo-statunitense di ridisegnare l’equilibrio di potere nell’Asia occidentale è solida: Hamas e la Resistenza a Gaza rimangono imbattute, con l’Iran che aumenta il suo sostegno alla Resistenza. L’Iran stesso si sta preparando alla guerra; Hezbollah è ribelle – “per ora, la resistenza sta prendendo tempo, ricostruendo il suo arsenale, fortificando le sue posizioni e aspettando“. Anche i gruppi di resistenza iracheni e lo Yemen sono ribelli. Il leader del Partito Nazionalista Turco Bahçeli ha avvertito che le forze delle SDF nel nord-est della Siria “operano sotto l’influenza di Israele”: “L’alleanza tra Stati Uniti e Israele sta gettando le basi per una sanguinosa guerra civile e per la divisione della Siria. Questa situazione rappresenta una grave minaccia alla sicurezza non solo per la Siria, ma anche per la Turchia… La proposta di “Unione Federale” per la Siria è meramente simbolica… [è] un passo mascherato verso la divisione e la secessione, che segnala il caos totale”. Anche i paesi del Golfo, osserva Hussein Ibish, “non contribuiranno certamente a nessuna versione dell’accordo [di governance] che Netanyahu sembra prevedere” per Gaza. “ Non accetteranno mai le condizioni di Netanyahu”, avverte.
* * * * *
Il “dictat di sicurezza” israelo-siriano mentre Al-Sharaa cerca di mantenere il potere (Yehya Dbouk, Al-Akhbar):
Al-Sharaa ha poche opzioni. Il suo unico obiettivo sembra essere quello di mantenere il potere, che dipende dall’approvazione di attori stranieri, in particolare gli Stati Uniti e l’entità israeliana. Per lui, raggiungere un’intesa del genere è una necessità “esistenziale”… Per [Israele] l’accordo non comporta reali concessioni: nessun riconoscimento, nessuna normalizzazione, nessun ritiro dalle posizioni strategiche conquistate all’interno del territorio siriano… impone il mantenimento del Monte Hermon e di altre aree nella Siria meridionale. Di conseguenza, ciò che Tel Aviv chiede a Damasco è semplicemente l’adesione alle nuove regole che ha imposto: nessuna “milizia jihadista” lungo il confine (il che significa nessun nuovo esercito siriano lì), nessuna presenza o influenza iraniana, “protezione della minoranza drusa” e l’impegno a prevenire qualsiasi escalation della sicurezza. Queste non sono concessioni da parte dell’entità israeliana, ma una versione forzata di stabilità alle condizioni [di Israele]… Tel Aviv non ha fretta con la parte siriana. Cerca un accordo pratico a lungo termine. I dettagli trapelati suggeriscono che l’accordo vada oltre gli accordi militari e di sicurezza nel Golan e nella Siria meridionale… La Siria post-Assad non è più una potenza militare o un attore regionale indipendente, ma uno stato frammentato in cerca di legittimità e sopravvivenza. [Israele] non offre concessioni; detta le condizioni in un clima di sicurezza favorevole. Il risultato è la fondazione di un nuovo ordine di sicurezza regionale, non basato sulla riconciliazione, ma su tattiche di forza e controllo. E questa realtà non può essere invertita.
* * * * *
La frammentazione della Siria procede:
Personaggi alawiti formeranno un Consiglio politico federale nella Siria occidentale e centrale: l’Osservatorio siriano per i diritti umani riferisce che una nuova entità politica federale, il “Consiglio politico per la Siria occidentale e centrale“, sarà formata da personaggi politici alawiti. La nuova “entità” includerà Latakia, Tartus e parti di Homs e Hama, e sarà una struttura civile e laica che promuove “giustizia, cittadinanza e diritti umani”. L’entità prevede di stabilire regole chiare per le autorità esecutive, legislative e giudiziarie e di garantire una partecipazione politica inclusiva, e si occuperà della giustizia di transizione.
Il leader del Partito del Movimento Nazionalista Turco, Bahçeli, avverte che un ulteriore intervento militare turco in Siria è inevitabile: “Ignorare il memorandum d’intesa firmato con Damasco lo scorso marzo renderà inevitabile un intervento militare… Tutti dovrebbero sapere che le SDF devono attenersi rigorosamente all’accordo del 10 marzo 2025 con il governo siriano e soddisfarne scrupolosamente i requisiti. Altrimenti, l’intervento militare congiunto di Ankara e Damasco è certo”. Bahçeli ha avvertito che le forze delle SDF “operano sotto l’influenza di Israele”: “L’alleanza tra Stati Uniti e Israele sta gettando le basi per una sanguinosa guerra civile e per la divisione in Siria. Questa situazione rappresenta una grave minaccia alla sicurezza non solo della Siria, ma anche della Turchia… La proposta di “Unione Federale” per la Siria è meramente simbolica… [è] un passo mascherato verso la divisione e la secessione, che segnala il caos totale”.
* * * * *
Gli stati del Golfo non vogliono avere niente a che fare con la “forza araba” di Netanyahu; i paesi del Golfo non accetteranno mai le sue condizioni (Hussein Ibish, AGSIW):
Dopo aver distrutto Hamas, Netanyahu ha affermato che Israele avrebbe “consegnato Gaza a un governo transitorio” che non ha definito. Ma ciò dipende dal suo piano dichiarato di “consegnarla alle forze arabe che la governerebbero correttamente”. Netanyahu ha anche categoricamente escluso qualsiasi ruolo per l’Autorità
Nazionale Palestinese, e usando il termine “arabo” in contrapposizione a “palestinese” [egli] sembra certamente insinuare che queste “forze” proverrebbero da paesi arabi… Ma i paesi del Golfo non contribuiranno certamente a nessuna versione dell’accordo che Netanyahu sembra prevedere. Solo gli Emirati Arabi Uniti, probabilmente il paese arabo con i rapporti più amichevoli con Israele, hanno espresso interesse a partecipare sul campo alla stabilizzazione post-conflitto. Ma è stato chiaro che lo avrebbero fatto solo in coordinamento con l’Autorità Nazionale Palestinese, che avrebbe dovuto emettere un invito formale al coinvolgimento degli Emirati e non sarebbe mai stata coinvolta nel “fornire copertura” alla continua occupazione israeliana a Gaza. In effetti, gli Emirati Arabi Uniti avrebbero affermato che avrebbero insistito sulle riforme all’interno dell’Autorità Nazionale Palestinese, su “un impegno esplicito per la soluzione dei due stati” da parte di Israele e su “un chiaro ruolo di leadership da parte degli Stati Uniti”… Non ci saranno, quindi, “forze arabe” disposte a stabilizzare o governare Gaza per Israele, senza l’Autorità Nazionale Palestinese, o dopo che Israele si sarà ritirato in qualsiasi “perimetro di sicurezza” Netanyahu abbia in mente. È probabile che il primo ministro israeliano lo sappia perfettamente, e la sua retorica mira a placare parti dell’opinione pubblica israeliana, in particolare gran parte del comando militare israeliano, che esige di avere un’idea dell’attuale missione che la nuova offensiva di Gaza sta perpetuando o avviando… Israele si trova, quindi, ancora di fronte alla scelta fondamentale che ha dovuto affrontare dall’inizio della guerra quasi due anni fa: ristabilire un’occupazione a tempo indeterminato in tutta Gaza… o ritirarsi e guardare Hamas emergere dalle macerie e dichiarare “vittoria divina”…. Questa rimane la trappola in cui Israele si è intrappolato e non esistono, né è probabile che emergano, fantasiose “forze arabe” o altri immaginari deus ex machina.
* * * * *
Cosa dicono 1: “Nella mente di Israele, le linee create da Sykes-Picot non hanno alcun significato” (inviato statunitense in Siria, Tom Barrack):
“Andranno dove vogliono, quando vogliono, e faranno ciò che vogliono per proteggere gli israeliani e i loro confini… Israele ha la capacità o il desiderio di conquistare davvero il Libano? Assolutamente sì. Perché non l’ha fatto? Hanno la capacità di fare la stessa cosa in Siria…”.
* * * * *
Cosa dicono 2: “Israele non ha mai considerato al-Sharaa come un partner, ma semplicemente come uno strumento usa e getta” (Al-Akhbar):
Netanyahu ha affermato [questa settimana] che “Israele sa chi governa la Siria e agiremo per proteggere i drusi e stabilire una zona demilitarizzata nella Siria meridionale”. Questa affermazione rivela il vero obiettivo di Tel Aviv, che è quello di sfruttare al-Sharaa come una pedina temporanea prima di scartarlo, mentre porta avanti piani per spartirsi la Siria meridionale e consolidare il proprio dominio regionale. Israele non ha mai considerato al-Sharaa un partner, ma semplicemente uno strumento usa e getta. Per al-Sharaa, questa realtà contraddice le sue ambizioni. Per oltre un decennio, ha fatto affidamento sul sostegno di Stati Uniti e Israele per imporsi al popolo siriano. Ma ora lo trattano come sacrificabile, pronti a scartarlo una volta esaurita la sua utilità”.
* * * * *
Cosa dicono 3: L’inviato speciale degli Emirati Arabi Uniti avverte Israele: “L’annessione della Cisgiordania è una linea rossa per gli Emirati Arabi Uniti”:
“L’annessione rappresenterebbe una linea rossa per il mio governo, e ciò significherebbe che non potrà esserci una pace duratura. Precluderebbe l’idea di integrazione regionale e sarebbe la campana a morto per la soluzione dei due Stati”, ha affermato con entusiasmo l’inviata speciale degli Emirati Arabi Uniti Lana Nusseibeh. La dichiarazione degli Emirati Arabi Uniti arriva mentre Smotrich presenta a Netanyahu i piani che propongono l’annessione dell’82% della Cisgiordania, lasciando il 18% per sei “isole” palestinesi circondate: Ramallah, Nablus, Jenin, Tulkarem, Gerico ed Hebron. Smotrich ha invitato Netanyahu a “sfruttare l’opportunità e salvare Israele una volta per tutte dall’idea di dividere il territorio e dalla minaccia esistenziale eufemisticamente definita ‘Stato palestinese'”.
* * * * *
Cosa dicono 4: Israele espande a sette gli avamposti militari nel Libano meridionale – il presidente del Parlamento libanese Nabih Berri avverte:
“Israele ha intensificato l’occupazione del territorio libanese e ha impedito il ritorno dei residenti di oltre 30 città… Netanyahu si vanta di essere impegnato in una missione storica per realizzare il sogno del Grande Israele e di tutto il Libano all’interno di questo sogno”. Berri ha avvertito che Israele “non ha rispettato il cessate il fuoco “. (Israele ha occupato cinque località nel Libano meridionale dopo l’entrata in vigore del cessate il fuoco alla fine della guerra lo scorso anno, ma il Segretario generale di Hezbollah Qassem ha recentemente confermato che le forze israeliane sono ora presenti in sette avamposti). “La proposta americana non è conforme al principio del controllo degli armamenti, ma rappresenta piuttosto un’alternativa all’accordo di cessate il fuoco. Siamo aperti a discutere il destino delle armi della Resistenza nel quadro di un dialogo calmo e consensuale“, ha affermato Berri. “Non è ammissibile gettare la palla di fuoco in grembo all’esercito libanese… Le menti sataniche sono più pericolose per il Libano delle armi della resistenza che ha liberato il territorio“, ha avvertito.
* * * * *
Cosa dicono 5: Proposta di zona cuscinetto tra Stati Uniti e Israele per il Libano meridionale (An-Nahar):
“Saranno confiscati terreni a 27 città [inclusi] villaggi sciiti e città sunnite nel settore occidentale, così come città cristiane nel settore centrale, i cui residenti saranno sfollati dalle loro case in cambio di un’allettante compensazione finanziaria… Quest’area sarà sotto la gestione della sicurezza americana… [con] tra 1.500 e 2.000 soldati a supervisionare le sue operazioni quotidiane e a comunicare con le agenzie di sicurezza libanesi e israeliane. Israele avrà il diritto di erigere decine di posti di osservazione lungo il confine per rassicurare i coloni nel nord. Alle unità dell’esercito israeliano sarà data la libertà di entrare… Il Libano non avrà alcuna autorità di sicurezza o sovranità in quest’area”. Secondo alcune fonti, il piano comporterà lo sfollamento forzato dei residenti dai villaggi di confine: “Il Libano sarà tenuto a concedere a Israele il diritto di rimanere all’interno di 14 villaggi e di evacuare completamente o parzialmente i loro residenti”, ha avvertito il mese scorso il parlamentare libanese ed ex capo della Direzione generale per la sicurezza del Libano, Jamil al-Sayyed.
* * * * *
Cosa dicono 6: “Sciogliere l’Autorità Palestinese” – Il piano israeliano degli “Emirati Palestinesi” per la Cisgiordania:
La proposta del Ministro dell’Economia israeliano Nir Barkat di separare Hebron dalla Cisgiordania e insediare una leadership tribale al posto dell’Autorità Nazionale Palestinese è in attesa di esame. Ispirato al concetto di “emirati palestinesi” di lunga data dell’accademico sionista Mordechai Kedar, il piano vedrebbe Hebron governata dai clan locali anziché dall’Autorità Nazionale Palestinese. Barkat ha avuto colloqui con esponenti tribali, in particolare Wadii al-Jaabari, che, insieme ad altri quattro, ha inviato una lettera a Netanyahu promettendo il suo sostegno all’iniziativa. Hanno promesso di riconoscere Israele come Stato ebraico e di aderire agli Accordi di Abramo in cambio di cooperazione economica e di sicurezza. Barkat ha difeso la mossa come una risposta preventiva al possibile riconoscimento europeo di uno Stato palestinese. La proposta ha incontrato un forte rifiuto sia da parte della leadership palestinese che dei leader tribali. Il sindaco di Hebron, Taysir Abu Sneineh, un funzionario di Fatah, ha avvertito: “Non riguarda solo Hebron. È un modello che vogliono applicare ovunque”. Secondo quanto riferito, lo Shin Bet si oppone al piano, considerando l’Autorità Nazionale Palestinese essenziale per il mantenimento della stabilità… Nir Barkat ha chiesto lo scioglimento dell’Autorità Nazionale Palestinese e l’imposizione della sovranità israeliana: “È tempo di perseguire una soluzione in stile Emirati Arabi Uniti. Hebron viene prima di tutto, questa è una questione su cui Israel Gantz (capo del Consiglio Regionale di Mateh Binyamin) e io stiamo lavorando intensamente con il governo. Con l’aiuto di Dio, scioglieremo l’Autorità Nazionale Palestinese e ci muoveremo verso un modello palestinese degli Emirati Arabi Uniti”.
* * * * *
Cosa dicono 7: La consegna delle armi tra Autorità Palestinese e Libano è un pretesto per privare Hamas di legittimità?
Alcune fonti hanno avvertito che la “farsa” della consegna delle armi nei campi profughi palestinesi in Libano è progettata per “privare Hamas della legittimità, isolarla politicamente e presentarla come operante al di fuori dell’autorità riconosciuta, rispecchiando la campagna di disarmo che prende di mira Hezbollah”.
