Ad onta dei toni trionfalistici e delle aspettative da cui è stato preceduto, il nuovo “Patto sull’asilo e la migrazione” voluto da ursula von der Leyen e presentato ieri dalla vicepresidente Margaritis Schinas e dalla commissaria UE Ylva Johansson si rivela l’ennesima delusione per l’Italia. Nessun annullamento del regolamento di Dublino. Ma non poteva essere altrimenti: la redistribuzione di tutti gli sbarcati è una pretesa irrealistica e, per certi versi, anche ingiusta, che non verrà mai accolta. Piuttosto, in sede di trattativa con gli altri Stati membri si dovrebbe puntare sull’impegno a una gestione comune dei rimpatri. Un obiettivo molto più facile da raggiungere e, in prospettiva, molto più proficuo per l’Italia.
Finalmente ha visto la luce la proposta della Commissione Europea sui migranti, battezzata New Pact on Migration and Asylum. Come noto, la proposta dovrà essere sottoposta al Consiglio Europeo, pertanto si tratta solamente di una base di discussione. Ciò premesso, è possibile fare qualche considerazione sul testo pubblicato ieri, in particolare sulla parte che interessa da vicino il nostro paese, ossia la redistribuzione di quanti sbarcano sulle nostre coste (e, aggiungeremmo, di quanti arrivano tramite la rotta balcanica, dove i numeri sono importanti e in crescita).
Innanzitutto, va evidenziato che il principio del Regolamento 604/2013 (il cosiddetto Trattato di Dublino) non viene messo in discussione: lo Stato in cui avviene il primo ingresso continuerà a essere responsabile dell’esame della domanda di protezione internazionale, a meno di situazioni particolari: a) avere un titolo di studio rilasciato da un altro Stato membro o b) avere familiari stretti che vivono altrove in Europa. Anche a occhio, si capisce che si tratta di casi assolutamente marginali tra quanti sbarcano oggi in Italia.
Vengono poi prospettate tre forme di solidarietà europea, a discrezione di ciascun Stato membro:
- redistribuzione
- presa in carico dell’onere del rimpatrio
- condivisione degli oneri finanziari dell’accoglienza
Non serve essere Nostradamus per immaginare quale potrà essere la forma preferita da gran parte dei nostri partner. Come se non bastasse, si potrà scegliere la nazionalità dei migranti da rimpatriare e qui è fin troppo facile prevedere che verranno privilegiati Paesi che non pongono ostacoli al ritorno dei propri cittadini, lasciando il vero onere a noi.
Arriva quindi la previsione di soluzioni specifiche per tre scenari:
- Disembarkation following search and rescue operations at sea and vulnerable persons”
- Pressure or risk of pressure on a Member State’s migration management system”
- Situation of crisis
È vero che in questi casì è prevista una redistribuzione, tuttavia ciò riguarda solamente coloro che non abbiano già ottenuto una delle due forme di protezione già previste (asilo e sussidiaria) o non abbiano ottime possibilità di ottenerla. Dal momento che la percentuale delle richieste di protezione respinte dall’Italia si aggira intorno all’80% e che la situazione di crisi viene dichiarata dalla Commissione solo in circostanze eccezionali, si capisce bene che la stragrande maggioranza di chi arriverà in Italia resterà in Italia, anche in considerazione del fatto che viene ribadita la responsabilità dei coastal States per le operazioni SAR.
Va poi aggiunto che il secondo e il terzo scenario si verificano in seguito alla decisione della Commissione, con criteri ancora da definire, e per quanto riguarda il primo scenario esso non contempla i cosiddetti sbarchi autonomi, che sono la stragrande maggioranza nell’anno in corso.
Altra nota dolente è il contributo materiale che i nostri partner dovrebbero dare: tramite una procedura farraginosa, la Commissione raccoglie gli impegni spontanei e, ove questi non risultino sufficienti, convoca un high-level Solidarity Forum; se anche questo strumento non raggiunge l’obiettivo, allora Bruxelles chiede agli Stati membri di accettare redistribuzioni o contribuire in altro modo. Non sono al momento previste sanzioni per i riottosi.
Da questa breve ricognizione capiamo già che i cambiamenti prospettati sono ben poca cosa rispetto alle aspettative italiane. Analogamente, dalle prime reazioni che arrivano da alcuni partner si evince che la trattativa sarà lunga e serrata.
Va anche detto con franchezza, però, che sarebbe del tutto irrealistico attendersi una vera redistribuzione di coloro che sbarcano sulle nostre coste. Lasciando da parte il politically correct, la verità è che si tratta per lo più di immigrati irregolari, quasi sempre privi di documenti e, dunque, estremamente difficili da rimpatriare. In pubblico i politici europei amano evocare categorie dello spirito come i “migranti economici” e principi come la “solidarietà”. Nella realtà nessuno ha voglia di prendersi una patata bollente che la natura e la geografia hanno messo nelle mani dei paesi mediterranei. D’altra parte, ogni Paese ha il diritto di impostare la propria politica sull’immigrazione: una redistribuzione automatica significherebbe imporre una visione ideologica a Stati che ne hanno un’altra, giusta o sbagliata che sia.
Se si volesse privilegiare per una volta il pragmatismo, ci sarebbe un’opportunità da cogliere nella proposta della Commissione, ossia l’impegno a un’azione comune per i rimpatri: da un lato il potere negoziale dell’UE potrebbe portare a risultati concreti e duraturi, dall’altra gli Stati membri che non vogliono sentir parlare di prendersi carico di immigrati irregolari sarebbero ben felici di cooperare al loro rimpatrio (a onor del vero, i nostri amici dell’Est non hanno mai negato il loro supporto al controllo delle frontiere comuni).
La politica è l’arte del possibile, diceva Bismarck. Con aspettative irrealistiche si torna sempre a casa con le pive nel sacco.
“La Comunità di Sant’Egidio e lo Stato italiano hanno firmato oggi un accordo per l’ingresso nel nostro paese di 300 profughi provenienti dalla Grecia, in particolare dall’isola di Lesbo, dove pochi giorni fa è scoppiato un incendio che ha reso impossibile la vita di migliaia di richiedenti asilo.
I corridoi umanitari fanno emergere il volto di un’Italia che, con altri Paesi europei, guarda al futuro rispondendo alle crisi umanitarie con senso di umanità e percorsi di integrazione. E’ l’Italia fatta da cittadini che non si rassegnano alla sofferenza di chi fugge da gravi crisi umanitarie, ma vuole dare una risposta basata su accoglienza e legalità” Marco Impagliazzo
https://www.santegidio.org/pageID/30284/langID/it/itemID/38108/Un-nuovo-corridoio-umanitario-per-i-profughi-di-Lesbo-porter%C3%A0-300-persone-fragili-in-Italia-Aperta-una-sottoscrizione-per-accogliere-i-profughi.html?fbclid=IwAR1sDzC-iUS6B2poXvIWjY0N__0o5qtAco833sVBZfhBhG987S6KtbgQMTk
I corridoi umanitari sono sempre esistiti in realtà, quello che l’Italia pretende è di redistribuire chiunque sbarchi qui, imponendo di fatto la sua politica no border a tutti gli altri paesi. È evidente che non esiste la benché minima possibilità che una pretesa del genere venga anche solo presa in considerazione
La lezione del 2015 è che questa situazione non può più ripetersi. E ci sono delle regole. Si può giustamente accusare i greci di aver tollerato condizioni completamente disumane nei campi. Ma non si può biasimarli per aver rispettato le leggi e le leggi in materia di migrazione. Finché ci saranno i regolamenti di Dublino, che prevedono che le domande di asilo vengano presentate e trattate nel primo paese ospitante, devono applicarsi. Non può fare ogni stato o sindaco la propria politica in materia di asilo e immigrazione. Alloggiare le persone colpite deve essere dignitoso, e tutti possiamo contribuire, e contribuire anche alle frontiere esterne dell’Unione europea. ™
Friedrich Merz
NB: “e tutti possiamo… contribuire anche alle frontiere esterne” qui è scritto ciò che avverrà
E Merz parla di frontiere UE pur essendo stato, in un primo momento, tra quelli che sosteneva la posizione BVerfG vs CGUE e BCE.
Ha realizzato, probabilmente con un po’ di ritardo, il da farsi in proposito. Chissà, come nazione (?), dove ci porteranno il lassismo degli uni e l’interventismo degli altri…