Per fare Arte e Cultura serve una nuova visione, un nuovo linguaggio, nuove forme che sappiano andare oltre la cornice di “questo mondo” ormai in dissoluzione. Siamo sicuri che invece non siamo schiavi delle stesse forme?

Davanti ai nostri occhi sta una società in disfacimento. Quello a cui abbiamo assistito negli ultimi tre anni avrebbe dovuto solo certificarlo anche ai più dormienti, ma ahimè, così non è stato. L’agonia viene da molto lontano e non è, come banalmente ci ostiniamo a credere, circoscrivibile a degenerazioni di carattere morale o ideologico, ma strutturale. In questo termine sta racchiuso il senso profondo di quanto cercheremo di spiegare.

La scuola pubblica – statale e non – è un cadavere che si sforza di rimanere in piedi. Negli “anni pandemici”, dalle scuole dell’infanzia sino alle università, si è celebrato il trionfo della disumanizzazione, della psicosi, della perdita delle ultime tracce di ragionevolezza, di inginocchiamento ai dogmi scientisti sempre più insensati, ma anche – e questo non è stato a dovere sottolineato – della viltà, dell’indifferenza, dell’attaccamento ad un ruolo sociale, ad un posto. Gli insegnanti che si sono fatti sospendere rappresentano un numero davvero irrisorio.

Il mondo della salute, a cui partecipano anche gli psicologi fra gli altri, ha dato prova delle medesime bassezze umane elencate sopra, con percentuali di “reale dissidenza” forse perfino più basse.

L’arte è forse riuscita a conquistare il triste primato di regina fra le ancelle della narrazione ufficiale, prestando anche voce pubblica in soccorso di essa. I motivi sono molteplici, ma qui non vi è il tempo di elencarli.

Ovviamente la lista delle categorie e delle strutture sociali che hanno mostrato questo volto deforme e morente sono innumerevoli. Qui ci basta evidenziare come, se davvero abbandonassimo la paura che alberga nel fondo di ciascuno di noi, questa società non è risanabile, ma “provvidenzialmente” completerà la sua corsa – motus in fine velocior – andando a disintegrarsi completamente. Completamente.

Ma proprio qui emerge tutta la nostra paura. Perché noi vorremmo invece curare le piaghe del morente e restituirlo miracolosamente alla vita. In questo modo, delle nostre esistenze non verrebbe toccato pressoché nulla avendo estirpato solo i mali da una società divenuta negli ultimi tempi, pervertita.

Metaforicamente il nostro atteggiamento è di colui che cerca di custodire con ansia ciò che ha accumulato, con lo sguardo quindi sempre e solo rivolto al passato. Ma se vincessimo questa paura di perdere tutto ciò che crediamo di sapere, di essere, avremmo invece il corpo e lo sguardo ben protesi in avanti, ma al contempo con la consapevolezza di dover preservare il tesoro del passato che però ci si mostra totalmente rinnovato sotto altra luce. Non saremmo affatto solo conservativi, ma agiremmo sulla linea della «conservazione rivoluzionaria», per usare la felice espressione di un sapiente.

Vedete, il nostro rachitismo culturale ed artistico viene tutto da qui: dall’essere, tutt’al più, dei semplici reazionari. Finché pensiamo solo a conservare, dimostriamo di accettare inconsapevolmente le strutture di “questo mondo” ma di criticarne solo certune ideologie o deviazioni morali. Ci si attarda nel voler usare lo stesso linguaggio, lo stesso immaginario che hanno edificato la nostra era oramai alla fine. E questo non porta da nessuna parte. Anzi, chi questi linguaggi e questi immaginari li ha creati e modellati (coloro che stanno dalla parte del potere) li sa usare con infinita più astuzia e duttilità.

Chi invece ha compreso, o perlomeno ha intravisto negli avvenimenti della storia, i segnali del crollo di questa civiltà, si sta già adoperando per creare nuove forme totalmente al di fuori dei circuiti abituali. Sotto le macerie. Oltre la cornice. Diverso deve essere il linguaggio, diversa la forma.

Perché per fare Cultura e Arte (le maiuscole sono volute) occorre una visione nuova che si ancora alla lettura profonda della realtà, che non può che essere metafisica e pertanto, simbolica. Ciò che sta accadendo, e che, anche a voler spalancare gli occhi e l’intelletto, non potremmo che intuirne per ora solo una parte, è qualcosa di immensamente grande, che supera anche l’alta fantasia di cui parla Dante.

In questi ultimi tre anni e mezzo, invece, siamo stati letteralmente assorbiti da un unico piano, quello dell’informazione. Ma l’informazione è solo il primo passo. L’informazione non crea, non produce profondi cambiamenti nelle persone. Perché oggi siamo tutti chiamati ad una “nuova conversione”, ad una metanoia. Per fare questo, occorrono la Cultura e l’Arte. Cultura e Arte della Fine e del Nuovo Principio. Fuori da questa lettura vi è solo fumo negli occhi.

D’altronde la parola cultura muove dalla radice indoeuropea KwEL che esprime il “girare”, il “circolare”. E dalla stessa radice abbiamo anche “culto” e “coltivare”. Termini che esprimono tutti la ciclicità, il dinamismo e il collegamento fra il Cielo e la Terra.

Dovremmo assistere ad un’esplosione silenziosa di arte e cultura e invece l’apatia, il rinchiudersi dentro circoli, conventicole, recinti sicuri dove non viene detto e fatto nulla di nuovo, sono la fotografia dei cosiddetti “divergenti”. Pochi in realtà si muovono, ma ancora in ordine sparso, perché faticano a trovare l’appoggio di altri. Vedono ciò che gli altri non vedono. Sentono ciò che gli altri non sentono. Intuiscono ciò che gli altri nemmeno sospettano.

Non c’è arte perché l’arte è visione pura, oltre i veli e le forme di questa società anti-umana fin dalla radice. Nell’Apocalisse, dei centoquarantaquattromila che portano il Nome dell’Agnello sulla fronte, si dice che «Sono coloro che non si sono contaminati con donne», dove per donne possiamo intendere “le forme di questo mondo”.

Davvero vogliamo da soli condannarci alla cecità? O è giunta l’ora di destarci dal sonno?

Condividi!

Shares
3 pensiero su “PERCHÉ MANCA UN VERO FERMENTO CULTURALE E ARTISTICO”
  1. Complimenti da Torino….ove l avanguardismo e strisciante ma presente.ove soccorre chi a bisogno di linfa da spurgare e consapevolezza
    Da manipolare

  2. Chi si pone nella posizione di colui che ricapitola (comunque grazie di averlo fatto!), dovrebbe fare lo sforzo di segnalare le emergenze positive, i fari, gli esempi (sempre abiurabili) oppure declinare le grammatiche possibili. Altrimenti saremmo di nuovo dov’era Montale esattamente cent’anni fa, quando scriveva: “Codesto solo oggi possiamo dirti, ciò che non siamo, ciò che non vogliamo”. Almeno lui, però, tracciava un solco da dentro l’arte: segnalava una direzione possibile, facendo poesia. Altrimenti il contributo resta impressionistico, non concedendosi all’accoglimento o alla messa in questione, fermandosi insomma a un passo dalla fecondità.

    1. Buongiorno Augusto, grazie del tuo commento, perché denota il sincero desiderio di costruzione di alternative.
      Ovviamente non posso enucleare certi concetti in ogni articolo che pubblico, ma se tornassi indietro a leggerne alcuni, troveresti le risposte alle domande che poni.
      Noi, ad esempio, abbiamo fondato una casa di produzione cinematografica totalmente indipendente e sganciata dai meccanismi istituzionali e burocratici che sono un ricatto: nelle forme e nei contenuti. Lavoriamo per costruire un movimento artistico libero con altri professionisti.
      Ci sono due colonne portanti del discorso che porto avanti da anni, una teorico-formale e l’altra operativa.
      Senza formazione non vi può essere alcuna azione corretta.
      Dal punto di vista formale, e parlo in questo caso del cinema in maniera specifica, bisogna lasciarsi alle spalle l’idea che esso sia una una semplice trasposizione di storie per immagini in movimento. Occorre ripartire dalla lezione di Tarkovskij. E già qui va in frantumi tutta la nostra idea su cosa sia il cinema e come bisogna farlo oggi.
      Dal punto di vista operativo, dobbiamo metterci in testa che siamo alla fine di una civiltà, con tutto ciò che comporta. Pertanto in questa fase di turbolenta transizione si può fare arte libera e nuova solo e soltanto se la “parte sana” della società torna a finanziarla, promuoverla, diffonderla.
      Se vuoi approfondire il nostro lavoro puoi guardare ad esempio questi due link
      http://www.phausaniafilm.it
      Sito della nostra casa di produzione

      https://www.youtube.com/watch?v=h3e2ZfLjUww
      Intervista fattami qui su Giubbe Rosse News sul nostro documentario, sullo stato del cinema e su cosa significhi fare cinema indipendente oggi.

      So che c’è molto da approfondire. Se questo è veramente il tuo desiderio, di materiale, come vedi ne ho tantissimo.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *