Il malumore nella base democratica per l’appoggio dell’amministrazione Biden alla campagna di terra israeliana a Gaza arriva ai piani alti. Netanyahu, sempre più isolato, si gioca tutto e rilancia: l’attacco con drone che ieri a Beirut ha ucciso il numero 2 di Hamas mira a trascinare gli Stati Uniti in una guerra regionale contro Hezbollah e Iran. Agli Stati Uniti conviene seguirlo, a dieci mesi dalle elezioni?

Bernie Sanders, il senatore progressista del Vermont, ha rilasciato ieri una dichiarazione chiedendo al Congresso di bloccare ulteriori finanziamenti a Israele durante la guerra a Gaza, dove più di 22.000 palestinesi sono stati uccisi in attacchi israeliani dopo che Hamas ha ucciso 1.200 persone in Israele il 7 ottobre:

Mentre, da un lato, riconosciamo che il barbaro attacco terroristico di Hamas ha dato inizio a questa guerra, dobbiamo anche riconoscere che la risposta militare di Israele è stata grossolanamente sproporzionata, immorale e in violazione del diritto internazionale. Quando è troppo è troppo. Il Congresso deve respingere tale finanziamento. I contribuenti degli Stati Uniti non devono più essere complici della distruzione della vita di uomini, donne e bambini innocenti a Gaza.

The Guardian

Sempre ieri si è manifestata su questo tema anche la potente senatrice Elizabeth Warren dal suo account X:

Netanyahu e il suo gabinetto di guerra di destra hanno creato una catastrofe umanitaria, uccidendo migliaia di civili palestinesi. Israele ha bisogno di una leadership che riporti a casa gli ostaggi, non di mesi di guerra. Smettete di bombardare Gaza. Riprendete il cessate il fuoco. Lavorate per una pace permanente.

Quando due pezzi grossi del partito democratico americano come la senatrice Warren e il senatore Sanders manifestano pubblicamente e in modo così plateale il loro imbarazzo per la situazione a Gaza, significa che il limite è stato superato. Gli Stati Uniti sono abituati a finanziare e promuovere guerre nel mondo attraverso proxy, in modo indiretto, preferibilmente nell’ombra. Ma a Gaza non possono farlo. Il loro appoggio a Israele è scoperto, i loro veti al Consiglio di sicurezza dell’ONU sono visibili a tutti, le loro portaerei nel Mediterraneo e nel Golfo Persico sono difficili da nascondere, gli aerei militari che riforniscono Tel Aviv di munizioni sono segnalati persino dai mainstream. E ai salotti progressisti questo non piace: rischia di compromettere il mito dell’esportazione di democrazia e diritti umani nel mondo.

All’atto pratico e nell’immediato, non cambierà nulla, naturalmente. Ma sono segnali che l’amministrzione Biden deve cogliere in vista delle prossime elezioni, anche perché i due senatori sanno benissimo che i malumori nella base elettorale dei DEM sono sempre più difficili da nascondere e potrebbero alla fine sfociare in un’aperta rottura. Non a caso, ieri sera il Dipartimento di Stato si è affrettato a rilasciare un comunicato in cui respinge in modo quasi schifato i propositi di “reinsediamento” dei palestinesi di Gaza avanzati da due ministri del governo israeliano. Un modo, nemmeno troppo malcelato, per far capire a Netanyahu che l’appoggio americano non durerà in eterno.

In questo contesto, a nostro avviso, va letto il brutale attacco a Beirut compiuto ieri da Israele, fatto apposta per provocare la reazione di Hezbollah, e quindi indirettamente dell’Iran, e conseguentemente trascinare anche gli Stati Uniti in un conflitto regionale più ampio.

Sempre più isolato, il governo Netanyahu punta a una soluzione totale. Converrà agli Stati Uniti seguirlo, a dieci mesi da decisive elezioni?

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