Lorenzo Maria Pacini per Strategic Culture Foundation – Traduzione a cura di Old Hunter

Ecco fatto. Qualcosa è successo. E questo “qualcosa” è stato per molti inaspettato, per altri molto sperato. Ora dobbiamo fare i conti con ciò che accadrà.
Sotto la luna giusta
Ci sono scelte che non possono essere fatte senza considerare certi dati esoterici, la cui influenza può essere decisiva per il successo di un’operazione strategica. Lo sa bene Israele, che applica le nozioni della Cabala ebraica a tutte le scelte politiche e militari. Questa volta il tempismo non è mancato nemmeno nella risposta: alla vigilia di uno dei transiti lunari più delicati del secolo – con la Luna che entra in Bilancia con un’eclissi annessa con Marte opposto a Plutone retrogrado in Capricorno, che perfezionerà l’opposizione a fine mese, congiunzione foriera di grandi scontri e che apre un biennio di battaglie importanti – la Repubblica islamica dell’Iran ha preso la decisione di rispondere alla furia sionista.
L’attacco è stato rivendicato come una risposta legittima all’assassinio di Haniyeh, Nasrallah e altri membri della Resistenza, in seguito a quanto dichiarato anche dalle Nazioni Unite nei mesi scorsi, quando Israele aveva violato la sovranità territoriale dell’Iran attaccando direttamente Teheran.
Da un punto di vista tecnico-militare, si è trattato di un attacco che potrebbe essere descritto come modesto. Certamente non focalizzato sull’ottenimento di un vantaggio strategico significativo, l’operazione ha coinvolto circa 400 missili ipersonici che hanno raggiunto obiettivi in Israele in circa 15 minuti, tutti di natura strategica, ovvero basi militari, depositi di armi e piattaforme di rifornimento. Nessun obiettivo civile è stato tracciato nell’attacco eseguito, confermando la precisione militare e la legittimità dell’attacco ai sensi del diritto internazionale e dello ius in bello, una precisazione necessaria dato l’uso israeliano di colpire obiettivi civili.
Ciò che questo attacco ha dimostrato è che l’Iran è riuscito a superare la difesa aerea multistrato di Israele, un po’ come aveva fatto ad aprile in circostanze simili. Questa volta, tuttavia, l’attacco missilistico ha avuto un successo significativamente maggiore del precedente, con più testate che hanno colpito gli obiettivi. I missili impiegati erano – secondo il comunicato ufficiale delle istituzioni iraniane – Fatteh-1, definiti ipersonici, impiegati per la prima volta. Tenete presente che il termine “ipersonico” significa che il missile mantiene una velocità di Mach 5 (o superiore) per l’intera durata del volo, non solo per una parte di esso come nel caso dei missili non ipersonici. Sono missili con un peso di 450 chili e una gittata di oltre 1400 chilometri. Dai frammenti recuperati, sembra che siano stati utilizzati anche missili Cheibar Shekan, che sono particolarmente veloci e hanno una gittata di crociera più lunga.
L’attacco è stato seguito da una serie di ‘chiarimenti diplomatici’: se Israele contrattacca, l’Iran è pronto a colpire più pesantemente. Nel frattempo, gli Stati Uniti hanno condannato l’attacco e schierato le proprie forze armate a supporto di Israele, che era presente nella zona da tempo, sia con le missioni regolari già presenti, sia con i rinforzi inviati dall’inizio della lotta con Hamas nell’ottobre dell’anno scorso.
La qualità di questo attacco è forse da comprendere più a livello di relazioni internazionali che a livello strettamente militare. Un attacco così “parziale” non è stato utile per liberare la strada alle truppe di terra, e tanto meno per manomettere i sistemi del nemico. Le basi interessate erano già state evacuate ore prima e Israele stava aspettando la rappresaglia promessa. Ciò che è cambiato è a livello internazionale. Gli Stati Uniti hanno confermato sfacciatamente la loro protezione sine qua non a Israele, mentre, ricordiamolo, Netanyahu era a New York alla plenaria dell’ONU quando ha impartito l’ordine di attaccare per uccidere Nasrallah e poco dopo invadere il Libano, dando inizio alla Terza guerra del Libano. Le altre potenze regionali sono state immediatamente coinvolte, dovendo adottare una posizione:
- i paesi della Resistenza hanno confermato il loro sostegno al Libano e all’Iran, in coerenza con la lotta per la Palestina e la sconfitta del nemico comune;
- La Turchia si è subito allarmata, con Erdogan che ha alzato la voce contro Israele (ma non contro gli Stati Uniti) e ha invocato l’unità del mondo islamico;
- La Russia ha dovuto interrompere la sua retorica accomodante e ha invitato Israele a cessare l’invasione e le operazioni di sterminio, ricordando la sua alleanza con l’Iran;
- I paesi europei hanno confermato la loro sottomissione a Israele e agli Stati Uniti, sostenendo Netanyahu e chiedendo l’estensione del conflitto.
L’effetto desiderato è stato probabilmente raggiunto. Israele ha dovuto subire di nuovo un attacco che ha confermato la necessità di moderazione. La via diplomatica non ha funzionato, quindi non c’era altra scelta.
L’Iran ha fatto la sua parte – e non è ancora finita
Per chi temeva l’intervento dell’Iran, argomento già trattato in precedenti articoli, è finalmente arrivata una risposta.
Bisogna analizzare come siamo arrivati a questo punto.
Primo punto: in questi primi mesi di governo, Pezeskhian ha fatto subire all’Iran e all’intero Asse della Resistenza una serie di sconfitte e sofferenze incredibili. I presupposti per riconoscere un’operazione politica da parte delle forze occidentali (MI6 e CIA, ma anche Mossad) ci sono tutti: un riformista debole, dalla posizione ambigua e dal tempismo perfetto nello sbagliare tutti i tempi, ma soprattutto uno che non ha rispettato l’invocazione della verità su quanto accaduto sull’elicottero di Raisi e Abdollahian, evento liquidato dal neopresidente con una sigla sulla notizia di un ‘incidente meteorologico’, quando gli elementi analizzati anche dall’estero mostravano chiaramente altro. Le elezioni sono state un disastro, un vero fallimento in termini di affluenza, in un Iran che storicamente ha sempre avuto affluenza record con intensa partecipazione dei cittadini alla vita politica dello Stato.
Pezeskhian in questi mesi non ha espresso alcun sostegno significativo alla Resistenza e, di fatto, non ha preso parte alla battaglia, cosa che è sempre stata propria dei precedenti presidenti.
Nel frattempo, sono emersi anche molti problemi con la corruzione dei servizi segreti e con alcuni alti funzionari delle forze armate e dei Guardiani della Rivoluzione. Ciò dovrebbe dare all’Iran e ai suoi alleati una lunga pausa di riflessione, perché si tratta di un lavoro interno radicato in decenni di operazioni sottotraccia da parte dei servizi segreti dei paesi nemici e molto probabilmente con il supporto dell’intelligence di altri stati confinanti.
Punto due: era necessario superare l’inerzia di Pezeskhian, altrimenti la risposta iraniana sarebbe stata per sempre assente. Qui è successo qualcosa: c’è stata un’operazione interna a Teheran, membri dell’intelligence, dei Pasdaran e del parlamento hanno preso in mano la situazione, hanno convocato il Consiglio supremo di sicurezza e hanno seguito le istruzioni dell’ayatollah Khamenei, che nell’ultimo periodo ha continuato l’opera di convocazione degli islamisti da tutto il mondo contro l’entità sionista. Khamenei ha dato la sua benedizione per l’attacco e questo è successo. Il presidente non è stato incluso nell’equazione. I fedeli di Raisi, i fedeli della Rivoluzione islamica, i fedeli di Soleimani hanno prevalso. Questa azione, credo, è un preludio a una crisi di governo o a un cambiamento nella linea politica ufficiale. Pezeskhian subito dopo l’attacco ha commentato imbarazzantemente gli eventi, dando l’impressione di non avere il controllo della situazione.
Tale instabilità potrebbe rivelarsi fatale per l’Iran e, a tutti gli effetti, non è ancora stata completamente superata. È probabile che si verifichi una crisi di governo, meno probabile che si verifichi un colpo di stato militare con un governo di transizione. In entrambi i casi, l’Iran non può permettersi di essere così indifferente come è stato negli ultimi mesi. Non può fidarsi di nessun paese in Occidente e non può basare le sue scelte sul sostegno dei principali alleati. Ancora una volta, le parole di Khomeini riecheggiano: “Né con l’Oriente, né con l’Occidente”. L’Iran islamico e rivoluzionario deve stare da solo, ora più che mai. La sua posizione globale è decisiva per il successo o il fallimento della lotta della Resistenza.
Proprio in questo senso, bisogna tenere presente che questa nuova guerra potrebbe destabilizzare notevolmente il prossimo vertice dei BRICS+ a Kazan, e questo in diversi sensi:
- nella partecipazione all’incontro, limitando la presenza dei Paesi postulanti o dell’Iran stesso in quanto in conflitto armato diretto;
- nell’accoglienza dei nuovi paesi membri, dove la già nota “maggioranza islamica” potrebbe essere vista come un rischio globale.
In questo secondo aspetto, Israele ha probabilmente giocato una carta precoce. Lanciare questo nuovo fronte del conflitto ora, prima delle elezioni americane, prima dei BRICS di ottobre, potrebbe minare l’azione riunificatrice di Khamenei per unire i popoli islamici nella comune lotta antisionista. Se i BRISC+ scegliessero davvero di temporeggiare, l’Iran andrebbe incontro a una sconfitta di soft power e a un isolamento di ritorno con cui non sarà facile venire a patti. In questo senso, sarà molto importante mediare con gli altri stati leader, come Russia e Cina, per assicurarsi la necessaria autorità decisionale. Vedremo cosa succederà.
La Turchia ci riprova
Parallelamente a tutto questo, la Turchia ci sta riprovando, con Erdogan che ha ripetuto il suo appello per un’Alleanza islamica contro Israele. Ankara non vuole che la guerra, il terrore e l’occupazione raggiungano i suoi confini, e la condanna formale delle azioni israeliane è arrivata rapidamente. Tuttavia, la posizione nei confronti dell’altro attore entrato in scena, ovvero gli Stati Uniti, è stata ancora una volta poco chiara.
Washington ha riesumato la mummia di Biden e ha subito alzato la voce contro l’Iran. Una retorica già nota, che era già stata ribadita qualche giorno fa da Trump, che aveva pubblicamente accusato gli agenti di Teheran di un ‘complotto’ per ucciderlo. È interessante notare come la notizia iraniana sia stata delicatamente inserita nel contesto dell’infowarfare americana già in anticipo rispetto agli eventi di questi giorni. Forse il Pentagono aveva fatto due chiacchiere con Tel Aviv o Teheran?
Il dialogo tra agenzie di intelligence è all’ordine del giorno, non c’è da stupirsi. In tutto il mondo, ogni governo è in contatto con i servizi segreti di altri paesi, quelli amici e ancora di più quelli nemici. Ogni giorno si negozia, in un gioco di equilibri che è difficile spiegare al profano. In pratica, è una specie di sfida all’inganno: si cerca di far cadere l’avversario in una trappola, facendogli credere qualcosa per ottenere un risultato. Vince chi riesce davvero a rendersi credibile e a ingannare l’avversario.
Proprio a proposito di inganno, dovendo essere onesti, la posizione ambigua della Turchia dovrà presto trovare una soluzione, perché la Resistenza non aspetterà che il ‘sultano’ faccia i suoi conti con l’Occidente per poi incassare i risultati senza aver partecipato al sacrificio. O la Turchia chiude i rapporti con la NATO e Israele (eppure il regime sionista vende armi alla Turchia come primo acquirente), oppure non ci sarà più nulla da condividere. Al contrario, la Turchia rischia di diventare un prossimo bersaglio dell’Islam mondiale. Perché dopo aver sconfitto l’entità sionista, verrà il momento delle pulizie di primavera nel grande mondo islamico.
E non ci sarà nulla su cui scherzare.
