La pace giusta non è mai esistita. L’unica pace possibile è quella che riflette la realtà.

L’8 novembre 1917 Lenin, da poco al potere, emanava il Decreto Sulla Pace, un documento rivolto a tutti i belligeranti che invitava a una pace “giusta e democratica, senza annessioni né riparazioni”.
Il leader sovietico aveva l’urgenza di mettere fine al conflitto che stava dissanguando il suo Paese e dedicarsi alle necessarie riforme interne. Per questo motivo, il 15 dicembre successivo firmò un armistizio con la Germania e i suoi alleati. Dopodiché, nella cittadina di Brest-Litovsk, oggi in Bielorussia, ebbero inizio le trattative di pace.
Fu subito evidente che i tedeschi, in vantaggio sul campo di battaglia, avevano della pace “giusta e democratica” un concetto leggermente diverso da quello di Lenin. Durante la trattativa posero, infatti, condizioni che i sovietici ritennero troppo pesanti, in primis la cessione dei territori polacchi, lituani e lettoni.
Lev Trotsky, capo dei negoziatori bolscevichi, tentò in ogni modo di ammorbidire le richieste tedesche, ma ottenne il risultato opposto: in parte per sfruttare la debolezza russa, in parte per l’urgenza di trasferire le truppe sul fronte occidentale, finì che il 27 gennaio 1918 il generale tedesco Hoffmann ordinò a 53 divisioni di riprendere l’avanzata, che non incontrò praticamente resistenza.
A Mosca si consumava intanto un duro scontro tra chi voleva firmare la pace a ogni costo, Lenin in primis, e chi si opponeva al diktat germanico. Tuttavia, la realtà sul campo era drammatica. E così il 3 marzo la Russia accettò i termini di Berlino, che nel frattempo si erano fatti ancora più gravosi, includendo l’Ucraina, la Transcaucasia, l’Estonia e la Finlandia. E così, la “pace giusta” di Lenin finì presto nel dimenticatoio, soppiantata dalla dura realtà.
Questo precedente ci permette di trarre qualche utile insegnamento a proposito di un’altra “pace giusta”, quella di cui si parla da tre anni a proposito dell’Ucraina.
Da un lato, la pace non può che riflettere necessariamente la situazione sul campo. Pertanto, chiedere a chi è in vantaggio di ritirarsi, scusarsi e pagare i danni (che è, in soldoni, quello che chiede l’UE) è ingenuo, per non dire ridicolo.
Dall’altro, non firmare la pace perché si è in svantaggio rischia di produrre danni ancora peggiori. Quanto più il conflitto va avanti, tanto più crescono le perdite; quante più risorse si investono, tanto più i termini della pace si rivelano pesanti per lo sconfitto.
Si sente spesso dire che il Trattato di Versailles del 1919 fosse iniquo verso la Germania, ma si dimentica che le condizioni di Brest-Litovsk furono ancora più gravose e che la Francia aveva avuto un milione e mezzo di morti e intere regioni distrutte.
Allo stesso modo, le condizioni russe per un’eventuale pace oggi sono molto più pesanti di quelle proposte nel negoziato di Istanbul del marzo 2022. Tra sei mesi o tra un anno saranno certamente più dure di quanto siano oggi.
La pace giusta non è mai esistita. L’unica pace possibile è quella che riflette la realtà.