“Hanno promesso sicurezza e ordine, ora vogliono definire cosa sia la “verità”. L’accordo di coalizione del governo federale mette in pericolo la libertà di espressione”. Così si legge nel sottotitolo di un articolo pubblicato oggi dalla Berliner Zeitung, in cui si mettono in luce alcuni inquietanti punti del programma di governo della nuova coalizione CDU-SPD. Con la consueta scusa di perseguire la disinformazione e proteggere la democrazia, “stiamo scivolando in una realtà che è più simile a un romanzo distopico di Orwell o Huxley”. La verità non nasce più dal dibattito e dalla dialettica delle idee: la decide lo Stato. Eppure, ci ricorda l’autore, la stagione del Covid ci ha insegnato che le fake news di ieri spesso diventano le verità di domani.

Titolo originale: Wollen CDU und SPD ein Wahrheitsministerium? Corona hat gezeigt, wie dumm das wäre, Franz Becchi, Berliner Zeitung, 20 aprile 2025
Non potrebbe essere più ironico: il nuovo governo federale di CDU, CSU e SPD prevede nel suo accordo di coalizione una lotta contro la “disinformazione”, nero su bianco. Un argomento che Friedrich Merz ha appena menzionato durante la campagna elettorale. E perché mai dovrebbe? La parola dominante usata a livello emotivo durante la campagna elettorale era “migrazione”, almeno se si crede ai suoi discorsi e ai suoi manifesti elettorali.
Ogni giorno, notizie di attacchi con coltelli da parte di autori stranieri campeggiavano dei titoli dei giornali. Accompagnate, come reazione, da slogan concisi del candidato cancelliere. Poi, l’inversione di rotta: dopo le elezioni, improvvisamente non si è più parlato della tanto citata “sicurezza delle frontiere”. Anche il freno all’indebitamento, che in precedenza era stato difeso con veemenza, è stato rapidamente allentato con una modifica alla Legge fondamentale, approvata da un parlamento uscente. A molti elettori, questo è apparso un tradimento delle promesse.
La bugia di ieri è la verità di oggi
Negli ultimi sondaggi AfD appare per la prima volta in vantaggio sulla CDU. Ma i numeri sembrano privi di significato: il vincitore delle elezioni CDU governa con il perdente SPD. La realtà dimostra che le promesse elettorali spesso non sono altro che tattiche da campagna elettorale. E ora proprio quel governo che ha ignorato le proprie promesse si appresta a decidere quello che è da considerare “verità” e e quello che da considerare “disinformazione”. Il piano è probabilmente quello di rendere la diffusione di informazioni false un reato punibile. Sembra quasi uno scherzo! Un’ironia di cui Merz nemmeno si accorge, accecato dalla prospettiva di ricoprire la carica più alta del paese.
La pandemia del Covid ha dimostrato quanto sia difficile distinguere le informazioni vere da quelle false. Il “fact checking” è spesso diventato un eufemismo per “opinion checking”, e chiunque non seguisse la linea del governo è stato rapidamente considerato un bugiardo. In diversi casi, sono stati cancellati post sui social media non perché diffondevano informazioni oggettivamente false, ma apparentemente perché rappresentavano posizioni controverse o critiche nei confronti del governo, ad esempio sull’obbligo di vaccinazione contro il Covid, sull’origine del virus o sugli effetti collaterali dei preparati a mRNA. La fake news di ieri è diventata la verità di oggi.
Il fatto che molti media siano sempre meno critici nei confronti del governo non è una nota a margine, ma una tendenza riconoscibile. Se ora si chiede anche ai governi di determinare cosa debba essere considerato vero o falso, stiamo scivolando in una realtà che è più simile a un romanzo distopico di Orwell o Huxley. Non c’è da stupirsi che “1984” sia così spesso citato come un memoriale: i parallelismi con la società di oggi sono inconfondibili.
L’accordo di coalizione afferma: “La diffusione deliberata di false accuse fattuali non è coperta dalla libertà di espressione”. In futuro, un’autorità di controllo dei media indipendente dallo Stato dovrebbe agire contro la disinformazione, l’odio e l’incitamento, su base legale e “preservando la libertà di espressione”. Ma ciò che sembra protezione ha il potenziale per essere controllato: soprattutto se le piattaforme non solo devono essere ritenute responsabili, ma anche attivamente coinvolte nella supervisione statale. Una regolamentazione completa dell’espressione digitale è a portata di mano.
A quanto pare, non ci si fida più dei cittadini per distinguere tra verità e menzogne. In luogo di un dibattito aperto, in futuro toccherà allo Stato determinare i fatti. La verità è dichiarata una categoria amministrata – e la contraddizione è dichiarata un atto che mette in pericolo la democrazia. La gestione dei cosiddetti messaggi di odio, in particolare, mostra a che punto può portare questo sviluppo.
Durante la pandemia del Covid, la comunicazione moralmente carica è diventata un’arma: la vaccinazione era considerata un “dovere civico”, i non vaccinati erano stigmatizzati pubblicamente e di fatto esclusi dalla vita sociale dalle regole del 2G [vaccinati o guariti, ndT]. Ora si fa un ulteriore passo avanti: solo le fonti approvate dallo stato dovrebbero probabilmente essere considerate credibili. Opinioni dissenzienti? Potrebbero potenzialmente essere punibili. Quello che una volta sembrava uno scenario distopico potrebbe rapidamente svilupparsi nella vita politica di tutti i giorni.

Alcuni elettori non sembrano a aver apprezzato la giravolta di merz dopo le elezioni. Lando Hass/dpa
Questa tendenza è evidente anche a livello dell’UE. Sotto la guida di Ursula von der Leyen, diversi media statali russi sono stati banditi a partire dal marzo 2022 in seguito all’attacco all’Ucraina. La “minaccia russa” sta diventando il modello preferito per la giustificazione, sia della fornitura di armi che del controllo delle informazioni. E se i cittadini europei credessero più alla propaganda russa che ai giornali occidentali?
UE e governo tedesco contro le fake news: che cosa si nasconde dietro?
Uno strumento centrale di questa nuova stretta giuridica sulle informazioni è la legge sui servizi digitali (DSA). Le piattaforme saranno obbligate a identificare e cancellare rapidamente i “contenuti illegali” e la “disinformazione”. Ufficialmente una misura di protezione, la DSA, sta infatti istituendo una struttura di censura di vasta portata: le piattaforme digitali stanno diventando organi privati di controllo della libertà di espressione. Insieme ai piani del governo federale, sta emergendo un sistema in cui le autorità politiche decidono sempre più spesso cosa si può dire e cosa no.
Persino il fondatore di Facebook, Mark Zuckerberg, ha detto in un podcast con Joe Rogan all’inizio di gennaio che la censura durante la pandemia su Facebook sembrava “qualcosa uscito dal romanzo ‘1984’”. Il governo degli Stati Uniti è intervenuto quotidianamente con Meta per far cancellare i post sulle vaccinazioni. Secondo Zuckerberg, i fact checker interni erano “troppo di parte”. Nel frattempo, Meta ha interrotto il programma di fact-checking e molte iniziative sulla diversità: un silenzioso dietrofront dopo l’ingresso di Trump alla Casa Bianca, che dimostra che non si trattava davvero di verità o diversità, ma di potere e influenza. Così, mentre gli Stati Uniti cercano apparentemente di remare indietro, la Germania e l’UE continuano a marciare verso la limitazione della libertà di espressione. Oggi, un meme innocuo può portare a una perquisizione domiciliare, all’arresto o, in casi estremi, alla reclusione. E la domanda cruciale rimane aperta: chi controlla i controllori della verità?