L’OCCUPAZIONE TOTALE DI GAZA DA PARTE DI ISRAELE TRA LE POLEMICHE INTERNAZIONALI

DiOld Hunter

25 Maggio 2025

di Elijah J. Magnier per il suo ejmagnier.com del 25 maggio   —    Traduzione a cura di Old Hunter

Nonostante le crescenti pressioni dei suoi più stretti alleati occidentali, il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha avviato un’occupazione militare su vasta scala di Gaza. La Striscia è stata divisa in cinque zone operative, segnando un’escalation decisiva in una guerra che dura già da quasi 600 giorni.

L’occupazione militare su vasta scala di Gaza da parte di Israele nell’ambito dell’operazione “Carri di Gedeone” segna una significativa escalation del conflitto in corso, suscitando ampie condanne a livello internazionale e sollevando interrogativi critici sugli obiettivi dell’operazione e sulle sue implicazioni umanitarie.

L’esercito israeliano ha avviato un’incursione simultanea da nord e da Khan Yunis a sud. Questa mossa segnala uno sforzo strategico per dominare zone precedentemente devastate, dove la popolazione di rifugiati è aumentata in modo esponenziale. Mentre le forze israeliane si spingono più in profondità nella Striscia di Gaza, l’assenza di un piano per negoziare il rilascio dei prigionieri israeliani e di un piano post-conflitto, e l’intensificarsi della crisi umanitaria sollevano profondi interrogativi sugli obiettivi a lungo termine dell’operazione e sulla sua legalità.

L’ultima offensiva israeliana rappresenta una svolta strategica: cinque divisioni d’élite – 252, 36, 143, 98 e 162 – sono state schierate insieme alle brigate d’élite Nahal e Golani. Queste unità sono prevalentemente composte da soldati professionisti, un netto cambiamento rispetto al precedente ricorso ai riservisti. Questo cambiamento segue mesi di crisi economica e di dissenso pubblico sull’impiego a lungo termine di cittadini-soldati.

L’esercito israeliano stima che l’occupazione durerà dai 3 ai 9 mesi per occupare e “ripulire” la Striscia dalla resistenza, con un previsto aumento delle vittime a causa della complessità dei combattimenti nelle aree urbane densamente popolate. Ogni divisione porta con sé capacità distinte:

  • Divisione 252: cinque brigate che combinano fanteria e forze meccanizzate.
  • Divisione 36: tre brigate meccanizzate e due unità speciali di fanteria.
  • Divisione 143: forze con base a Gaza, parzialmente ricostruite dopo aver subito ingenti perdite il 7 ottobre.
  • Divisione 98: otto brigate, tra cui paracadutisti e commando.
  • Divisione 162: un mix di forze speciali e unità meccanizzate.

L’attenzione geografica dell’incursione – aree precedentemente sottoposte a intensi bombardamenti – riflette una scelta tattica. La familiarità con queste zone dovrebbe aiutare le forze israeliane, ma la distruzione e gli spostamenti in queste regioni indicano anche che l’operazione terrestre incontrerà una resistenza disperata e radicata. 

Hamas e altri gruppi di resistenza rimangono trincerati in ampie zone di Gaza, spesso rioccupando aree dopo il ritiro delle forze di occupazione israeliane. I critici sostengono che, senza un piano chiaro per sostituire Hamas o gestire Gaza dopo il conflitto, l’operazione rischia di perpetuare il ciclo del conflitto.

In patria, l’avanzata di Netanyahu a Gaza è tanto una manovra politica quanto militare. La sua coalizione, fondata su partiti di estrema destra, lo ha chiarito: fermare la guerra potrebbe significare la fine del suo governo. Il Ministro delle Finanze Bezalel Smotrich ha apertamente sostenuto la distruzione di Gaza e l’espulsione della sua popolazione, affermando inequivocabilmente che la Striscia dovrebbe essere “svuotata” dai palestinesi.

A livello internazionale, la sfida di Netanyahu ha aggravato l’isolamento diplomatico di Israele. Nessun alleato ha sostenuto l’attuale escalation. Gli appelli di Stati Uniti, Unione Europea e altri partner per un cessate il fuoco sono stati ignorati. I tentativi di trovare Paesi terzi disposti ad accogliere i palestinesi sfollati – tra cui, a quanto si dice, Sudan, Libia ed Egitto – sono stati categoricamente respinti.

L’occupazione non è passata inosservata all’interno di Israele. Yair Golan, leader del partito centrista “Democratici” ed ex vicecapo di stato maggiore dell’IDF, ha espresso una delle critiche più aspre allo sforzo bellico fino ad oggi. In un’intervista trasmessa in televisione a livello nazionale, Golan ha condannato quella che ha definito una politica di “punizione collettiva, sfollamento forzato e uccisione casuale di civili”.

“Uno stato razionale non fa la guerra ai civili”, ha detto Golan. “Non uccide bambini per divertimento e non adotta politiche di espulsione di massa”.

Il suo avvertimento – secondo cui Israele rischia di diventare una “nazione paria” simile al Sudafrica dell’apartheid – ha scatenato un acceso dibattito sia all’interno della Knesset che negli ambienti militari.

Cosa succederà dopo e cosa accadrà ai prigionieri israeliani?

Si stima che 58 israeliani e cittadini stranieri (21 dei quali ritenuti vivi) rimangano prigionieri a Gaza, inclusi prigionieri dichiarati morti e i cui corpi sono stati trattenuti. Sono scoppiate proteste a Tel Aviv, con migliaia di persone che chiedono il rilascio degli ostaggi. Israele ritiene che i prigionieri israeliani rimanenti si trovino principalmente nella parte centrale della Striscia, probabilmente a Khan Younis e nella città di Gaza. Era stato precedentemente avvertito che l’avvicinamento delle forze di occupazione nelle immediate vicinanze dei prigionieri avrebbe innescato l’esecuzione di questi ultimi. L’ampia operazione israeliana per occupare Gaza non ha certamente l’obiettivo di liberare i prigionieri, come hanno affermato i ministri Smotrich e Ben Gvir, che “non sono più importanti della sicurezza di Israele”, definita da questi ministri di estrema destra come la distruzione totale di Gaza e la sua rioccupazione.

Netanyahu ha evitato di nominare un’autorità successore per Gaza. I funzionari israeliani parlano solo in termini vaghi di controllo a lungo termine. La ricostruzione, a quanto pare, non fa parte dell’agenda. Ciò che è chiaro, tuttavia, è l’intento strategico di rendere Gaza permanentemente inabitabile per una parte significativa della sua popolazione palestinese.

Questa ambiguità ha suscitato l’allarme di organizzazioni per i diritti umani e governi stranieri. La prospettiva di un regime militare prolungato, unita allo sfollamento etnico, rischia non solo di provocare una catastrofe umanitaria, ma anche di destabilizzare la regione. Le tensioni in Cisgiordania, Libano ed Egitto stanno già aumentando, e si stanno diffondendo i timori di una conflagrazione più ampia.

L’offensiva ha aggravato una situazione umanitaria già disastrosa. Sono state segnalate oltre 52.000 vittime palestinesi, con una diffusa distruzione delle infrastrutture. Il blocco ha portato a condizioni di carestia, con le agenzie umanitarie che hanno lanciato l’allarme per la mortalità infantile di massa dovuta al blocco degli aiuti. Il governo del Primo Ministro Benjamin Netanyahu si trova ad affrontare crescenti pressioni internazionali. Alleati come Stati Uniti, Regno Unito, Francia e Canada hanno chiesto la fine dell’offensiva e la revoca delle restrizioni agli aiuti.

Conclusione: Israele al bivio

La piena occupazione di Gaza da parte di Israele segna una svolta: militarmente, politicamente e moralmente. Con le crescenti critiche internazionali e il crescente bilancio umanitario, il governo Netanyahu sembra puntare sul controllo totale come unica via d’uscita.

Ma senza un piano credibile per il futuro di Gaza, e di fronte alla condanna globale e al disagio interno, Israele rischia di ottenere vittorie tattiche e di subire una sconfitta strategica. Il costo dell’occupazione potrebbe in definitiva essere superiore a quello di qualsiasi singola battaglia: potrebbe rimodellare la posizione di Israele nel mondo e il futuro stesso della regione.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *