Facciamo il punto della situazione dopo gli attacchi ucraini alle basi militari russe del 1° giugno e il fallimento dei colloqui di Istanbul.
Con un lungo thread su X, il presidente ucraino Volodymyr Zelensky ha annunciato ieri il ritiro dell’Ucraina dai negoziati di Istanbul. Zelensky afferma che continuare gli incontri a quel livello è “senza senso”, in quanto la delegazione russa presente non ha l’autorità per prendere decisioni significative. Zelensky ha sottolineato che l’Ucraina è pronta a proseguire con lo scambio dei prigionieri, ma ritiene che un cessate il fuoco richieda un incontro a un livello superiore, a livello di leader. Ribadisce che i negoziati a Istanbul non hanno portato a progressi concreti verso una tregua, accusando la Russia di non essere pronta per un cessate il fuoco. Infine, esprime scetticismo sulla serietà dei colloqui, definendoli non produttivi e sottolinea la necessità di un cessate il fuoco come prerequisito per ulteriori negoziati. Kiev considera le richieste russe, come il ritiro delle truppe ucraine dalle quattro regioni parzialmente occupate, come “inaccettabili”.
La posizione dell’Ucraina
Nel post iniziale del thread, Zelensky scrive: “La pace richiede un incontro tra leader. Sono pronto a incontrare nei prossimi giorni Putin, così come i presidenti Trump ed Erdogan.” Tuttavia, nel resto del thread non menziona mai il termine “pace” né fa mai riferimento a una condizione che possa portare a una cessazione permanente del conflitto. Al contrario, chiede ripetutamente un incontro ad alto livello per discutere un “cessate il fuoco”. Quello è il suo obiettivo dichiarato ed esplicito: punta a un cessate il fuoco, sapendo già che i russi non lo accetteranno per ragioni da loro più volte ripetute (servirebbe solo all’Ucraina per riorganizzarsi e riarmarsi). Incassato il rifiuto russo di un cessate il fuoco, Zelensky spera, quindi, che gli USA sanzionino la Russia, così da riprendere le ostilità da una posizione più vantaggiosa per l’Ucraina.
La questione fondamentale è che i russi non sono pronti per un cessate il fuoco. Se non c’è un cessate il fuoco, ci devono essere sanzioni.
Volodymyr Zelensky, X
Del resto, questo è anche l’obiettivo che si propone esplicitamente il disegno di legge presentato dal senatore Lindsey Graham, che mira a imporre sanzioni del 500% ai paesi che continuino ad acquistare petrolio, gas o uranio russi.
Su questo punto Zelensky sembra aver incassato anche il sostegno di Trump, il quale ieri pomeriggio, subito dopo aver dato conto della telefonata con Putin, ha pubblicato un post sul proprio account Truth Social, nel quale si rimanda a un articolo dell’editorialista neocon Marc Alexander Thiessen pubblicato lo scorso 29 maggio sul Washington Post. Nell’articolo, intitolato “Il Congresso può dare a Trump lo strumento per forzare la mano a Putin”, Thiessen, ex braccio destro di George W. Bush e Donald Rumsfeld, sostiene enfaticamente il disegno di legge del senatore Graham come strumento di pressione contro Putin per porre fine alla guerra in Ucraina e suggerisce di autorizzare la vendita di armi all’Ucraina tramite prestiti di Foreign Military Financing e l’uso di beni russi congelati. Pur senza aggiungere alcun commento, il senso del post di Trump è fin troppo chiaro: ‘Attento Putin, che qui in America sono in tanti a cercare di tirarmi per la giacchetta. Accetta le mie condizioni o ti farai male’. Qualcosa del genere.
Alla luce di tutto ciò, appare chiaro anche quale fosse il vero obiettivo dell’attacco ucraino alle basi militari russe dello scorso 1° giugno: aumentare l’escalation, indurre la Russia ad abbandonare il negoziato e, soprattutto, impedire un incontro ad alto livello tra Trump e Putin. Quest’ultimo, in particolare, è lo scenario che sembra terrorizzare di più Zelensky: un accordo diretto tra i presidenti di USA e Russia rischierebbe, infatti, di escluderlo dal vero tavolo negoziale, insieme ai “volenterosi europei”, e lo obbligherebbe ad accettare condizioni di fatto già decise più in alto. Uno scenario che, in ultima analisi, segnerebbe anche la fine della sua avventura politica. Per questo, Zelensky chiede disperatamente un tavolo “ad alto livello” a Istanbul al quale, oltre ai presidenti di Russia e Ucraina, partecipino anche Trump e il presidente turco Erdogan.
La posizione della Russia
I russi, dal conto loro, per ora tengono il punto. Ripetono che la fine della guerra richiede il superamento delle “cause profonde” che l’hanno originata. In sostanza, chiedono che l’Ucraina resti fuori dalla NATO e rimanga neutrale e che gli Stati Uniti cessino di fornirle armi. Sul piano strategico, ciò si è tradotto a Istanbul nella consegna alla controparte di un memorandum molto simile a un ultimatum o a una richiesta di capitolazione, dunque fatto apposta per essere respinto dall’Ucraina. Tra le altre cose, la Russia ha chiesto infatti il ritiro completo delle forze armate ucraine dalle regioni della DPR, LPR, Kherson e Zaporizhia 30 giorni prima di un eventuale cessate il fuoco. Che è un po’ come dire ‘Chiedo 10 per ottenere 5’. Prima di concedere quel “5”, che prevedibilmente potrebbe essere il congelamento del conflitto sull’attuale linea del fronte, i russi si aspettano qualche concessione rilevante da parte dell’amministrazione americana. Concessione che, però, per ora tarda ad arrivare. Senza una qualche concessione importante, senza un impegno formale da parte degli USA, difficilmente i russi molleranno la presa adesso. Benché duramente colpiti dall’attacco con droni alle basi militari di Belaya e Olenya (per i dati aggiornati sui danni reali si veda il nostro articolo di ieri o l’articolo della redazione di Analisi Difesa), sul terreno le forze russe continuano ad avanzare sistematicamente, sia in direzione di Sumy, dove negli ultimi giorni hanno già occupato 11 insediamenti e sono ormai alle porte della città, sia in direzione della zona cuscinetto di Kharkiv.
La Russia sa bene che l’Ucraina è alle corde. Il clamore mediatico suscitato dalla distruzione di 13 bombardieri strategici può forse ravvivare per qualche giorno la propaganda russofoba sui mainstream occidentali, ma è destinato a cambiare poco nell’economia generale della guerra. Da tempo l’Ucraina lamenta di essere a corto di batterie missilistiche Patriot, come ricordava ieri anche un articolo di Politico, e ha gravi difficoltà nel difendere i cieli. Per questo, cerca colpi a grande effetto mediatico, come il tentativo di colpire nuovamente il Ponte di Crimea, avvenuto un paio di giorni fa. Ed è sempre più a corto di risorse umane, al punto che la Verkhovna Rada ha approvato ieri in prima lettura un disegno di legge che consente il reclutamento di persone di età superiore ai 60 anni.[1]
La Russia non ha alcun interesse a fermarsi adesso. Lo farà solo se Washington si impegnerà a concedere qualcosa di sostanziale.
La posizione di Trump
In tutto questo, Trump continua a fare il doppio gioco. Pubblicamente non ha ancora preso una posizione ufficiale in merito agli attacchi ucraini del 1° giugno, evitando sia di approvarli che di condannarli. Se crediamo al comunicato stampa del portavoce presidenziale russo Yury Ushakov, ieri durante la telefonata a Putin Trump avrebbe detto che gli Stati Uniti non sono stati preventivamente informati dell’attacco ucraino. Che ciò sia vero è tutto da dimostrare. Per ora, Trump continua a mettere pressione a entrambe le parti. Mentre da un lato minaccia la Russia con il disegno di legge del senatore Graham, dall’altro minaccia l’Ucraina di tagliare le forniture militari. Secondo un articolo del Wall Street Journal di ieri, infatti, l’amministrazione Trump starebbe
reindirizzando una tecnologia antidrone essenziale destinata all’Ucraina alle forze americane, una mossa che riflette il sempre minore impegno del Pentagono per la difesa di Kiev.
U.S. Is Redirecting Critical Antidrone Technology From Ukraine to U.S. Forces, The Wall Street Journal, 4 giugno 2025
La scorsa settimana il Pentagono ha notificato silenziosamente al Congresso che le spolette speciali per i razzi che l’Ucraina usa per abbattere i droni russi sono ora assegnate alle unità dell’aeronautica statunitense in Medio Oriente.
In conclusione, ci troviamo in una situazione di completo stallo. È nostra convinzione che solo un faccia a faccia diretto tra Trump e Putin possa portare a una rapida conclusione del conflitto. Viceversa, è assai probabile che la guerra andrà avanti ancora per diversi mesi. Per Trump, ciò significherebbe fallire clamorosamente uno degli obiettivi dichiarati in campagna elettorale e rischierebbe di tenere invischiati gli Stati Uniti nel pantano ucraino per un tempo potenzialmente illimitato. Il problema è che nessuno sa esattamente che cosa ha in mente Trump. Peggio ancora, nessuno sa veramente fino a che punto ha il controllo della situazione a Washington.