L’oppressione sistemica di Israele nei territori occupati è progettata per provocare un’esplosione popolare tra i palestinesi, scrive Ramzy Baroud. Il punto di rottura si avvicina rapidamente.

a Jenin, nella Cisgiordania occupata, 30 gennaio 2025.
Ramzy Baroud, consortiumnews.com, 25 luglio 2025 — Traduzione a cura di Old Hunter
Israele sta seguendo meticolosamente un modello da manuale per fomentare disordini nella Cisgiordania occupata. L’ultima di queste provocazioni è consistita nel privare il comune palestinese di Hebron (Al-Khalil) dei suoi poteri amministrativi sulla venerabile moschea Ibrahimi.
Quel che è peggio, secondo Israel Hayom, è che ha concesso questi poteri al consiglio religioso dell’insediamento ebraico di Kiryat Arba, un organismo di coloni estremisti.
Sebbene tutti i coloni ebrei nella Palestina occupata possano essere qualificati come estremisti, i circa 7.500 abitanti di Kiryat Arba rappresentano una categoria più aggressiva. Questo insediamento, fondato nel 1972, funge da punto d’appoggio strategico per giustificare il fatto di sottoporre Hebron a un controllo militare più severo rispetto a praticamente qualsiasi altra parte della Cisgiordania.
Kiryat Arba è notoriamente legata a Baruch Goldstein, il colono israelo-statunitense che, nel febbraio 1994, scatenò un terribile attacco quando aprì il fuoco contro i fedeli musulmani inginocchiati per la preghiera dell’alba nella moschea Ibrahimi, uccidendone 29 senza pietà.
A questo bagno di sangue ne seguì rapidamente un altro, durante il quale l’esercito israeliano represse brutalmente i manifestanti palestinesi a Hebron e in tutta la Cisgiordania, uccidendo altri 25 palestinesi.
Tuttavia, nel 1994 la Commissione israeliana Shamgar, incaricata di indagare sul massacro, decise che la moschea palestinese, un luogo di profondo significato religioso, sarebbe stata grottescamente divisa: il 63 percento sarebbe stato assegnato ai fedeli ebrei e solo il 37 percento ai musulmani palestinesi.
Da quella disastrosa decisione, sono state sistematicamente imposte restrizioni oppressive, tra cui una sorveglianza pervasiva e, a volte, chiusure prolungate e ingiustificate del sito, ad uso esclusivo dei coloni.
L’ultima decisione, descritta da Israel Hayom come “storica e senza precedenti”, è profondamente pericolosa. Affida il destino di questa storica moschea palestinese direttamente nelle mani dei fanatici che vogliono acquisire il luogo sacro nella sua interezza.
Ma la Moschea Ibrahimi è solo un microcosmo di qualcosa di molto più sinistro in corso in Cisgiordania. Israele ha sfruttato la guerra a Gaza per intensificare drasticamente la violenza, effettuare arresti di massa, confiscare vaste aree di terreno, distruggere sistematicamente fattorie e frutteti palestinesi ed aggressivamente espandere gli insediamenti illegali.

Sebbene la Cisgiordania, in precedenza ampiamente sottomessa dalle pressioni militari israeliane e dalle repressioni dell’Autorità Nazionale Palestinese, non sia stata direttamente coinvolta nell’assalto del 7 ottobre 2023 né nel genocidio israeliano in corso a Gaza, è inspiegabilmente diventata un obiettivo importante per le misure militari israeliane.
Nel primo anno di guerra, oltre 10.400 palestinesi sono stati arrestati durante le repressioni dell’esercito israeliano, migliaia dei quali senza accusa. Inoltre, centinaia di palestinesi sono stati sottoposti a pulizia etnica forzata, in gran parte nella Cisgiordania settentrionale, dove interi campi profughi e città sono stati sistematicamente distrutti nel corso di prolungate campagne militari israeliane.
L’obiettivo principale di Israele rimane lo strangolamento della Cisgiordania. Questo obiettivo viene raggiunto separando le comunità attraverso onnipresenti posti di blocco militari, imponendo chiusure totali di vaste regioni e la crudele sospensione dei permessi di lavoro per i lavoratori palestinesi, la cui sopravvivenza dipende quasi interamente dal mercato del lavoro israeliano.
Questo piano insidioso prendeva esplicitamente di mira anche tutti i luoghi santi palestinesi, tra cui il venerato complesso della Moschea di Al-Aqsa nella Gerusalemme Est occupata e la Moschea di Ibrahimi. Anche quando questi santuari erano formalmente accessibili, i limiti di età e i soffocanti posti di blocco militari rendono difficile, a volte addirittura impossibile, per i palestinesi pregarvi.
Nell’agosto 2024, il primo ministro Benjamin Netanyahu ha affermato che la sua incessante e violenta campagna contro la Cisgiordania faceva parte di un’azione volta a contrastare il “più ampio asse terroristico iraniano”. In pratica, questa dichiarazione ha dato il via libera all’esercito israeliano a trattare la Cisgiordania come un’estensione del genocidio israeliano in corso a Gaza. A metà luglio 2025, oltre 900 palestinesi erano stati uccisi dall’esercito israeliano in Cisgiordania, mentre almeno 15 erano stati assassinati dai coloni.

Saeed Al Umoor, vittima della violenza di coloni israeliani pesantemente armati, racconta gli spudorati attacchi contro i palestinesi, perpetrati impunemente mentre il governo israeliano e l’Autorità palestinese stanno a guardare. Video: https://twitter.com/i/status/1948534780707893472
Mentre i palestinesi venivano spinti sempre più contro il muro, senza una strategia centralizzata da parte della loro leadership per resistere in modo significativo, Israele ha aumentato esponenzialmente la costruzione di insediamenti illegali e la sfacciata legalizzazione di numerosi avamposti, molti dei quali costruiti illegalmente persino secondo gli standard del governo israeliano.
Le azioni di Israele in Cisgiordania non sono state una deviazione improvvisa, ma coerenti con un piano insidioso e di lunga data. Questo include un piano consolidato dalla Knesset israeliana nel 2020 che ha permesso a Israele di annettere ufficialmente la Cisgiordania. L’obiettivo finale di Israele è sempre stato quello di confinare la maggioranza dei palestinesi in enclave simili a bantustan, pur affermando il pieno controllo sulla stragrande maggioranza della regione.
Nell’agosto 2023, il ministro estremista della Sicurezza Nazionale Itamar Ben-Gvir ha formulato questa sinistra visione:
“Il mio diritto, il diritto di mia moglie e dei miei figli di muovermi in Giudea e Samaria (la Cisgiordania occupata) è più importante della libertà di movimento degli arabi”.
Sono seguite rapidamente misure più coercitive, tra cui leggi della Knesset volte a limitare significativamente le attività dell’Agenzia per il soccorso e l’occupazione dei rifugiati palestinesi (UNRWA) e ulteriori leggi volte a consolidare di fatto l’annessione.
Lo scorso maggio, Smotrich ha annunciato con audacia altri 22 nuovi insediamenti. Il 2 luglio, 14 ministri israeliani hanno pubblicamente chiesto a Netanyahu di annettere immediatamente la Cisgiordania.
In effetti, ogni azione intrapresa da Israele, soprattutto dall’inizio del devastante genocidio a Gaza, è stata attentamente calcolata per culminare nell’annessione irreversibile della Cisgiordania, un processo che sarebbe inevitabilmente seguito dalla dichiarazione degli abitanti nativi come persone non gradite nella loro stessa patria.
Questo livello di pressione e oppressione sistemica porterà infine a un’esplosione popolare. Sebbene oppresso dalla brutalità dell’esercito israeliano, dal terrore dei coloni armati e dalle azioni repressive dell’Autorità Nazionale Palestinese, il punto di rottura si sta rapidamente avvicinando.
Coloro che in Occidente predicano vani appelli alla calma e alla de-escalation devono capire che la regione sta precipitando verso il baratro. Né le banalità diplomatiche né gli sterili comunicati stampa saranno sufficienti a scongiurare la catastrofe. Li consigliamo di agire con decisione contro le politiche distruttive di Israele, e di farlo immediatamente.
Ramzy Baroud è un giornalista, fondatore e direttore di The Palestine Chronicle. È autore di sei libri. Il suo ultimo libro, curato insieme a Ilan Pappé, è “Our Vision for Liberation: Engaged Palestinian Leaders and Intellectuals Speak Out“. Tra i suoi altri libri segnaliamo “My Father was a Freedom Fighter” e “The Last Earth” . Baroud è un ricercatore senior non residente presso il Center for Islam and Global Affairs (CIGA). Il suo sito web è www.ramzybaroud.net.
