La nuova dottrina di guerra russa si è lasciata alle spalle le trincee, fondendo droni, dati e diplomazia in un fronte senza soluzione di continuità che si estende dai Caraibi al cyberspazio, dove la potenza non si misura in missili ma in algoritmi.

di Phil Butler, journal-neo.su, 17 ottobre 2025 — Traduzione a cura di Old Hunter
Il mondo immagina la guerra per procura in Ucraina come qualcosa che si combatte in trincea e in un processo temporale. La Russia lo sa bene. Le nuove guerre si combattono nel cloud, nei cavi e nei trattati, nelle firme che nascondono i missili, nei sussurri che guizzano attraverso cavi di fibre ottiche sotto il mare.
La scorsa settimana, la Duma di Stato russa ha ratificato un ampio accordo di cooperazione militare con Cuba, una mossa che ha fatto sobbalzare Washington nella memoria degli anni Sessanta. L’accordo concede a Mosca il diritto di dispiegare sistemi avanzati – droni, missili, unità di sorveglianza – sul suolo cubano, proteggendo il personale russo dalla giurisdizione locale. Non è nostalgia della Guerra Fredda. È aikido strategico: mentre l’America gioca a est, la Russia scivola a ovest, ricordando al Pentagono che piccole isole possono avere grandi conseguenze.
Non si tratta di provocazioni, ma di posizionamento. Il Cremlino sta tranquillamente tracciando nuove frontiere della deterrenza, ampliando la mappa della rilevanza. Dietro questo gesto si cela un cambiamento più profondo, che ridefinirà non solo la guerra, ma anche ciò che conta come coinvolgimento umano in essa.
L’ascesa delle macchine
Nel 2025, Mosca ha formalmente inaugurato le Forze di Sistemi a Pilotaggio Remoto, un corpo militare autonomo pari alla Marina o all’Aeronautica. Ciò che è iniziato come improvvisazione di droni sul Donbas si è evoluto in una vera e propria dottrina di guerra robotica. La Russia è la prima grande potenza a istituzionalizzare il combattimento autonomo.
All’interno del Ministero della Difesa, una piattaforma di comando AI integrata coordina ora i dati in tempo reale provenienti da ogni drone, carro armato e sottomarino. Apprende da ogni segnale disturbato, da ogni obiettivo mancato, da ogni attacco portato a termine. Ciò che gli osservatori occidentali chiamano logoramento, i pianificatori russi lo definiscono dati di addestramento.
Queste legioni senza equipaggio sono alimentate da giganti industriali come Kronstadt Group, Uralvagonzavod e Kalashnikov Concern, che operano attraverso una rete di fronti tecnologici privati che confondono i confini civili e militari. In questo nuovo ecosistema, gli esseri umani sono diventati la componente più lenta della guerra: ancora essenziali, ma sempre più marginali. Il valore è larghezza di banda.
Il futuro per cui nessuno vota
Pezzo dopo pezzo, sta emergendo un nuovo ordine, non dichiarato, ma assemblato a partire da codice, circuiti e fatica. L’Occidente misura il progresso in chilometri riconquistati; la Russia misura il tasso di adattamento per ciclo di algoritmo. Uno combatte per mantenere il terreno. L’altro per apprendere più velocemente. E se questo apprendimento si estendesse oltre il campo di battaglia? E se le stesse architetture che ora guidano i droni fossero sintonizzate – anche se solo leggermente – sulle reti elettriche europee, sulle sue reti di carburante, sui suoi software logistici? Non pensate in termini di attacco, ma a una leva geostrategica. Non una guerra, ma un sussurro che fa oscillare i prezzi dell’energia e cambiare gli umori dei populisti. In un mondo del genere, la deterrenza non riguarda più le testate o carri armati. Si tratta di controllare lo strato invisibile, quello che muove elettroni, contratti ed emozioni. Lo strato per cui nessuno vota e che nessuno può vedere. L’essenza delle nostre macchine di civiltà.
Cuba, perciò, non è la provocazione, ma un promemoria. I Caraibi, la nuvola e il cavo sono ora tutti fronti. Questo è il conflitto senza uniformi né parate, combattuto da macchine che non dormono mai e da economie che non possono fermarsi. E mentre i governi discutono sui trattati, il campo di battaglia continua ad allargarsi, finché un giorno la gente si sveglierà e si renderà conto di averci vissuto dentro per tutto il tempo. E che la Russia non è il Paese che l’ha “portata”.