CHI GIUDICHERÀ I GIUDICI?

DiOld Hunter

24 Novembre 2025
Alain de Benoist esamina i recenti interventi giudiziari nei processi elettorali in diversi paesi, sostenendo che queste azioni giudiziarie rappresentano un attacco fondamentale alla sovranità popolare, in cui giudici non eletti decidono di fatto per chi i cittadini possano votare. Il problema, sostiene de Benoist, è il concetto di “stato di diritto”, una costruzione ideologica liberale che subordina la volontà democratica a norme giuridiche astratte e alla dottrina dei diritti umani, attribuendo in ultima analisi ai giudici l’ultima parola in materia politica, anziché al popolo.

di Alain de Benoist, arktosjournal.com, 24 novembte 2025   —   Traduzione a cura di Old Hunter

Sconfitto da Joe Biden nel 2020, Donald Trump ha affermato di essere stato “derubato” della sua elezione a causa di varie manovre fraudolente approvate dai giudici. In Turchia, il principale rappresentante dell’opposizione, il sindaco di Istanbul Ekrem İmamoğlu, favorito per le prossime elezioni presidenziali, è stato gettato in prigione. In Costa d’Avorio, il favorito alla presidenza è stato semplicemente cancellato dalle liste elettorali. Abbiamo anche visto giudici rumeni annullare il primo turno delle elezioni presidenziali del novembre 2024, vinto da Călin Georgescu, per sospetti di “interferenza russa” ancora da dimostrare, per poi impedirgli di candidarsi alle elezioni successive. L’ultima risorsa della classe dirigente per impedire l’avanzata delle voci dissenzienti è apparentemente quella di vietare ai propri rappresentanti di partecipare alle elezioni.

La legge contro i popoli

Il caso francese non è molto diverso. Dichiarando Marine Le Pen ineleggibile, i giudici hanno dinamitato le elezioni presidenziali due anni prima che si svolgessero, utilizzando due procedure scandalose: l’ineleggibilità –  non è normale che un tribunale penale possa pronunciare sanzioni politiche – e, soprattutto, l’esecuzione provvisoria, poiché equivale ad anticipare l’esito della procedura di appello.

Ma non fatevi illusioni: rendere Marine Le Pen ineleggibile era solo un mezzo, il vero obiettivo era impedire ai cittadini di votarla, proprio nel momento in cui i sondaggi, attribuendole il 37% dei voti al primo turno, le davano forti possibilità di vittoria al secondo. Attraverso Marine Le Pen, è stata la considerevole massa dei suoi 12-15 milioni di elettori a essere in primo luogo sanzionata.

Ora, non spetta ai giudici decidere chi può ottenere il sostegno degli elettori, cioè per chi i cittadini possono votare. I magistrati non hanno il diritto di determinare ciò che è ideologicamente e democraticamente accettabile ai loro occhi, diritto che equivale a privarne il popolo, unico e solo detentore della libertà di eleggere chi vuole. Pesando sulle elezioni presidenziali, cioè sull’orientamento della vita politica del Paese, i giudici si elevano ad arbitri elettorali, il che non rientra nel loro ruolo. Questa è l’ennesima dimostrazione del disprezzo delle élite per il popolo, e soprattutto della loro volontà di governare contro di esso. Ed è anche una perfetta dimostrazione del “colpo di Stato dello Stato di diritto”, a cui era dedicato il dossier centrale dell’ultimo numero di Éléments .

“METTENDO LA DEMOCRAZIA SOTTO TUTELA, IL LIBERALISMO DÀ L’ULTIMA PAROLA AI GIUDICI. I GIUDICI SI IMPEGNANO IN POLITICA, MA CHI GIUDICHERÀ I GIUDICI?”

Come affermava Bruno Retailleau, lo Stato di diritto non è “né intangibile né sacro” – per la semplice ragione che si tratta solo di una costruzione ideologica, liberale in questo caso. Nato nel XIX secolo, lo Stato di diritto (Rechtsstaat) non è semplicemente uno Stato “che si sottomette a un regime di diritto” (Carré de Malberg). Hans Kelsen lo vedeva come uno Stato “in cui le norme giuridiche sono gerarchizzate in modo tale che il suo potere ne risulta limitato”. Lo Stato di diritto è infatti l’opposto del diritto statale. Tuttavia, lo Stato non può essere soggetto al diritto che emana, poiché ne è il fondamento, solo lui possiede la forza necessaria per garantirlo, e il diritto statale può solo mirare a preservarlo.

Lo stato di diritto impone l’egemonia delle norme. La norma suprema, che si suppone si applichi a tutti, lascia l’ultima parola in materia di decisione politica a quella giuridica. Così facendo, come scrive Christophe Boutin, “la decisione giudiziaria, spogliandosi del potere normativo, modifica a suo piacimento l’effetto dello stato di diritto – e lo stato di diritto si priva della sua legittimità democratica per non essere altro che l’espressione dell’ideologia di una casta”.

Il risultato finale è che non è più la democrazia a dotarsi di un Consiglio Costituzionale per verificare la conformità del diritto al testo della Costituzione, ma la democrazia che si suppone sia prodotta dallo Stato di diritto. Quest’ultimo, giudicando le decisioni politiche secondo il metro dell’ideologia dei diritti umani – «la giurisprudenza del Consiglio Costituzionale», osserva il politologo Pierre Manent, «tende ad assorbire i diritti del cittadino nei diritti umani» –, l’unica democrazia concepibile diventa allo stesso tempo democrazia liberale, dove la difesa dei diritti individuali prevale, in caso di conflitto, sulla sovranità popolare.

L’idea dello Stato di diritto si fonda in ultima analisi su una distinzione dualistica tra Stato e Costituzione. Questi due concetti non si sovrappongono più esistenzialmente, ma sono nettamente opposti: la Costituzione si pone fin dall’inizio come superiore allo Stato, di cui cerca di limitare i poteri, in conformità con la dottrina liberale, e lo Stato deve inchinarsi dinanzi a essa. Il funzionamento della democrazia è quindi posto a condizione di non contraddire l’ideologia di cui i testi costituzionali sono portatori.

A coloro che saltellano come capre intonando, come litania, all’aria aperta dello stato di diritto come se fosse un credo, dobbiamo ricordare: 1) che la democrazia non si fonda sulla nozione di “diritti fondamentali” – la pretesa di fare del desiderio di ciascuno una regola per tutti e il rifiuto di qualsiasi “discriminazione” – ma su quella della sovranità del popolo, prima condizione perché si formi un interesse comune, che implica una distinzione tra cittadini e non cittadini; 2) che i giudici non devono giudicare in nome dei diritti, ma in nome del popolo; 3) che la democrazia dei diritti porta alla disintegrazione sociale, mentre la vera democrazia consacra il potere della comunità popolare, a partire dal potere di cambiare la legge, anche se questo cambiamento lede certi diritti.

Mettendo la democrazia sotto tutela, il liberalismo dà l’ultima parola ai giudici. I giudici si impegnano in politica, il che dimostra che la separazione dei poteri non garantisce la loro indipendenza ideologica. Ma chi giudicherà i giudici?

Pubblicato originariamente su Éléments n. 214, giugno-luglio 2025

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