Riyadh potrebbe ancora disdegnare Hezbollah, ma i timori condivisi di un collasso regionale e il desiderio di ricalibrare la propria influenza in Libano stanno aprendo canali di comunicazione inaspettati con il movimento di resistenza.

di Tamjid Kobaissy, thecradle.co, 2 dicembre 2025 — Traduzione a cura di Old Hunter
Nell’Asia occidentale, dove la politica settaria e le ingerenze esterne si scontrano con le lotte di potere locali, poche rivalità sono state così radicate o così simbolicamente cariche come quella tra Hezbollah e l’Arabia Saudita. Per decenni, ha incarnato il più ampio scontro tra l’Iran e i regni del Golfo Persico: una guerra per procura definita dall’ideologia, dal petrolio e dai mutevoli fronti di battaglia. Ma oggi, sotto il peso di nuovi calcoli regionali, della crescente belligeranza israeliana e delle crepe nell’egemonia americana, quell’ostilità un tempo intrattabile sta cedendo il passo a una coesistenza più ambigua e tattica.
Ciò che si sta sviluppando non è né un’alleanza né una riconciliazione. Ma per la prima volta, Hezbollah e Riyadh stanno sondando i confini di una relazione a lungo definita da un’inimicizia a somma zero. Sta emergendo una distensione pragmatica, plasmata meno dalla buona volontà che dall’urgenza condivisa di contenere la spirale di instabilità nella regione.
Teheran, Riyadh e la lunga ombra della storia
Il lungo arco del confronto tra Hezbollah e Arabia Saudita è impossibile da separare dallo scontro post-rivoluzionario tra l’Iran e Riad. Quando l’ayatollah Ruhollah Khomeini rovesciò lo Scià nel 1979 e dichiarò la Casa Saud uno strumento reazionario dell’imperialismo occidentale, la rottura fu sia ideologica che strategica.
I sauditi risposero finanziando la devastante guerra di Saddam Hussein contro Teheran e, nel 1987, le relazioni si incrinarono dopo che le forze di sicurezza saudite massacrarono i pellegrini iraniani alla Mecca. Il messaggio di Khomeini fu feroce:
“Il governo saudita sia certo che l’America lo ha marchiato con una macchia eterna di vergogna che non sarà cancellata o purificata fino al Giorno del Giudizio, nemmeno con le acque di Zamzam o del Fiume del Paradiso”.
Decenni dopo, la cosiddetta Primavera araba del 2011 riaprì la ferita. Mentre Teheran sosteneva i suoi alleati
di stato a Damasco e Baghdad, Riyadh sostenne con il suo peso i movimenti di opposizione e soffiò sulle fiamme del conflitto settario.
In Yemen, il regno ha lanciato una campagna militare contro il movimento Ansarallah e le forze alleate, sostenuta politicamente e diplomaticamente da Teheran. Dopo l’esecuzione da parte dell’Arabia Saudita del religioso sciita sceicco Nimr al-Nimr nel 2016, i manifestanti iraniani hanno preso d’assalto l’ambasciata saudita a Teheran, spingendo Riyadh a interrompere i rapporti diplomatici. Le due potenze regionali riprenderanno le relazioni solo nel 2023, nell’ambito di una mediazione sostenuta dalla Cina.
Dal rapimento di Hariri ai complotti per assassinarlo
In questo vortice regionale, Hezbollah è diventato uno degli obiettivi principali per l’Arabia Saudita. Quando la resistenza libanese ha catturato due soldati israeliani il 12 luglio 2006, per ottenere il rilascio dei prigionieri, Riyadh ha liquidato l’accaduto come “avventura azzardata” e ha ritenuto Hezbollah responsabile delle conseguenze.
In Siria, lo schieramento di Hezbollah a fianco dell’esercito dell’ex presidente siriano Bashar al-Assad lo ha posto in diretta opposizione ai militanti sostenuti dall’Arabia Saudita. In Yemen, il sostegno esplicito del movimento al governo guidato da Ansarallah a Sana’a ha provocato sanzioni da parte del Consiglio di cooperazione del Golfo (GCC) e la designazione come organizzazione terroristica.
La situazione si è aggravata nel 2017, quando l’Arabia Saudita ha arrestato l’allora primo ministro libanese Saad Hariri e lo ha costretto ad annunciare le sue dimissioni in televisione da Riad. Il defunto segretario generale di Hezbollah, Hassan Nasrallah, ha condannato la mossa come un atto di guerra contro il Libano. La situazione si è placata solo dopo la mediazione francese.
In un’intervista televisiva del 2022, Nasrallah ha rivelato che il principe ereditario saudita Mohammed bin Salman (MbS) era pronto ad autorizzare un complotto israeliano per assassinarlo, in attesa dell’approvazione degli Stati Uniti.
Canali silenziosi, copertura iraniana
Il riavvicinamento tra Teheran e Riad, mediato da Pechino, ha cambiato il tono regionale, ma non ha prodotto benefici immediati per Hezbollah. Al contrario, l’Arabia Saudita ha intensificato i suoi sforzi per ridurre l’influenza di Hezbollah a Beirut, soprattutto dopo l’attacco israeliano di ottobre a Gaza e al Libano meridionale.
Riad ha fatto pressioni sul Primo Ministro libanese Nawaf Salam affinché attuasse il cosiddetto “Barrack Paper”, volto a emarginare politicamente Hezbollah e a disarmarlo. Parlando con The Cradle, una fonte politica ben informata rivela che il regno ha informato l’ex comandante dell’esercito libanese – ora presidente del paese – Joseph Aoun , che avrebbe portato avanti i suoi piani anche se avessero scatenato una guerra civile o fratturato l’esercito. La fonte descrive questo come emblematico della gestione delle crisi a breve termine da parte di Riad, che rispecchia la strategia regionale reattiva di Washington.
Nonostante ciò, sono iniziati segnali di un cambiamento tattico. A settembre, il successore di Nasrallah, lo sceicco Naim Qassem, ha chiesto pubblicamente di aprire un “nuovo capitolo” nei rapporti con Riyadh – un gesto senza precedenti da parte della leadership del movimento. Secondo la stessa fonte, non si è trattato di una dichiarazione spontanea.
Durante una visita a Beirut, il funzionario iraniano per la sicurezza nazionale Ali Larijani avrebbe consegnato a Riad un messaggio di Hezbollah in cui esprimeva la sua apertura alla riconciliazione. In un successivo viaggio nel regno, Larijani avrebbe presentato il messaggio a MbS.
Sebbene inizialmente scartata, la questione venne in seguito ripresa, dando luogo a un discreto coordinamento tramite canali secondari, supervisionato direttamente dallo stesso Larijani.
Colloqui di Teheran e intese riservate
La fonte di The Cradle aggiunge che da allora, secondo quanto riferito, a Teheran si sarebbero svolti tre round indiretti di colloqui tra Hezbollah e Arabia Saudita, ciascuno con la mediazione iraniana. Il primo si è concentrato sulla de-escalation politica, mentre gli ultimi due hanno affrontato questioni di sicurezza delicate, a dimostrazione di una reciproca disponibilità a sperimentare una cooperazione limitata.
Ne è emersa un’intesa provvisoria: l’Arabia Saudita avrebbe allentato la pressione su Hezbollah in Libano e rinunciato alle richieste di immediato disarmo del movimento. In cambio, Riad ha chiesto a Hezbollah di tenere le sue armi fuori dalla Siria – riecheggiando un più ampio consenso nel Golfo – e di aiutare le autorità libanesi a contrastare le reti di traffico di droga.
In privato, Riad avrebbe riconosciuto la resilienza militare di Hezbollah come cuscinetto strategico contro la belligeranza regionale di Israele. Gli stati del Golfo Persico non si fidano più di Washington per proteggerli dalle provocazioni sempre più unilaterali di Tel Aviv, come si è visto negli attacchi israeliani a Doha a settembre. Ma il predominio di Hezbollah in Libano continua a rappresentare una sfida per l’influenza politica di Riad.
Hezbollah, Arabia Saudita e l’ombrello iraniano
I contatti tra Hezbollah e Arabia Saudita sono solo uno dei tanti aspetti di una più ampia strategia tra Riyadh e Teheran. Secondo una fonte di The Cradle, l’Arabia Saudita ha assicurato all’Iran che non prenderà parte ad alcuna guerra guidata da Israele o dagli Stati Uniti, né consentirà che il proprio spazio aereo venga utilizzato in tale scenario. In cambio, Teheran si è impegnata a non prendere di mira il territorio saudita. Si tratta di impegni fragili, ma significativi.
La fonte rivela inoltre che il presidente degli Stati Uniti Donald Trump aveva autorizzato MbS a esplorare un canale diretto con l’Iran, incaricandolo di mediare accordi sullo Yemen e oltre. Larijani ha comunicato l’apertura dell’Iran al dialogo, ma non a concessioni sul nucleare. Secondo quanto riferito, MbS avrebbe sottolineato a Trump che un accordo operativo con Teheran era essenziale per la stabilità regionale.
Parallelamente, il deputato libanese Ali Hassan Khalil, stretto consigliere del presidente del Parlamento Nabih Berri, dovrebbe recarsi presto in Arabia Saudita dopo gli incontri a Teheran. Ciò suggerisce il proseguimento della diplomazia itinerante tra i nodi della resistenza, iraniani e sauditi.
Divergenza strategica, convergenza tattica
Tuttavia, nessuno dovrebbe confondere questi sviluppi con un riallineamento. Piuttosto che un reset, si tratta semplicemente di un riposizionamento tattico. Per Riyadh, il vecchio modello di boicottaggio – applicato al Libano tra il 2019 e il 2021 – non è riuscito a sloggiare Hezbollah né a rafforzare le fazioni filo-saudite. Ora, il regno sta passando a un impegno flessibile, in parte per consentire investimenti economici in Libano che richiedono una cooperazione minima con la forza politica dominante.
Questo snodo risponde anche al desiderio dell’Arabia Saudita di proporsi come un mediatore capace piuttosto che come un rozzo esecutore. L’operazione Al-Aqsa Flood del 7 ottobre 2023 ha alterato gli equilibri regionali, mentre l’espansionismo israeliano è diventato un fattore destabilizzante. Una guerra tra Hezbollah e Israele non rimarrebbe confinata alla Linea Blu. Le città del Golfo, le infrastrutture energetiche e i fragili accordi di normalizzazione sarebbero tutti a rischio.
Da parte di Hezbollah, questa apertura riflette sia un vincolo che un calcolo. La resistenza deve affrontare una pressione crescente: un’intensificazione della campagna israeliana, un’economia libanese stagnante e la necessità di preservare la coesione interna. Una tregua tattica con Riyadh offre un po’ di respiro e, forse, un freno alle ingerenze sostenute dal Golfo in Siria.
Quando lo sceicco Naim Qassem ha dichiarato che le armi di Hezbollah sono puntate esclusivamente contro Israele, ha lanciato anche un segnale al Golfo: non siamo vostri nemici.
Il vero nemico, per entrambe le parti, è la natura imprevedibile dell’escalation israeliana. Riyadh teme di essere trascinata in una guerra regionale guidata da Israele che non può controllare. Hezbollah teme di essere circondata da pressioni economiche, politiche e militari. I loro interessi potrebbero non allinearsi mai, ma per ora non si escludono più a vicenda.
