Federico Dal Cortivo per l’Adige di Verona ha intervistato il generale Marco Bertolini già comandante del Comando Operativo di Vertice Interforze.

Intervista di Federico Dal Cortivo, giornaleadige.it, 8 novembre 2025
Generale l’Unione Europea dopo aver appoggiato la guerra per procura statunitense contro la Russia, sembra sempre più avviata verso un conflitto, per adesso solo a parole, contro Mosca, lei che ne pensa?
Si, sembra proprio che l’Unione Europea, o meglio le sue leadership, abbiano scommesso tutto, o siano state costrette a scommettere tutto, su una guerra all’ultimo ucraino contro la Russia, nella speranza che questa soccomba. Sono prigioniere di una guerra non nostra e scoppiata per ragioni geostrategiche altrui che però si scaricherebbe contro di loro se venisse vinta dalla Russia, avendo tagliato ogni ponte dietro le spalle. Dall’inizio del conflitto, infatti, si è fatto e detto di tutto, dalle sanzioni a Mosca, alla fornitura d’armi a Kiev, fino all’incredibile adozione di misure odiose contro manifestazioni culturali e sportive, contraddicendo decenni di bolsa retorica pacifista, anzi pacifinta. Una retorica che era appannaggio soprattutto di quella parte sinistra e “moderata” del nostro schieramento politico che alimentava il proprio antimilitarismo di facciata con appelli all’articolo 11 della Costituzione, richiami alla tolleranza, al dialogo e all’accoglienza, e che ora sembra aver scavalcato a destra i più entusiasti propugnatori di uno scontro di civiltà, tra Occidente e Oriente, del quale non si sentiva la mancanza. Una circostanza drammatica, questa, che ha fatto rimangiare all’Unione Europea lo scopo principale per il quale sosteneva di esistere: la pace nel Continente. Ecco infatti che al primo conflitto intereuropeo iniziato dalla fine delle guerre nella ex Jugoslavia, improvvisamente l’UE chiude ogni spazio negoziale, fin dall’inizio delle ostilità, facendosi addirittura rappresentare nella sua sospetta intransigenza dalla Gran Bretagna di Boris Johnson, che dalla gabbia dell’Unione era sdegnosamente fuggita anni fa.
Parlo di intransigenza sospetta perché non è mai successo che governi diversi come quelli dei paesi europei si schierassero così prontamente e unanimemente a favore dell’Ucraina, che alcuni tra cui l’Italia avevano in precedenza criticato con riferimento al rispetto dei diritti umani. Non era successo con la Libia, con i Balcani, con gli interventi in Afghanistan e in Iraq; ora tutti d’accordo, invece, anche sulla fornitura di armi a uno dei belligeranti che è sempre stata considerata un tabù insormontabile, aggirabile solo col solito trucchetto delle triangolazioni. E questo, adottando una narrativa, quella dell’aggredito e dell’aggressore, che taglia la testa a qualsiasi discernimento, per usare un termine in voga negli ultimi anni. Come se qualcuno avesse avvertito di non disturbare il conducente».
Quale è la situazione sul terreno in questo momento?
Sul campo la situazione premia la Russia lungo tutto il fronte. Mentre rispondo a queste domande, in corrispondenza di quello che per ora sembra lo sforzo principale russo, Pokrosk sta per cadere, mentre la resistenza ucraina si concentra con qualche successo sulla tenuta di Mirnohrad. Comunque sia, entrambe le città sono praticamente accerchiate bloccando migliaia di soldati ucraini all’interno di una sacca dalla quale è difficile uscire a meno di sostenere molte perdite soprattutto ad opera dei droni russi che assicurano un vero e proprio “muro” di cinta. Un po’ più a nord, a Seversk e Liman si stanno a loro volta avvicinando le linee russe scoprendo da nord est gli accessi a Sloviansk e Kramatorsk, minacciati anche da sud vista la pressione russa sullo snodo stradale di Kostantinivka. Ancora più a settentrione, nell’oblast di Karkiv, Kupiansk è a sua volta caduta quasi completamente sotto controllo russo, anche in questo caso bloccando qualche migliaio di soldati di Kiev ad est del fiume Oskil. Andando invece un po’ più a sud di quello che sembra lo sforzo principale, i russi hanno guadagnato una quarantina di chilometri di territorio ad ovest di Velika Novosilka, spingendosi verso Zaporizhzhia e il fiume Dniepr nel quale si registrano tentativi di superamento anche verso la foce in corrispondenza di Kerson.
Tutto il territorio ucraino è poi soggetto a intensi attacchi missilistici preceduti da moltissimi droni per saturare le difese aeree che hanno intaccato seriamente le centrali energetiche e depositi e laboratori di armi, inclusi gli stoccaggi di quelle provenienti dall’Occidente. Gli Ucraini a loro volta hanno colpito duramente il territorio russo con interventi tra i quali spicca quello brillantissimo contro alcune basi di bombardieri strategici di qualche mese fa. Quanto alla triste ma significativa contabilità delle perdite, nonostante gli Ucraini non parlino mai delle loro accreditando invece numeri elevatissimi per quelle russe, le cifre potrebbero essere decisamente diverse da quelle veicolate presso le nostre opinioni pubbliche, come riportato addirittura da siti di opposizione russa. Non è inoltre trascurabile il fatto che durante i periodici scambi di cadaveri avvenuti nel 2025, i Russi hanno restituito agli Ucraini più di 12.000 Caduti, mentre gli Ucraini ne hanno restituito ai Russi solo 300. Analoghe proporzioni valgono per gli scambi dei prigionieri. Insomma, gli Ucraini cercano di resistere bravamente ma sono sottoposti ad una grande pressione lungo tutta la linea del fronte con i Russi che avanzano un po’ dovunque, provocando grandi perdite alle forze di Kiev».
Re Arm Europe (Readiness 2030) questo il nome altisonante che l’UE ha coniato per finanziare con 800 miliardi di euri il riarmo della Nato, e intanto l’Italia ha aderito al Fondo Safe (Support for ammunition and armaments production framework) che è il perno di Readiness 2030, strumento ideato da Bruxelles per contrarre prestiti per la difesa. Quale è il suo parere in merito anche comparando con la produzione bellica russa?
Da vecchio soldato di mestiere, non posso che compiacermi del fatto che, finalmente, si parli di eserciti e di armi come di una necessità da potenziare. Eserciti e armi, infatti, sono l’ultimo presidio delle sovranità nazionali e voler delegare le loro funzioni ad altri comporta una rinuncia alla nostra indipendenza che non rientra tra le nostre disponibilità. Per questo, non mi appassiona l’enfasi sulla dimensione “europea” di questa operazione di potenziamento militare, non essendo l’Unione Europea un soggetto politico idoneo a prendere decisioni di carattere vitale per i singoli paesi. Insomma i nostri militari, coi nostri ministri, giurano ancora fedeltà alla Patria Italiana e non ad un’entità sovranazionale dal carattere indefinito e con percezioni dei propri bisogni completamente diverse, a seconda di collocazioni geografiche, percorsi storici, condizioni economiche e patrimoni culturali decisamente differenti. Da un punto di vista fattuale, c’è da dire che in ogni caso l’opera di potenziamento in questione richiede tempi lunghi, come ufficialmente riconosciuto, ma soprattutto implica un cambio di mentalità delle nostre opinioni pubbliche difficile da ottenere. Possiamo forse aumentare la produzione di bombardieri e di carri armati, ma chi ci metteremmo dentro? La provocazione di mandare al fronte i marciatori dei vari Gay Pride nostrani resta tale; ma a conti fatti serve benissimo a indicare la distanza cosmica tra il sentimento del soldato che sa di affrontare la morte e chi si dimostra più distante da tutto quel complesso valoriale che ha nel militare il suo rappresentante più nobile.
Per questo, si parla di reintroduzione della leva, anche se come stiamo vedendo in Ucraina ora la guerra è appannaggio soprattutto di trentenni, quarantenni e cinquantenni, più che di ventenni come nel caso della vecchia coscrizione obbligatoria. Un obbligo questo derivante dalla necessità di risparmiare i più giovani per non rendere ancora più drammatico il calo demografico al quale ci siamo rassegnati fino al punto di consolarci con la prospettiva di “importare” giovani da altri paesi e altre culture a noi estranee ai quali affidare la missione di “pagarci le pensioni” e prendere possesso delle nostre case quando verranno abbandonate dai nostri pochi figli scappati all’estero. Da un punto di vista industriale, in ogni caso, questo piano di riarmo implica riconversioni difficili da attuare: un conto è produrre macchine da caffè e un conto produrre spolette d’artiglieria. Ma certamente alcuni settori, come l’automotiv, avranno migliori possibilità di riadeguarsi alle nuove “necessità”, cosa che la Germania dimostra di voler fare a tutti i costi per mettere un freno ad una crisi industriale che, accelerata dall’autosanzione del taglio del Nord Stream, rischia di rivelarsi mortale. La Russia, da questo punto di vista, per ora sembra reggere bene al passo imposto dal sostanziale assedio economico e commerciale al quale è stata sottoposta da parte dell’Occidente, grazie ai forti vincoli politici e commerciali col Sud del Mondo nonché alla disponibilità di ingenti risorse nel proprio territorio che le consentono un’autonomia che non era stata calcolata da quanti prevedevano un suo crollo solo dopo pochi mesi dall’inizio del conflitto. Soffre anche lei, peraltro, la crisi demografica che colpisce tutto il mondo industrializzato, dimostrando anche per questo di appartenere in un certo senso a quell’Occidente che la combatte; anche lei insomma deve arrivare a una fine di questo confronto che, per quanto affrontato con l’attenzione a risparmiare quanti più giovani possibile, ha già eliminato da prospettive di riproduzione un numero significativo di decine di migliaia di uomini».
Squilli di battaglia della Nato di Mark Rutte, ma quale è la reale situazione in cui versano le forze armate delle principali nazioni sostenitrici dello scontro con la Russia, Francia, Gran Bretagna , Germania, con in più Polonia e nazioni baltiche?
Tutti i paesi occidentali, Italia inclusa, avevano fatta propria l’illusione, perché di ciò si tratta, tratteggiata da Francis Fukuyama per il quale la storia sarebbe finita, col suo bagaglio di guerre, ideologie contrapposte, tradimenti e accordi sottobanco che abbiamo visto riproporsi per millenni. Ma, appunto, ci hanno creduto un po’ tutti, traendone le conseguenze con sostanziali contrazioni degli strumenti militari, ridotti a strumenti specialistici da impiegare in emergenza per “difendere la pace” e non gli interessi vitali dei rispettivi paesi sovrani. Così sono nate le Operazioni di Pace, interpretate da quell’ossimoro del “Soldato di pace” al quale si chiede di affrontare il pericolo di una morte eventuale contro i ribelli del momento e non la morte sistematica contro eserciti organizzati ed equipaggiati come quelli che vediamo operare nel Donbas.
E per tornare a considerare la realtà che è riaffiorata, non basta comprare qualche bel carro armato o qualche missile di ultima generazione: è invece necessario un potente cambio di registro, con Forze Armate che, assieme al “Fuoco” e alla “Manovra”, riconoscano ancora la piena validità del principio dell’Arte della Guerra rappresentato dalla “Massa”. Insomma, servono molti uomini, da abbinare alla nuova realtà tecnologica da considerare come un nuovo principio che richiede oltre alla forza fisica e al coraggio competenze tecniche specifiche. E questo è un problema che, ripeto, interessa tutto l’Occidente, Italia inclusa nella quale ad esempio la sospensione della coscrizione obbligatoria fu adottata entusiasticamente all’inizio del millennio con un voto pressoché unanime da parte di tutto l’arco parlamentare, da destra, centro e sinistra, sebbene con motivazioni diverse».
L’Italia, attualmente sesto produttore di armi al mondo, come si colloca con le sue forze armate, anche se per il momento Roma ha adottato un profilo basso rispetto ai “volenterosi”?
Valgono le considerazioni fatte in precedenza. L’Italia mantiene comunque grandi capacità di produzione nel campo degli armamenti, grazie alle quali dovrebbe essere in grado di “cavalcare” il momento attuale con sicurezza. Peraltro, non possiamo dimenticare la crisi energetica innescata dalla rescissione dei legami con la Russia che ci espone a prezzi di produzione che, considerate le grandi necessità di materiali e sistemi d’arma di cui si discute, potrebbero ripercuotersi sul piano sociale molto sensibilmente. Per questo, credo che sarà imprescindibile un riferimento all’acquisizione di prodotti d’oltreoceano, in ciò ottemperando alle “disposizioni” di Trump impartite alla Von Der Lyen in una scenetta nel suo golf club in Scozia difficile da dimenticare, e digerire».
A suo avviso ci sarà un futuro per La Nato considerando il fatto che gli Stati Uniti attraverso il presidente Trump hanno manifestato a chiare lettere un progressivo disimpegno nell’alleanza?
Questo dipende da molti fattori, tra i quali il futuro di Trump stesso che si sta avvicinando ad elezioni di mid term che potrebbero depotenziarlo, tra un anno. Quello che è certo è che lo stesso non dimostra interesse, per usare un eufemismo, nei confronti dell’Unione Europea nonché nei confronti della Nato stessa che tende a considerare “clienti” ai quali affibbiare i suoi costosissimi prodotti, inclusi il GNL e le armi, visto che ci tengono così tanto a mantenere in vita una guerra in Ucraina che fino ad ora si è ripercossa soprattutto contro i paesi europei. È certamente anch’egli interessato ad avere una Russia indebolita, ma riconosce la necessità di interfacciarsi con la stessa, magari facendoci affari da una posizione di forza, visto che sa che il mondo è destinato a tornare ad essere multipolare. Al riguardo, mi sembra significativo un suo recente post col quale dopo aver ripetuto varie volte l’impossibilità dell’Ucraina di riconquistare i propri territori, pare arrendersi alle pressioni europee affermando che “…. Ucraina col sostegno dell’EU (nota: col sostegno dell’EU) è nella posizione di combattere e vincere……” ma aggiungendo che “Auguro ogni bene a entrambi i paesi. Continueremo a fornire armi alla NATO affinché la NATO possa farne l’uso che ritiene opportuno. Buona fortuna a tutti!”. Un’affermazione che sembra più una sarcastica presa di distanza dall’Alleanza con quel ”facciano quel che vogliono” e un lavarsi le mani per quello che l’Unione Europea vuol fare.
