
Constantin Von Hoffmeister per eurosiberia, 19 settembre 2024
Ci siamo tutti svegliati in un mondo nuovo, un mondo che indossa la faccia della familiarità ma sotto la sua superficie, c’è un terrore silenzioso e strisciante. Come le pagine di 1984 di Orwell, dove la verità è distorta e la realtà invertita, siamo entrati in una produzione in cui ciò di cui una volta ci si fidava ora cospira contro di noi. Le linee che separano il banale dal malevolo sono scomparse, lasciandoci a cercare chiarezza in una foschia di terrore. Ci svegliamo, controlliamo i nostri dispositivi e, ora, ci chiediamo se saranno la nostra ultima connessione con la vita, o con la morte.
Nel mondo di Orwell, il osserva ogni mossa, ogni pensiero, ma qui, nel nostro nuovo programma, gli strumenti di sorveglianza sono diventati più di ciò che la loro costruzione originale intendeva che fossero. Le intercettazioni telefoniche non bastano più. In questo contorto parallelo di 1984, non sono solo i nostri pensieri o le nostre conversazioni a essere soggetti a manipolazione, ma la nostra stessa esistenza. I cercapersone, i telefoni, i walkie-talkie, non ascoltano più semplicemente. Detonano. Distruggono. Non abbiamo più paura di essere osservati; abbiamo paura di essere cancellati.
Il 17 settembre 2024, proprio come in Oceania, dove il Partito riscriveva incessantemente la realtà, il passato stesso sembrava dissolversi, scivolandoci tra le dita come sabbia. I cercapersone che sono esplosi in Libano, fabbricati da un’azienda taiwanese con filiali sparse in tutto il mondo come le burocrazie aggrovigliate del Castello di Kafka, ci hanno tradito con un’efficienza senza volto. Quelli che un tempo erano semplici dispositivi di comunicazione, semplici canali di connessione, si sono trasformati in estensioni del terrore, la loro funzione distorta fino a renderla irriconoscibile, simile alla Neolingua di Orwell, dove persino le parole su cui facciamo affidamento diventano armi di controllo e morte. K., il protagonista errante di The Castle, si troverebbe qui ugualmente perso, intrappolato in un labirinto in cui ogni radio, come la lontana autorità del Castello, diventa un’entità irraggiungibile, che promette sicurezza e connessione ma porta solo confusione, tradimento e lo schiacciamento dell’anima, come gli infiniti corridoi della burocrazia che trasformano la ricerca di un impiego di K. in una lotta perpetua per risposte che non arrivano mai.
In Nineteen Eighty-Four, Winston Smith, intrappolato nelle contraddizioni, si disfa lentamente sotto il peso di onnipresenti bugie e sorveglianza. Winston si rende conto che nessun angolo della sua vita è al di fuori del controllo del Partito. Ora abitiamo in un mondo in cui la fiducia è diventata un lontano ricordo, in cui gli strumenti che un tempo ci collegavano sono furtivamente trasformati in strumenti di annientamento. Chi avrebbe potuto immaginare che qualcosa di innocuo come un cercapersone, progettato per recapitare messaggi urgenti, avrebbe ora portato morte e smembramento, aspettando in silenzio e poi suonando con cupa finalità appena prima di esplodere? Come una malata parodia della comunicazione, i dispositivi chiamano le loro vittime, trascinandole in un inevitabile, preordinato destino oscuro. Il tradimento è più che fisico: è una frattura nella realtà stessa, una perversione di ciò che pensavamo di sapere, che ricorda l’eventuale realizzazione di Winston che persino la ribellione, persino il pensiero stesso, non è mai gratuito. Mentre scopriamo quanto sia impossibile sfuggire allo sguardo spietato del Grande Fratello, anche noi siamo costretti a confrontarci con la natura distopica di un mondo in cui gli oggetti su cui facciamo affidamento vengono silenziosamente trasformati in armi e la morte e la tortura si presentano sotto le spoglie della normalità.
In questo “coraggioso nuovo mondo”, non basta semplicemente evitare questi dispositivi. Aerei, automobili, persino l’umile telefono cellulare, sono tutti potenziali messaggeri di sventura. In Nineteen Eighty-Four, persino le parole pronunciate dalle persone possono essere distorte in prove di colpevolezza, usate contro di loro nei modi più vili. Ora, lo stesso vale per gli oggetti che utilizziamo, i prodotti che pensavamo ci avrebbero semplificato la vita. Sono i nuovi crimini di pensiero, capaci di condannarci con un solo squillo.
Il caos in Libano è uno specchio dei prolet di Orwell, le masse schiacciate sotto il peso di un sistema troppo vasto e crudele per resistere. Sì, combattenti e soldati di Hezbollah erano tra i morti, ma lo erano anche dottori, impiegati statali, soccorritori, persone che confidavano che il mondo fosse ancora lo stesso del giorno prima. Proprio come i prolet in 1984, senza volto e dimenticati, vivevano ai margini della macchina del Partito, anche questi individui esistono al di fuori dei corridoi del potere, eppure si ritrovano intrappolati negli ingranaggi implacabili di un sistema che non possono né vedere né comprendere. All’ombra di questo controllo globale, non sono considerati nemici, né ribelli, ma semplicemente irrilevanti, collaterali in un mondo che procede con fredda indifferenza. Le loro vite, come l’esistenza insignificante dei prolet, vengono cancellate senza pensarci due volte, spente dai dispositivi che credevano sarebbero serviti a loro. L’orrore non sta solo nella loro morte, ma nell’assurdità di tutto ciò, nel senso che non sono mai stati altro che vittime fugaci e senza nome in una vasta e impenetrabile rete di potere. Il loro futuro, come la vana speranza di Winston per la rivoluzione, viene inghiottito da un sistema che non si accorge nemmeno del loro passaggio, un incubo in cui la sicurezza è un’illusione e il controllo è esercitato da una mano distante e indifferente che non si rivela mai.
Ciò che rende questo orrore ancora più agghiacciante è la sua calcolata precisione. Come Winston è stato alla fine distrutto dal sistema non attraverso la violenza ma attraverso la sua mente spogliata, così anche noi siamo rovinati non da un attacco diretto ma dalla lenta, insidiosa corruzione degli oggetti che ci circondano. La fiducia, come la verità nel mondo di Orwell, è diventata una vittima. Il prossimo aereo su cui sali, il prossimo telefono a cui rispondi, potrebbe essere l’ultimo. Non c’è più alcun rifugio; i gadget di cui una volta ci fidavamo, ora truccati dal Grande Fratello in persona, esplodono nelle nostre mani o accanto ai nostri testicoli, facendo a pezzi ogni parvenza di controllo. Ciò che era progresso è ora sabotaggio e ogni bip, ogni squillo, sembra una condanna a morte camuffata da ancora di salvezza.
La nozione di sopravvivenza in questo mondo ora dipende dalla sostituzione delle importazioni. Come Winston si rese conto di non potersi fidare nemmeno delle parole che leggeva o dei ricordi a lui cari, anche il Sud e l’Est del mondo devono ora affrontare la fredda realtà di non potersi più fidare di ciò che importano dall’Occidente. Laddove un tempo acquistavano le auto, gli aerei e i gadget dell’Occidente, ora devono chiedersi se non siano bombe a orologeria. Proprio come Winston non poteva più fidarsi della propria percezione della realtà, il Sud e l’Est del mondo non possono più fidarsi dei prodotti che riempiono le loro vite. In questa posizione disorientante, in cui ogni oggetto può nascondere un potenziale pericolo letale, si ritrovano in una posizione non dissimile da K.: vagare senza meta in un mondo di minacce invisibili e accusatori invisibili, dove colpa e pericolo sono onnipresenti ma mai del tutto compresi e la sopravvivenza dipende dalla decifrazione di un codice che non ha chiave.
In Nineteen Eighty-Four, il Partito era disposto a uccidere chiunque minacciasse la sua presa sul potere, e noi siamo portati a chiederci se lo stesso valga per l’Occidente e i suoi alleati. L’incidente in elicottero che ha ucciso il presidente iraniano Raisi e il suo entourage: un incidente o la naturale evoluzione di un sistema che piazza esplosivi nei cercapersone? La morte di capi di stato, come la riscrittura della storia nel mondo di Orwell, ora sembra non solo possibile ma inevitabile. Viviamo in un mondo in cui gli incidenti potrebbero non essere affatto incidenti.
L’ultima domanda, come quella che Orwell ha lasciato senza risposta, incombe pesantemente su questa nuova realtà. Se sono disposti a uccidere con walkie-talkie e cercapersone, cosa succederà dopo? Il nostro cibo verrà avvelenato? Verrà scatenato un virus? Proprio come i proletari in 1984 erano tenuti in uno stato di paura perenne, anche noi stiamo entrando in un mondo in cui il prossimo disastro non è solo probabile, ma previsto. Il futuro è arrivato e, come Winston, ci troviamo di fronte a un abisso senza fine, realizzando che ogni percorso ci trascina ulteriormente in una rete di vicoli di controllo complessa e acciottolata, dove persino i nostri pensieri e i nostri strumenti ci tradiscono. In sostanza, ci troviamo di fronte alla stessa inevitabilità di Winston, dove la resistenza sembra inutile e il sistema schiacciante assicura che non ci sia via di fuga da ciò che deve ancora venire. Dopotutto, come nel mondo di Winston in 1984, i meccanismi di controllo si sono infiltrati in ogni angolo dell’esistenza, poiché perfino i dispositivi più semplici si trasformano in strumenti di punizione e dolore, dimostrando che nessun atto, nessun oggetto e nessun pensiero è al di fuori della portata di coloro che muovono i fili.