La posta in gioco non è altro che la lotta tra il capitalismo rentier e finanziarizzato e i brutali guadagni che ne derivano per un gruppo sempre più ricco e ristretto, che necessita di un mondo senza limiti se non quelli imposti da sé stesso.

di Hugo Dionísio per strategic-culture.su del 9 gennaio 2025 – Traduzione a cura di Old Hunter
Per tutto il 2024, abbiamo sentito ripetere il termine “valori europei” utilizzato innumerevoli volte da von der Leyen, Borrel, Kaja Kallas e ora António Costa come arma contro gli avversari e come presunto muro di civiltà eretto contro i nemici eletti. Valori come la “promozione della pace” o la “solidarietà e il rispetto reciproco tra i popoli” sono arrivati a coesistere con la logica dello scontro, in cui il livello di fanatismo con cui questi valori vengono contrapposti agli altri è diventato il principale elemento di valutazione e performance, nonché il garante della promozione individuale nella catena del potere.
L’uso di questi “valori europei” come elemento di divisione tra campi che si presumono antagonisti è forse il più grande errore quando poi li si invoca. Riferirsi a tali valori come a un muro divisorio per le relazioni tra i popoli ha oggi lo stesso senso che aveva dichiarare di agire per la “salvezza delle anime” nell’epoca espansionistica delle nazioni iberiche, all’alba dell’era mercantile, o, come attualmente lo ha l’invocare la “democrazia e i diritti umani” degli Stati Uniti, ogni volta che vogliono creare una giustificazione per un loro intervento all’estero.
Tutte le civiltà in espansione, non solo quelle occidentali, hanno utilizzato i cosiddetti “valori”, che venivano considerati dei principi di base, come giustificazione alla loro espansione e della divisione tra sé e gli altri. Tuttavia, questi valori possono aver espresso l’idea opposta, anche se il loro uso in questi termini non è mai stato un ostacolo a nessuna conquista, espansione o intervento. Proprio come Israele usa la sua necessità di sicurezza per opprimere il popolo palestinese, siriano o libanese, negando con ciò la loro sicurezza e ritendo di averne il diritto. Quindi, niente di nuovo qui. Ciò che è nuovo, tuttavia, è che l’Europa, un continente che è stato distrutto due volte negli ultimi 110 anni, pensa che sia giunto il momento di invocare di nuovo la stessa logica conflittuale.
Tali giustificazioni presumibilmente ideologiche contraddicono generalmente i concetti stessi su cui si basano. Di nuovo, questo non è un caso esclusivo dell’Unione Europea. Forse, la cosa più discutibile è la frequenza con cui l’Occidente usa ripetutamente tali pretesti, arrogandosi una sorta di superiorità universale che rende il suo giudizio superiore a quello altrui. Questa esclusività, questo eccezionalismo, il potere assoluto di perdonare o condannare, di dividere e unire, è storicamente riconosciuto come il potere che corrompe, che acceca.
Ma quali sono questi “valori europei”? Questi valori trovano sostegno giuridico negli articoli 2 e 3 del Trattato di Lisbona e nella Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea. L’Unione europea è fondata su “dignità umana, libertà, democrazia, uguaglianza, stato di diritto e diritti umani”. Da un punto di vista più territoriale, le “società” europee sono fondate su “pluralismo, non discriminazione, tolleranza, giustizia, solidarietà e uguaglianza tra uomini e donne”. Si tratta di valori nobili, anche se troviamo innumerevoli situazioni in cui non sono stati presi in considerazione, né nel trattamento degli stessi europei né nel trattamento degli altri popoli.
Prendiamo il caso della Siria. Per alcune nazioni europee, Bashar Al-Assad è passato dall’essere un visionario “riformista” a un irriducibile tiranno. La Francia di Chirac è stata la prima a dare il tono, conferendogli la Gran Croce della Legione francese, seguita dalle benemerenze di altri paesi come l’Ucraina (2002), la Finlandia (2009) o l’Italia (2010). Simbolo di laicità e figura di spicco nel mondo arabo (nel 2009 ha vinto il sondaggio di CNN Arabic come “Persona dell’anno” e nel 2010 è arrivato secondo solo a Erdogan), per le aree di governo più apprezzate di Bashar Al-Assad quali l’economia, la stabilità, la politica estera e i diritti delle donne.
Oggi, quando vediamo la foto di Annalena Baerbock [foto di copertina] e di altre donne accanto ad Al-Jolani e ad altri “nuovi” politici siriani diffusa dalla stampa legata al nuovo regime di HTS, possiamo vedere la flessibilità di quei “valori europei” e quanto paradossalmente vengano invocati. Se nel caso di Assad, hanno permesso che venisse elevato per poi condannarlo, con Al-Jolani, quegli stessi “valori europei” hanno addirittura reso possibile riabilitare un noto “terrorista pentito” diventato un “radicale pragmatico”, elevandolo a uno status tale che l’intera Unione Europea si precipita in Siria per benedire una persona che ha una taglia di 10 milioni di dollari sulla sua testa. L’esodo di personaggi europei nella Siria di Al-Jolani rivela anche molto sul ruolo che queste persone svolgono nella politica odierna, ridotte a figuranti casuali per trasmettere al mondo il messaggio che gli Stati Uniti sono ora in pace con la Siria. Finora, perlomeno. Ancora una volta, gli stessi valori che riabilitano Al-Jolani potranno facilmente essere utilizzati per condannarlo e, a quel punto, l’esodo delle figure irrilevanti dell’Occidente si esaurirà e inizierà quello di un esodo di carri armati Merkava e F35.
Il fatto è che conoscendo la storia di questo ex terrorista di professione, e il suo passato con Al-Qaeda, Al-Nusra e con altre organizzazioni terroristiche, diventa non credibile che per i “valori europei” di “dignità umana, libertà, democrazia, uguaglianza, stato di diritto e diritti umani”, su cui si basano le “società” europee del “pluralismo, non discriminazione, tolleranza, giustizia, solidarietà e uguaglianza tra uomini e donne”, sia possibile riabilitare qualcuno che, fino a ieri, ha compiuto gli atti più violenti e ingiustificabili contro persone innocenti.
Sapendo che il terrorismo, almeno in teoria – e pare solo in teoria – è la forma più grave di violenza contro gli esseri umani; sapendo anche che, secondo la teoria ufficiale dell’attacco terroristico dell’11 settembre 2001, Al-Qaeda era l’organizzazione dietro la sua preparazione, questa diventa una ragione sufficiente per chiedersi come sia possibile tale riabilitazione. Dopo tutto, quale crimine ha commesso Bashar Al-Assad che ha reso impossibile anche la sua riabilitazione? Sappiamo già che non sono state le presunte torture – quelle sono avvenute anche a Guantanamo Bay; né i presunti famosi “attacchi chimici”, perché Al-Qaeda, ISIS e Al-Nusra hanno nel loro repertorio crimini ancora più barbari; né il presunto disprezzo per i valori democratici, perché, dopo tutto, in Ucraina le elezioni sono state sospese a tempo indeterminato e gli Stati Uniti sono esperti nel sovvertire i risultati elettorali ogni volta che non sono di loro gradimento, come nel caso di Georgia, Venezuela, Nicaragua, Romania e così via. A rischio di essere definito “Assadista”, cosa ha fatto quest’uomo?
È nel discorso di Al-Jolani che troviamo la risposta alla domanda sui crimini più terribili che un essere umano può commettere agli occhi dell’Occidente. Il jihadista “pentito” non considera la “sua” Siria una minaccia per il mondo, soprattutto non scegliendo come nemici gli Stati Uniti e Israele. Non è senza contraddizioni che questi jihadisti ultra-radicali, come Al-Jolani, che invocano con tanta veemenza il Corano quando si tratta di opprimere le donne, non hanno mai sviluppato alcun attacco contro quello che è il più grande nemico del mondo arabo e musulmano: Israele.
Vedremo come Al-Jolani gestirà l’economia nazionale siriana, ma il mantenimento dello status di immunità imperiale concessogli da USA, G7, NATO e UE dipende da un altro fattore, non meno importante di quelli elencati sopra: la misura in cui il regime guidato da HTS consentirà che le vaste risorse naturali siriane vengano consegnate alle multinazionali occidentali. Dopotutto, la difesa della sovranità e dell’indipendenza della nazione siriana era un altro dei punti d’onore del regime guidato da Bashar Al-Assad. L’insistenza nel difendere la sovranità nazionale e impedire l’appropriazione delle riserve di petrolio e gas da parte delle multinazionali occidentali ha portato gli USA a usare il pretesto della lotta all’ISIS per occupare 10 anni fa la parte più ricca di idrocarburi del paese. E così apprendiamo quale sia l’unico crimine che è considerato inaccettabile agli occhi dei “valori europei”: la difesa della sovranità nazionale.
In un mondo in cui la criminalità violenta invade le nostre vite tramite i media tradizionali e dove si agitano sentimenti di vendetta, solitamente contro le minoranze etniche, questa riabilitazione da parte dell’Occidente di un intero movimento terroristico è altrettanto seria: riuscite a immaginare se i governi occidentali iniziassero a riabilitare i criminali più efferati solo perché hanno promesso di diventare dei ragazzi ben educati e rispettosi delle regole? Come reagirebbe l’opinione pubblica occidentale se i loro governi iniziassero a concedere la grazia ai più grandi criminali semplicemente perché hanno detto “Siamo spiacenti, siamo pentiti e rifuggiamo dal crimine” e “Ora giocheremo secondo le regole”. Un simile comportamento sarebbe accettabile?
E il popolo siriano? È plausibile che il popolo siriano preferisca vedere la propria nazione distrutta piuttosto che essere governata da qualcuno come Assad? E le donne siriane? Preferirebbero vivere in uno stato autoritario che le rispettasse in quanto donne o in uno che le escludesse dalla vita pubblica?
Se si permette che il Paese venga governato “dall’esterno”, emerge evidente il collegamento tra la Siria di oggi e i presunti “valori europei”, debitamente manovrati da Von Der Leyen, Sholz e simili, a seconda dei loro ordini. Abbiamo già visto che, per quanto riguarda i “valori europei” di natura individuale, sarebbe impossibile riabilitare una persona come Al-Jolani – la precedente mancanza di rispetto per la vita umana, per le donne, l’indegnità delle sue azioni, l’ingiustizia che è immanente in queste, l’assenza di pluralismo, di libertà e di rispetto della parità di genere nei confronti del popolo siriano, rendono il suo atteggiamento incompatibile con tali valori. Solo in un Occidente che considera le proprie azioni come qualcosa di divino, col potere di perdonare e condannare, sarebbe possibile una tale riabilitazione, e sempre nella logica di un ingiusto perdono. Ingiusto soprattutto nei confronti delle vittime.
Ma nell’articolo 3 del Trattato di Lisbona, tra l’elenco dei principi e valori che contiene, che vanno dal funzionamento interno dell’UE alle sue relazioni con il mondo, troviamo la risposta alla riabilitazione di Al-Jolani. Le politiche sovraniste difese da Calin Georgescu, Robert Fico, Bashar Al-Assad, Vladimir Putin, Nicolas Maduro, Ibrahim Traoré (Al-Jolani è salito al potere per mezzo di elezioni?), da Paesi come il Mozambico, l’Iran, la Georgia, il Nicaragua, la Corea del Nord, Cuba, la Libia di Gheddafi o l’Ungheria di Orban, a sinistra o a destra dello spettro politico, più socialista o più capitalista, tali rivendicazioni sono omesse dai “valori europei”. L’elenco dei valori, dei principi e degli obiettivi che compongono questi “valori europei” non comprende l’indipendenza, l’autonomia e il rispetto della sovranità dei popoli, tanto meno di quelli europei. L’intera architettura di potere dell’UE è quella di una grande federazione in cui gli Stati sono governati dall’esterno o comunque da un centro lontano che rende più facile il subentro del potere di altri attori esterni.
La stessa indipendenza, autonomia e sovranità dell’UE sono assenti. Questi sono concetti in ultima analisi obnubilati. L’orgoglio nazionale e il patriottismo sono visti come concetti obsoleti, eviranti e sovversivi. L’UE non è una costruzione di popoli liberi, indipendenti e sovrani. È una costruzione di popoli sottomessi e assimilati passivamente, governati da un potere centrale chiamato Bruxelles.
Quindi, data la situazione, non è una sorpresa che la nuova Siria rientri in questa logica e che Al-Jolani possa essere riabilitato. Dopotutto, ciò che non funziona in un lato della bilancia si adatta sull’altro. È questo il bello dei “valori europei”. In un caso, servono a trattare Vladimir Putin come un criminale, perché è indagato dalla Corte penale internazionale; nell’altro, servono a scusare Netanyahu perché, essendo indagato dalla Corte penale internazionale, gli va concesso il beneficio del dubbio. Se stare con Vladimir Putin è tossico, stare con Al-Jolani è alla moda e terapeutico. Questo è quello che possono dirvi tutti quelli che ci vanno in questi giorni. Tutto sta nel sapere di chi sono i crimini commessi. Putin avrebbe compiuto i suoi presunti crimini in nome delle persone sbagliate. In nome delle persone giuste, non sarebbero considerati nemmeno crimini.
Ora, tutta gli aspetti caricaturali descritti qui mettono in evidenza il vero muro che divide le persone e i loro interessi dagli interessi dei loro oppressori. Non sono gli idealistici ed eterei “valori europei” a dividere; questi dovrebbero unire e accomunare, anziché disunire. Quando l’UE ha smesso di “contribuire alla pace e alla sicurezza” e al “rispetto reciproco tra i popoli”, come enunciato nell’articolo 3 del Trattato di Lisbona? Tuttavia, l’enumerazione di questi principi è strumentale alla dottrina federativa che ha istituito l’UE stessa.
Esiste pertanto una grande frattura e uno scollamento con i “valori europei” tra coloro che difendono la sovranità, l’indipendenza e la libertà, perché senza la prima non c’è libertà, poiché quando siamo governati da altri che non controlliamo, non potremo mai essere liberi, come non lo sono coloro che soccombono al globalismo federativo guidato dagli Stati Uniti e incarnato dal G7, dalla NATO e dall’UE. Che senso ha rovesciare un governo, eleggerne un altro o rivoluzionare un Paese che, alla fine, dovrà continuare a sottostare ai dettami imposti dall’esterno? Ecco perché questa è la prima linea di demarcazione di questi giorni. È la più visibile, la più palpabile. La più rilevabile, almeno.
Ma questo non deve mascherare un’altra linea di demarcazione, la più profonda di tutte, la più nascosta: il divario di classe. Dietro questa frattura tra sovranità e federalismo si nascondono gli interessi dei popoli lavoratori, dei piccoli imprenditori non finanziarizzati, delle fazioni del capitale produttivo deconcentrato, dei contadini e degli intellettuali, contrapposti agli interessi di classe del capitalismo finanziarizzato nella sua fase imperialista.
Alla fine, la posta in gioco non è altro che la lotta tra il capitalismo rentier e finanziarizzato e i brutali guadagni che ne derivano per una manciata sempre più ricca e ristretta di persone, che hanno bisogno di un mondo senza limiti se non quelli imposti da loro stessi, quello che possiamo chiamare “ordine basato sulle regole”, in cui le regole cambiano e vengono interpretate a piacimento del “legislatore” autodesignatosi tale, sempre in opposizione agli interessi dei popoli, comprese le forze produttive pubbliche o private, la cui proprietà nazionale vuol dire la loro stabilità, sovranità e indipendenza, garanti della loro libertà e capacità di utilizzare queste forze produttive non a vantaggio di una classe rentier centrale, transnazionale e sempre più ridotta, ma per un interesse sovrano e collettivo.
In questo modo, essere sovranisti è oggi, come ieri, un atto rivoluzionario, e non solo per la frattura, la rottura e l’interruzione che produce rispetto a un processo ancora dominante di soppressione delle sovranità e delle libertà dei popoli, ma perché l’assunzione di questa sovranità implica essa stessa una costruzione economica sovrana, nella quale: 1) lo Stato è in possesso della direzione politica e democratica, che guida le misure che garantiscono il funzionamento della parte a beneficio del tutto e la difesa dell’interesse nazionale; 2) uno Stato in possesso dei meccanismi strategici che garantiscono la capacità dei governi, democraticamente costituiti (in un’altra concezione che non vedo) e democraticamente legittimati (il che non significa attraverso un modello liberale), di garantire l’applicazione delle misure pubbliche per cui sono stati scelti; 3) un sistema economico diversificato, che comprenda pubblico, cooperativo, privato e sociale, che lavori per l’insieme e incorpori nella sua azione il beneficio, la sostenibilità, la stabilità e l’indipendenza dell’economia nazionale, come unico modo per garantire la sovranità popolare nella libera scelta del suo percorso.
Una visione della sovranità e del ruolo che lo Stato deve svolgere per garantirla rappresenta un’efficace rottura con la tendenza federalista e globalista degli ultimi decenni, responsabile di aver schiacciato non solo le libertà ma anche le condizioni di vita della maggioranza a vantaggio di un’esigua minoranza.
Così, come nell’esempio della Siria, dove la riabilitazione di Al-Jolani dipende dalla sottomissione della nazione agli interessi di Washington e dei suoi vassalli, la riabilitazione di Vladimir Putin, agli occhi dell’Occidente, dipenderebbe dalla consegna agli interessi dei rentier statunitensi degli 80 mila miliardi di dollari di risorse minerarie che la Russia custodisce nelle sue terre e che Calin Georgescu ha giustamente definito necessarie per pagare il debito pubblico e privato del sistema finanziario dominato dall’Occidente. Tra queste verità e la proposta di difendere la sovranità rumena, potrebbero esserci state le ragioni per il frettoloso annullamento delle elezioni da lui vinte.
In un’Europa che parla tanto di “valori europei”, vediamo invocare il rafforzamento della sicurezza mentre la sua politica militare viene consegnata alla NATO; vediamo invocare la “sicurezza energetica” mentre viene consegnata all’industria statunitense del gas di scisto; sentiamo ripetutamente parlare della necessità di garantire l’indipendenza delle catene di approvvigionamento, ma gli Stati europei fungono da intermediari d’affari per gli Stati Uniti, come è accaduto in Angola con il Corridoio Lobito.
In un’Europa che non sa cosa siano l’indipendenza, l’autonomia e la sovranità, difenderle significa escluderci automaticamente da questi “valori europei” e, quindi, dal perdono europeo.
Hugo Dionisio
Avvocato attivista per i diritti umani e sociali membro del consiglio direttivo della Portuguese Democratic Lawyers Association. È anche ricercatore presso la Portuguese Workers Trade Union Confederation (CGTP-IN).
