SCUOLA. DIGITALIZZARE LA DIDATTICA, RIFORMATTARE IL PENSIERO UMANO

DiSonia Milone

5 Settembre 2025
Lo studente 4.0 fra globalizzazione, neoliberismo, metaverso e transumanesimo.

Lo studio del cambiamento climatico e della raccolta differenziata al posto dell’italiano e della matematica; i test a crocette in sostituzione dei temi, dei dettati e delle poesie a memoria; la calcolatrice in luogo dei calcoli a mente; le immagini invece del testo scritto sui manuali; le fotocopie da colorare anziché il disegno a mano libera.1

E, poi, cattedre vuote, docenti di passaggio, supplenze perenni.

Per non parlare di muri sporchi, soffitti scrostati, calcinacci che crollano, edilizia in totale degrado quale segno più visibile della decadenza civile di un Paese che investe nell’istruzione meno di tutte le altre Nazioni europee e quale simbolo di offesa al prestigio dell’istituzione scolastica.

Da almeno trent’anni il tramonto dell’Occidente è ben visibile entro l’orizzonte della scuola italiana, nell’imbrunire della memoria storica, nel rabbuiamento del valore del sapere, nell’oscurarsi della cultura umanistica, nello scempio che ne è stato fatto.

Scempio che ha come unica causa un sistematico piano di ispirazione neoliberale che, una riforma alla volta, ha trasformato l’istruzione da “bene comune” (res publica) per eccellenza di cui prendersi cura – come insegnava Aristotele – in merce su cui speculare.

Gli avvoltoi del neoliberismo sono stati liberati nel cielo d’Italia a partire dagli anni Novanta del secolo scorso per andare a beccare le giovani carni dei nipoti di Dante, Leonardo, Michelangelo, eredi di una tradizione di pregio inestimabile che è stata svenduta sul mercato in cambio delle false monete della modernizzazione.

Come ricorda Lucio Bontempelli2, il professor Lucio Russo (appena scomparso) fu il primo a comprendere la direzione verso l’aziendalizzazione della scuola pubblica italiana aperta dalla riforma dell’allora Ministro dell’Istruzione Luigi Berlinguer.3

Oggi gli studenti italiani non sono in grado di comprendere un testo semplice, detengono un vocabolario medio di cinquecento parole, non hanno nemmeno più il dominio della propria lingua madre. “Non si abita un paese, ma una lingua; una patria è questo e nient’altro” scrisse Emil Cioran.

Ma nel sistema che ha trionfato, dopo la caduta del muro di Berlino, sul piano politico, economico, culturale ed ideologico, i nipoti di Leonardo devono diventare figli della globalizzazione, cittadini del mondo, ovvero gli abitanti di nessun luogo, senza radici, senza memoria, senza punti di riferimento, possibilmente anglofoni, abitanti perfetti di un sistema dove impera l’eradicazione di ogni diversità per estendere alle diverse latitudini del globo un’unica monocultura.

E così la scuola italiana è stata, fin dall’inizio, uno dei principali terreni di conquista subendo una vera e propria invasione barbarica per andare a sfregiare e a saccheggiare la nostra cultura. La scuola è, infatti, il luogo in cui si tramanda, da una generazione all’altra, l’identità di un popolo, è il baluardo che custodisce i valori più profondi di quel pensiero che ha fatto fiorire le arti e le scienze, la letteratura e l’etica, nell’incessante creazione di sistemi originali complessi.

“Se pensi all’anno prossimo semina il granturco, se pensi ai prossimi dieci anni pianta un albero, se pensi ai prossimi cento anni istruisci i bambini”, dice un proverbio cinese.

Mettere le mani sull’istruzione significa, infatti, mettere le mani sulle nuove generazioni, ossia sul futuro di una società plasmandola seconda una precisa direzione.

Non è certo un caso se durante la pandemia la scuola sia stata oggetto dei provvedimenti più severi. Gli scolari italiani sono stati gli unici esseri umani al mondo ad aver dovuto indossare la mascherina per tre lunghi anni anche quando non era più richiesta nemmeno in discoteca. La mascherina è, infatti, la metafora di quei dispositivi di controllo e di coercizione che la società esercita nei confronti di ogni alterità che sfugge alle omologazioni ideologiche del sistema.

Se la società è presa in cura dai nuovi dispositivi biopolitici del potere, la scuola non può che essere il luogo dell’accanimento terapeutico perché è l’infanzia stessa a dover essere neutralizzata in quanto anomalia capace di sfuggire alla prevedibilità algoritmica della vita. Il corpo dei bambini, infatti, vive ancora in una reciprocità selvaggia, diretta, simbolica con la natura.

Per questo, in quegli anni, era fondamentale fare degli istituti scolastici il centro per eccellenza del disciplinamento dei corpi: insomma, una carneficina. Corpi costantemente controllati, testati e distribuiti tra i positivi e i negativi, i sintomatici e gli asintomatici, i presenti e gli assenti. Corpi distanziati, burocratizzati, uniformati, spogliati della spontaneità irruente e vitalistica dell’infanzia. Corpi mortificati, sterilizzati, denudati dello spessore millenario della gestualità, degli abbracci e dei sorrisi. E, soprattutto, corpi collegati da remoto, alienati dietro uno schermo, assenti in aula ma presenti in DAD, secondo uno sdoppiamento in cui il virtuale diventa più vero del reale.

Come sotto una radiografia, la scuola degli anni pandemici illumina, con la sua fredda e precisa luce clinica, le tendenze che stanno gradualmente continuando a consolidarsi. Sotto la pelle di quei corpi patologizzati, medicalizzati e standardizzati già si poteva intravedere l’anonimato anatomico del paradigma biologico tecnocratico e transumanista.

E’ in quel preciso momento storico che si inaugura il primo esperimento di didattica da remoto segnando il passaggio dal virale al virtuale senza soluzione di continuità. E la scuola cade come ultimo baluardo a difesa di ragazzi che vivono già perennemente attaccati ai dispositivi wireless affinché non rimanga più nessuna barriera, nessuna zona opaca, nessuna ombra, a filtrare l’irruzione del digitale nelle loro anime, attraversate da tutte le reti d’influenza esterne.

Come la finestra di Overton insegna, l’emergenza serve per legittimare l’eccezione e, subito dopo, si provvede a normalizzarla. La normalizzazione arriva nel giugno del 2022 quando, sotto il governo Draghi, viene adottato il “Piano Scuola 4.0”.4

In ossequio alla nuova frontiera del capitalismo che è l’online, la riforma obbliga l’intero sistema scolastico italiano a oltrepassare la soglia del digitale. Il “Piano Scuola 4.0” non prevede solo di modernizzare l’istruzione con strumenti come la lavagna interattiva, il registro elettronico o il PC, fa ben altro: legittima la didattica online. Ciò significa che studenti e docenti saranno inghiottiti nel Metaverso, orwellianamente ribattezzato dal Ministero dell’istruzione Eduverso.

Dopo aver lasciato che il neoliberalismo facesse il bello e il cattivo tempo, con la riforma Draghi la scuola si smaterializza ed evapora nella nuvola del Cloud in un cielo privo di piogge per inaridire il terreno della cultura, il campo della formazione, impedendo ai semi di germogliare.

E così, dopo anni di assedio e di incessanti tentativi di digitalizzare l’istruzione, con il “cavallo di Troia” dei fondi europei, le elites neoliberiste, globaliste e tecnocratiche sono riuscite a oltrepassare le mura degli istituti per dare definitivamente fuoco all’educazione e incenerire il corpus del sapere, la tattilità dei libri, la fisicità delle relazioni, mandando in fumo secoli di scienza pedagogica.

Il “Piano” è adottato nonostante non esista nemmeno uno studio in grado di dimostrare la migliore efficacia della nuova didattica rispetto alla metodologia tradizionale e nonostante, all’opposto, una copiosa letteratura scientifica ne abbia evidenziato, ormai, i danni sui processi di apprendimento, sullo sviluppo cognitivo e sulla salute generale degli studenti. Dove si apre un tablet in classe si assiste ad un immane tracollo di tutte le facoltà cognitive di base.

Rischi e danni che il Governo italiano conosceva perfettamente avendo avviato nel 2019 una lunga e approfondita indagine convocando in Senato i più importanti esperti internazionali del settore che ne hanno certificato la negatività, paragonata agli effetti della droga (fra cui la dipendenza), come ricordano Luciano Boi e Michele Maggino nella prefazione di “Punto e a capo. Per una rigenerazione della scuola”.5

Malgrado ciò, a partire dal 2022, al suono della campanella, nelle classi italiane esplode il big bang del digitale. E gli studenti vengono, un passo alla volta, fatti transitare dalla galassia Gutenberg dei libri agli universi paralleli del virtuale per essere internati nei circuiti chiusi del web.

E’ una deflagrazione enorme che, tuttavia, non viene udita dal popolo dei docenti subito convertito ai miti di un progresso all’apice della sua retorica che promette di portare il Paradiso in Terra. Paradiso artificiale, naturalmente.

E così la scuola aggredita dalla Rete perde la battaglia senza nemmeno combattere e consegna gli studenti alla glaciazione informatica. La giovane generazione diventa quindi la classe selezionata del vivente da formare, per la prima volta nella storia, al di fuori delle vie naturali.

Il “Piano Scuola 4.0” si inscrive entro l’orizzonte del transumanesimo: non è una riforma scolastica ma una riforma che mira ad accelerare una mutazione antropologica partendo dai giovani.

Il Ministero dell’istruzione scrive che gli ambienti tradizionali di apprendimento, cioè le aule con dentro un maestro e un alunno, vanno ibridati con nuovi ambienti di apprendimento che sono appunto le piattaforme virtuali. L’ambiente fisico è ormai obsoleto e va ristrutturato tramite le impalcature del digitale per impiantare nella rete neuronale dei giovani il virtuale come condizione di vita. Si tratta di una conversione dello spazio che aspira, in realtà, a una conversione delle menti per riformattare il pensiero umano.

Lo studente deve apprendere fra “online” e “onlife”, dove per “onlife” si intende la vita così come l’abbiamo sempre conosciuta nell’abominio di inquinare nei più piccoli un sano sviluppo del principio di realtà abituandoli a pensare che il reale sia equivalente e interscambiabile con il virtuale. Piccoli transumani crescono fra “online” e “onlife”.  

“Scuola 4.0” significa perdere carta e penna a favore del tablet con la definitiva reductio ad digitum dell’essere umano. La parola digitale viene dal latino e significa, appunto, dito.

Il passaggio dalla mano al dito non è neutrale. “L’uomo pensa perché ha la mano” sosteneva Anassagora, la mano è “il cervello esterno dell’uomo” scriveva Kant, è “l’organo della mente” confermava Maria Montessori. Senza dimenticare, i laboratori tattili e la pedagogia polisensoriale di Bruno Munari in cui “le mani guardano” stimolando il pensiero creativo.

Sono stati versati fiumi di inchiostro sulla connessione fra mano e mente. L’antropologo André Leroy-Gouran ha dimostrato che è stata la mano a liberare la parola (ovvero il pensiero) nel processo evolutivo umano. La scrittura manuale è un fattore determinante per il potenziamento delle abilità motorie fini, lo sviluppo cognitivo e le modifiche plastiche della corteccia cerebrale.

Sottovalutare una tappa fondamentale della crescita psicofisica non sarà senza conseguenze, soprattutto per gli alunni della scuola primaria per i quali è essenziale esperire, toccare, segnare il foglio con la penna, sfogliare le pagine, percepire il fruscio della carta, il profumo delle matite, la densità dei colori.

Amputare la mano agli alunni significa fare della scrittura lettera morta e sottrarre alle nuove generazioni l’alfabeto con cui decifrare il mondo, privandoli degli strumenti concettuali per sottoporre ad analisi la realtà lasciandoli completamente disarmati di fronte alla vita.

Scrivere è un atto fisico, è un po’ come arare: la penna solca lo spazio bianco del foglio e richiede i tempi lenti della natura che sono gli stessi tempi lenti dell’infanzia. Ma se c’è una cosa di cui la società iper-tecnologica ha terrore è la lentezza che apre alla consapevolezza e alla riflessione.

La società informatizzata sta già alterando alcune facoltà fondamentali della mente umana e la scuola si conforma anziché fungere da argine all’epocale degrado cognitivo in atto. Il digitale è il medium dell’eccitazione e della distrazione. Con la finestra di Windows viene fatta entrare in classe la deconcentrazione e l’iperstimolazione come testimonia la pandemia di disturbi dell’attenzione degli studenti italiani.

Dalla mano al dito, la scrittura si dematerializza, diventa trasparente, non lascia più segni. E il sapere si deterritorializza una volta staccato dalle materie solide, dalle memorie millenarie, dall’archeologia del sapere. Scripta volant: c’è un clima ventoso intorno alla nuvola del “Cloud” che incombe sulla scuola. E gli alunni, come le api dello “sciame digitale”, vagano di qua e di là inseguendo pseudo-conoscenze volatili, fluide, veloci, banali, alleggerite del loro spessore per volare di supporto in supporto, fra la lavagna interattiva, il tablet e l’ebook.

È tipico del digitale favorire l’accumulazione a scapito della selezione. L’insostenibile leggerezza della conoscenza dissolve ogni confine disciplinare e confonde la cultura con la moda, il linguaggio con la comunicazione, l’arte con la pubblicità.

Le ricerche scolastiche non si fanno più in biblioteca, bensì su Wikipedia, il McDonald’s dell’informazione decontestualizzata per lo studio “copia e incolla”. La biblioteca di Alessandria d’Egitto è di nuovo in fiamme, in cenere la concezione di un sapere che, capace di resistere all’usura del tempo, è degno di essere conservato e trasmesso.

Nella “società dello spettacolo” saltano i cardini della serietà e dell’autorevolezza e la scuola guidata dall'”animatore digitale” avanza di buffonata in buffonata per adescare gli studenti nel gioco facile della banalizzazione, confinandoli nel perimetro del futile e dell’inessenziale. “Faremo gli spiriti con ciò che è inutile e divertente”, aveva profetizzato fin dal 1957 il filosofo Gunters Anders.

La scuola ora punta a unire apprendimento e intrattenimento. Proprio Bill Gates fu il primo ad investire in “startup” specializzate nella creazione di contenuti multimediali per rendere l’istruzione “divertente”: nella scuola dei balocchi si promette un sorriso compiacente in cambio di una vita da somaro.

Giulio Cesare diventa un avatar, la Cappella Sistina un cartone animato, la geografia un videogame e la storia una fiction con la regia di Mark Zuckerberg. La conoscenza si spettacolarizza nell’Eduverso, la disneyzzazione dell’istruzione, poiché “ciò che appare è buono” ed è solo nell’apparire che ogni cosa riceve “il proprio prestigio immediato e la propria funzione ultima”, scrive Guy Debord.

Il sapere è sempre stato trasmesso tramite la parola, il famoso lògos, che dal greco si traduce anche con pensiero. Non esiste, infatti, migliore palestra per l’intelligenza del linguaggio che è ciò che ci contraddistingue come esseri umani.

Con il “Piano Scuola 4.0” la scuola italiana subisce una dislocazione che ne muta radicalmente l’essenza. Non più luogo di formazione dello spirito umano attraverso il dialogo e la relazione viva fra il maestro e gli alunni, ma sede di erogazione di nozioni impersonali somministrate per via immersiva e incantatoria nell’Eduverso.

In una scuola dove si fa lezione nel Metaverso i programmi tenderanno ad essere sempre più omologati e standardizzati. Non serviranno più milioni di insegnanti ma basteranno poche piattaforme, una galleria di tutorial, un pugno di tecnici. Bill Gates ha più volte dichiarato entusiasticamente che, entro pochi anni, l’Intelligenza Artificiale aiuterà gli alunni a leggere e a scrivere.

Il docente va rottamato, non solo perché sarebbe, ormai, superfluo ma soprattutto perché, in quanto magister – ovvero “il più grande” e quindi esempio da imitare – è pericoloso: rappresenta l’unico “virus” vivente capace di far saltare tutto il sistema informatico della scuola 4.0.

Nell’Eduverso non ci sono impronte da seguire, non c’è nessun maestro che con il suo “corpo” di esperienza, sapienza, pensiero critico, umanità possa fare da anticorpo e filtrare lo schianto dei più indifesi nel virtuale dove saranno allevati dall’intelligenza artificiale, ossia da una macchina che li trasformerà in macchine.

Dall’aula fisica alla piattaforma dell’Eduverso, dal libro all’ebook, dalla penna al tablet, dal maestro al tutorial, dalla relazione alla navigazione solitaria, la riforma Draghi ci consegna una scuola cupa, oppressiva, ad alta densità tecnologica, dominata dalla “ragione artificiale” dove nulla è più a dimensione umana.

Con la finestra di Windows i potentati sono entrati nelle terre dell’infanzia e dell’adolescenza, nella primavera della vita, espugnando sempre più spazi di esistenza.

Alle algide latitudini del digitale, i ragazzi vengono cresciuti in un’atmosfera trasparente, asettica, batteriologicamente purificata dalle ombre e dalle presunte imperfezioni della vita, in regola con le gelide ragioni della tecnocrazia per realizzare il sogno cibernetico di un mondo in cui tutto funziona in modo perfettamente controllato superando definitivamente l’inaffidabilità dell’azione umana.

L’unica speranza per avere ancora una società fatta di esseri umani dipende dalla nostra capacità di proteggere le nuove generazioni dall’intrusione del prometeismo mettendo in salvo la scuola dai tentacoli artificiali di una tecnologia sempre più anonima, sempre più invasiva, sempre più pervasiva.

Il compito sempre più urgente per gli insegnanti che, in mezzo all’inferno della scuola digitalizzata e disumanizzata, hanno scelto di non barattare la sicurezza del conformismo con la scomodità del pensiero critico e del coraggio è quello di porsi di fronte ai propri alunni come “maestri di vita”.
È una lezione che nessuna Intelligenza Artificiale sarà mai capace di trasmettere

NOTE

  1. Il presente testo offre una breve sintesi di alcune analisi che ho svolto nel saggio A lezione nel metaverso. La digitalizzazione della didattica, in AA.VV, Punto e a capo. Per una rigenerazione della scuola, a cura di Luciano Boi e Michele Maggino, Mimesis edizioni, 492 pp. Rimando al libro per l’analisi completa e per ulteriori approfondimenti.
  2. Lucio Bontempelli, La falsa contrapposizione tra scuola di qualità e scuola inclusiva: per una rivisitazione della storia del primo ciclo di istruzione, ibidem
  3. Lucio Russo, Dove sta andando la scuola? Si può cambiare la direzione della trasformazione?, ibidem
  4. Si veda anche Fabio Bentivoglio, Scuola fascista e scuola 4.0, 16/9/2024 e La scuola nell’epoca della minorità intellettuale, ibidem
  5. Luciano Boi e Michele Maggino, Prefazione, ibidem

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