IL LIBERALISMO È RAZZISMO

DiOld Hunter

13 Febbraio 2025

di Constantin Hoffmeister per Eurosiberia    –     A cura di Old Hunter

Il liberalismo, questa dottrina presuntuosa della modernità, indossa una maschera di tolleranza mentre lacera le radici delle civiltà. Il mondo che i nostri antenati hanno costruito, pietra su pietra, è ora incrinato sotto il peso delle sue stesse contraddizioni. L’identità non è una nota a piè di pagina nella storia: è il fondamento dei popoli, la sacra eredità di coloro che sono venuti prima. I pensatori americani Madison Grant e Lothrop Stoddard lo avevano capito. Non predicavano la divisione. Sostenevano la conservazione. Non cercavano il predominio. Amavano la continuità. Non erano cattivi. Erano i custodi di una verità ora sepolta sotto le macerie del decadimento liberale. Come Amleto che fissava l’abisso, l’Occidente esitò, dubitò di sé stesso, mentre coloro che ne sapevano di più venivano messi da parte. Il tragico difetto del liberalismo, la sua arroganza, divenne il suo lento veleno.

Il colonialismo era la grande contraddizione. Estendeva l’influenza occidentale mentre corrodeva il nucleo stesso dell’Occidente. Gli imperi si diffondevano, consumando terre straniere, ma così facendo, consumavano il loro stesso senso di sé. Gli inglesi e i francesi cercarono di plasmare il mondo a loro immagine, ma dimenticarono di salvaguardare il cuore delle loro civiltà. Prospero, in The Tempest, cercò di portare conoscenza e ordine in un mondo sconosciuto, ma nel farlo, si ritrovò naufragato, esiliato, incapace di tornare a casa. Gli americani, espandendosi sempre più verso l’esterno, credendo nel Destino Manifesto, ignorarono gli avvertimenti dei saggi. Abbracciarono la crescita senza equilibrio, l’impero senza introspezione. Il passato fu dimenticato, le lezioni ignorate. L’era dell’espansione divenne l’era dell’erosione.

The Rising Tide of Color di Stoddard, The Passing of the Great Race di Grant, non armi d’odio ma avvertimenti di dissoluzione. Non chiedevano esclusione. Chiedevano rispetto: rispetto per i confini tra i popoli, per il diritto di ogni cultura a esistere e prosperare secondo i propri termini. L’Immigration Act del 1924 negli Stati Uniti non fu un atto di malizia. Fu un atto di autoconservazione, un riconoscimento che il mondo non è una massa informe ma una matrice di popoli distinti, ognuno con il proprio destino. Eppure il liberalismo, nella sua febbrile marcia verso l’omogeneizzazione, infranse quell’equilibrio. Come Lear che divideva il suo regno tra coloro che cercavano solo di usare e sfruttare, l’Occidente cedette la sua eredità, credendosi giusto mentre camminava cieco verso l’oblio.

Il mondo razionale, l’Occidente ordinato e ascendente, non è morto in battaglia. È perito nella resa. Si è arreso al senso di colpa, all’insicurezza, all’illusione che si possa cancellare la storia senza cancellare sé stessi. L’Occidente liberale di oggi vede coloro che rifiutano l’assimilazione come ostacoli, come minacce. Eppure sono coloro che restano fermi, che ricordano, che onorano le proprie radici, che rimangono vitali. Roma è

rimasta in piedi per secoli, ma quando ha abbandonato le sue tradizioni, quando si è lasciata governare da estranei senza alcun interesse nella sua sopravvivenza, è caduta. Opporsi all’invasione è ora un crimine. Insistere sul fatto che l’identità sia importante è considerato pericoloso. Ma cosa c’è di più pericoloso che dimenticare chi sei?

Le rivoluzioni non accadono per caso. Le cosiddette “rivolte”, le rivoluzioni colorate, i cambi di regime, nessuno di loro è organico. L’Ucraina, il Medio Oriente, un tempo culture forti, ora ridotte a campi di battaglia per forze al di fuori del loro controllo. E se l’ideologia fallisce, allora arrivano le bombe. Iraq, Libia, Siria, nazioni dilaniate sotto le mentite spoglie della liberazione. Il vecchio ordine viene smantellato, lasciando dietro di sé solo cenere. Come Bruto che razionalizza l’assassinio di Cesare, il liberalismo predica la libertà mentre brandisce il pugnale. Parla con toni nobili ma lascia solo caos sulla sua scia. L’Occidente parla di democrazia mentre nega la sovranità degli altri. Proclama “diritti umani” mentre infrange i diritti dei popoli a esistere come sé stessi.

L’ideologia woke, figlia bastarda del liberalismo, finge di riguardare la giustizia mentre divora coloro che hanno costruito il mondo in cui vive. Non eleva. Cancella. Non protegge. Dissolve. Re Lear conosceva la paranoia. Non aveva torto: il tradimento viene da dentro. Coloro che rifiutano questo dogma, che siano nazioni, culture o individui, vengono cacciati, esiliati, ridotti al silenzio. Ma l’esilio non è la fine. È lo spazio prima del ritorno, il momento prima della rinascita. La tempesta può infuriare. Passerà. Ciò che rimarrà sono coloro che si sono rifiutati di inginocchiarsi.

Le strutture che un tempo sostenevano identità e continuità sono state riscritte. L’istinto di preservare rimane, per quanto umiliato, represso o annegato in una folle retorica. L’ordine globale odierno non governa attraverso la forza, ma attraverso catene finanziarie, contratti, illusioni. Il Claudio di Amleto non uccideva con la spada. Assassinava con il veleno, con sussurri, con l’inganno. E lo stesso fa il liberalismo, smantellando l’identità non con la forza, ma con la manipolazione. Non brucia i libri. Li riscrive. Non distrugge la storia. La racconta di nuovo, attentamente, selettivamente. L’Occidente un tempo era una casa. Ora è un mercato, dove tutto, persino la sua anima, è in vendita.

Il progetto globale del liberalismo non riguarda l’unità. Riguarda l’uniformità. Non celebra la diversità. La teme. Non ama la differenza. La schiaccia. Vuole un mondo, un modo, un modello di esistenza. Ma il mondo non ha bisogno di un ordine singolare. Il mondo ha bisogno dell’etnopluralismo, del diritto di tutti i popoli a seguire i propri percorsi. L’Occidente non dovrebbe imporsi al mondo, così come il mondo non dovrebbe imporsi all’Occidente. Lasciamo che ogni civiltà percorra la propria strada. Coriolano rifiutò la sottomissione e fu cacciato. L’Occidente, se non si sveglia, subirà la stessa sorte. Esistere come qualcosa di distinto è ora il più grande atto di sfida.

Il mito del progresso regge perché è stato attentamente modificato. Il mondo liberale ricorda le sue vittorie, dimentica i suoi fallimenti. Parla di libertà mentre costruisce catene. Riccardo III, l’astuto ingannatore, si è ammantato di virtù finché non è stato il momento giusto per prendere il potere. Lo stesso fa il liberalismo, che sorride mentre cancella la storia, mentre riscrive la realtà. Non ha una vera fedeltà alle persone, alla cultura, a niente che non sia la sua espansione. Non chiede cosa è giusto. Chiede cosa è utile.

Il liberalismo è razzismo, quello elegantemente aziendale, quello che si spaccia per progresso mentre sventra intere culture come un macellaio che taglia la carne. Non celebra la differenza. La divora, ingoia intere civiltà e sputa fuori cloni di plastica uniformi che marciano allo stesso ritmo morto di “libertà” e “democrazia”. Non chiede se un popolo vuole preservare il suo stile di vita. Gli dice che è arretrato se ci prova. Il liberalismo è il colonizzatore avvolto in segnali di virtù, il missionario con un’aureola di dollari, il venditore dalla lingua astuta che spinge per un mondo in cui tutto sembra uguale, suona uguale, pensa uguale. Costruisce centri commerciali su un terreno sacro e lo chiama modernizzazione. Sostituisce le lingue con slogan, le tradizioni con tendenze. Uccide la diversità in nome dell'”inclusione”. E la parte peggiore? Si definisce antirazzista mentre cancella le stesse identità che afferma di elevare.

Per spezzare il ciclo, bisogna vedere attraverso l’illusione. Il liberalismo non è salvezza. È sottomissione. Non concede libertà. Offre una gabbia dorata. Rifiutarlo non significa regredire, ma esigere che l’identità conti. L’Occidente non è un concetto astratto, non è un insieme di politiche. È una cosa viva, una discendenza, un’eredità. Macbeth, nel suo ultimo respiro, vide la verità: tutte le sue conquiste, tutti i suoi crimini, erano stati inutili. Anche l’Occidente deve svegliarsi prima che sia troppo tardi, prima che la sua tragedia sia scritta per intero. Eppure, c’è ancora tempo. Tempo per ricordare. Tempo per ricostruire. Tempo per rifiutare l’impero, abbracciare l’identità e andare avanti, non come conquistatori. Invece, come custodi di qualcosa che vale la pena salvare.

Constantin Hoffmeister

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