Quando la ragione si addormenta, tutto diventa possibile: l’abuso delle parole, la manipolazione della storia, la distorsione della verità, la crudeltà più efferata. Ce lo ha descritto Goya più di due secoli fa in 80 opere dedicate ai disastri della guerra.
Seppellire e tacere

“Il sonno della ragione genera mostri” è un’incisione di Francysco Goya del 1797 che raffigura un uomo addormentato alla scrivania mentre uno stormo di grossi pipistrelli neri svolazza sopra la sua testa pronto ad aggredirlo. L’artista ci mostra che, quando la ragione non è vigile e non controlla i lati più bassi dell’essere umano, si scatenano impulsi irrazionali che trasfigurano orribilmente e irrimediabilmente la realtà.

L’opera fa parte dei “Capricci:”, una serie di 80 incisioni in cui il pittore spagnolo porta alla luce tutto un sottomondo di terrori, violenze segrete e angosciosi presagi che esprimono la profonda inquietudine dei suoi tempi con un violento espressionismo e una rara intensità capaci di restituire un mondo che appariva ai suoi occhi sempre più mostruoso.

I “Capricci” vengono poi ritirati a causa delle denunce dell’Inquisizione spagnola, tuttavia Goya ne riprende i temi in una nuova serie ancora più inquietante dedicata a “I disastri della guerra”. Realizzata fra il 1810 e il 1815, dopo l’occupazione francese della Spagna, l’opera viene incisa di nascosto e pubblicata solo postuma nel 1863.

Si tratta di una delle denunce più intense che un artista abbia mai realizzato contro la disumanità della guerra. Sono 83 immagini di una forza e di una violenza disturbante che mostrano senza mezze misure le brutali uccisioni, le sadiche torture, gli stupri di massa e lo scempio dei cadaveri, che vengono compiuti quando si mette in azione la macchina della guerra, un “dispositivo” capace di trasformare ogni uomo in una bestia intenta a infierire sui deboli.

In esse Goya esprime tutto il suo orrore per la crudeltà a cui è capace di arrivare l’essere umano, una ferocia a cui lui stesso stenta quasi a credere se non l’avesse vista con i propri occhi come certifica in titoli carichi di pathos quali “Io l’ho visto”, “Questo è successo”, “Ho visto anche questo”.

E non c’è rimedio

Numerate dallo stesso Goya, le tavole sono suddivise in tre nuclei: il primo testimonia la spietatezza della guerra; il secondo è dedicato alla fame, alla miseria e alle malattie come inevitabili conseguenze di ogni conflitto; il terzo, infine, riprende i temi già affrontati nei “Capricci”: l’abdicazione del pensiero come male assoluto e l’irrazionalità come causa principale capace di trascinare la natura umana verso la violenza più efferata, la crudeltà più gratuita, l’ingiustizia più mortificante.

Ne deriva una cronaca di crimini di guerra quasi fotografica. Numerose le scene di esecuzione sommaria come in Barbari!, dove un condannato viene legato e colpito alla schiena affinché muoia senza onore in spregio al codice militare del tempo. In Non c’è rimedio un prigioniero con gli occhi bendati sta per essere fucilato dalle truppe napoleoniche, ai suoi piedi giace il cadavere di un compagno, mentre, dietro di lui, un altro prigioniero viene ucciso dalla scarica di un secondo plotone. Con crudo realismo, Goya riesce così a trasmettere la sequenza quasi simultanea dei tre assassinii in quel tritacarne che è la guerra che disumanizza, spersonifica e deresponsabilizza, una macchina per uccidere fredda e anonima come le canne dei fucili che spuntano a lato della stampa, perché una volta avviati certi processi diventa difficile fermarli …”non c’è rimedio”, appunto. E’ un concetto su cui Goya insiste spesso, occultando il volto degli esecutori o non facendoli vedere del tutto mostrando solo le punte delle baionette come in Non si può guardare dove uomini, donne e bambini vengono massacrati senza pietà.

Perché?

Perché tutta questa violenza si chiede ossessivamente l’artista in una tavola intitolata proprio Perché? dove mostra una brutale impiccagione: dato che l’albero è troppo basso, tre soldati tirano il condannato per spezzargli il collo che soffoca mentre gli si rizzano i capelli. La tavola Cosa si può fare di più? raffigura alcuni militari che mutilano il corpo di uno Spagnolo mentre è ancora vivo tentando persino di dividerlo in due. Ma in Questo è peggio Goya fa vedere che non c’è limite alla barbarie raffigurando un uomo che è stato denudato, squartato e impalato ad un ramo morendo lentamente tra sofferenze indicibili. Sullo sfondo, si comprende che altre persone subiranno la medesima sorte.

Ne “I disastri della guerra” Goya rappresenta anche le atrocità commesse dagli Spagnoli perché la sua riflessione concerne il tema universale della violenza e della sopraffazione a prescindere da chi è invaso e chi è l’invasore. In Grande bravura, con dei morti mostra, ad esempio, i cadaveri di tre uomini evirati e appesi ad un albero dal “popolino”, come lo definisce Goya in un’altra tavola. Uno di loro è stato tagliato a pezzi e le parti del corpo esposte in una strada pubblica. Si tratta di una pratica selvaggia riservata a coloro che venivano sommariamente indicati come traditori.

Dentro ogni guerra c’è sempre un’altra guerra, quella vile contro le donne costrette a subire stupri di massa. In Non vogliono una ragazza tenta di difendersi graffiando la faccia dell’aggressore mentre l’anziana madre cerca di salvarla accoltellandolo, Ma in Neanche loro, in Neanche così e in Amara presenza i soldati riescono a catturare le donne trascinandole via dopo aver gettato a terra e ucciso i loro neonati. Sono molte le incisioni in cui l’artista ritrae i civili come in E sono feroci dove una madre, per difendere il suo figlioletto, è costretta ad impugnare una lancia con cui riesce a ferire mortalmente un Francese.

Non meno drammatiche delle immagini di violenza sono quelle dedicate alla carestia. Anche in questo caso Goya ci mostra la nuda realtà della guerra: i decessi per fame e malattia sono talmente tanti che i defunti non vengono nemmeno più seppelliti.

Sono di un altro lignaggio

In queste acqueforti l’artista ritrae i poveri come figure disperate ridotte a veri e propri scheletri umani, e quindi già al confine con la morte come, ad esempio, in Cosa peggiore è chiedere l’elemosina dove una donna passa accanto a un gruppo di mendicanti chinando la testa inerme perché non è in grado di aiutarli e sa che non arriveranno al giorno dopo.

O come in Sono di un altro lignaggio dove viene rappresentato un povero che ha il viso talmente scarno da sembrare ormai un teschio. L’uomo chiede la carità tendendo la mano verso alcuni eleganti borghesi che però gli danno le spalle indifferenti. Con essi Goya ha voluto denunciare la classe speculatrice arricchitasi con la guerra, come ebbe a scrivere anche la “Gaceta de Madrid” nel 1812: “Abbiamo visto sorgere dal nulla colossi di potere e di ricchezza; abbiamo visto altri che prima nuotavano nell’opulenza ammantarsi dell’indigenza”. 

I risultati

Non esiste conflitto senza che qualcuno arrivi ad alimentarlo e a sostenerlo per trarne vantaggi personali, incurante del prezzo altissimo che tutti gli altri dovranno pagare. Anzi, quasi sempre, è proprio l’avidità a scatenare le guerre, tema questo rappresentato da Goya ne I risultati con l’immagine di un nugolo di pipistrelli che, come dei vampiri, succhiano famelici il sangue di un uomo quasi esanime che simboleggia il popolo.

Dolore, distruzione, saccheggi, assassini, stupri, atrocità, fame, degrado e umiliazione. Nessuno ha mai raffigurato la guerra così: Goya rompe, infatti, con tutta la tradizionale rappresentazione eroica del tema bellico scagliandosi sulla lastra con tratti violenti e veloci per far vibrare tutto il furore omicida. Rappresentare l’irrappresentabile, cioè il male. Questo è lo scopo delle incisioni: non c’è composizione classica, non c’è centro né armonia ma una massa aggrovigliata di corpi deformati che aprono già all’Espressionismo novecentesco.

I letti della morte

Il grido di Goya contro la guerra è il grido contro gli abomini e i crimini insiti a tutte le guerre in quanto tali. Un urlo che tutt’oggi non sappiamo ascoltare nell’ennesima presa d’atto che la storia non insegna e l’umanità non impara mai. Ne “I disastri delle guerra” non vediamo solo i cadaveri della guerra d’indipendenza spagnola, ma anche quelli di Gaza, della Siria, dell’Ucraina e di tutte le guerre che arriveranno.

Cambiano le uniformi, i campi di battaglia, le armi, ma le dinamiche sono sempre le stesse, così come le cause che riguardano, prima di ogni altra motivazione, quel “sonno della ragione” fatto di ignoranza, fanatismo e annichilimento del pensiero critico che genera sempre mostruosità come affermerà, un secolo e mezzo dopo, anche Hannah Arendt ne “La banalità del male”.

Tristi presentimenti

Il ciclo de “I disastri della guerra” inizia, infatti, con i “Tristi presentimenti” dove è rappresentato un uomo in ginocchio che implora verso l’alto, come se volesse chiedere aiuto a Dio di evitare l’imminente catastrofe che sta per abbattersi sulla terra. Ma è solo, avvolto dall’oscurità e i suoi occhi sono quasi spenti…Il cielo sembra piombargli addosso travolgendolo con minacciose forze vorticanti in cui si intravvedono inquietanti figure nell’eclisse della luce della ragione.

La serie si conclude con due tavole dedicate alla verità. La penultima si intitola La verità è morta e l’allegoria viene impersonata da una donna che giace senza vita ai piedi di un nutrito gruppo di persone (la “riunione dei ciarlatani” è il titolo di una lastra precedente) in mezzo alle quali compare la Giustizia, la sola a piangerla sconsolata. Resusciterà? si chiede il maestro spagnolo nell’incisione conclusiva dove la Verità sembra tornare in vita muovendo la testa per cercare di rialzarsi. La sua luce non si è spenta, nessuna menzogna può offuscarla, ma i nemici che la minacciano sono potenti e continuano a bramare nella penombra preparandosi a colpirla nuovamente brandendo pietre e pali. Goya li raffigura con testa d’animale e faccia porcina mentre dei pipistrelli svolazzano intorno, quegli stessi che erano apparsi oltre dieci anni prima ne “Il sonno della ragione genera mostri”: ora, con la guerra, gli incubi sono diventati realtà.

Niente. Si vedrà

In una delle ultime tavole, Questa è la cosa peggiore, viene incisa una volpe che firma un decreto davanti ad una folla eterogenea da cui emerge un prigioniero vestito di stracci con le mani legate. Sul foglio compare la scritta “Misera umanità, la colpa è tua”, una citazione che Goya trae da Giovanni Battista Casti (autore italiano a cui aveva dedicato anche un disegno) che aveva scritto in un testo: “È fuor di dubbio che il genere umano prova simpatia per la schiavitù; a che pro sprecare il fiato in vane parole? Se si trova bene con la schiavitù, che non la molli”.

Sono disegni questi che anticipano le “Pitture nere” della “Quinta del sordo”, le ultime opere del maestro spagnolo, dipinte, anch’esse, in segreto a partire dal 1819. Nelle “Pitture nere” Goya ritrae, con tinte fosche e oscure, una sub-umanità caratterizzata da tratti fisionomici bestiali e sguardi idioti, un’umanità, quindi, definitivamente sconfitta dal male, deformata e imbruttita dalla disperazione, dall’angoscia, dalla corruzione, dalla cupidigia, dall’ignoranza e dalla follia. 

Il pellegrinaggio di San Isidro

E se nel primo lavoro del 1797 dedicato da Goya al tema del male, i pipistrelli volano sulla testa ma i mostri restano comunque esterni all’uomo, con le opere successive essi si avvicinano sempre di più fino a divorarne le carni (come si vede ne “I disastri della guerra”) e ad invaderne completamente l’interiorità trasformando l’uomo stesso in un mostro (nelle “Pitture nere”).

Oggi i pipistrelli sono di nuovo in volo, agitati dall’abuso delle parole, dalle tifoserie isteriche, dai fanatismi acritici, dall’ignoranza delle folle, dall’oblio della storia, dalle menzogne dei mass media, dall’avidità dei potenti.

Goya ci ammonisce che quando la ragionevolezza, la coscienza e il buon senso si addormentano, tutto diventa possibile e i mostri si risvegliano.

“I disastri delle guerra” sono conservati al Museo del Prado di Madrid. Un’opera da guardare, riguardare e su cui meditare.

Prima che sia troppo tardi.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *