I distopici campi di sterminio e carestia di Gaza

affetto da paralisi cerebrale, in una scuola dove si sono rifugiati a causa della politica di carestia
forzata di Israele, a Gaza City, 24 luglio 2025. Foto: Mahmoud Issa
Binoy Kampmark, substack.com, 27 luglio 2025 — Traduzione a cura di Old Hunter
La fame come stile di vita. La fame come via di morte. La fame come politica, giustificazione e vendetta. Mentre lo Stato di Israele continua a ignorare, scalfire e violare le convenzioni internazionali sui diritti umani, i cronisti sono impegnati a registrare l’inventario in continua crescita dell’obitorio e la perdita della pace. Di recente, un gran numero di organizzazioni umanitarie ha deciso di esprimere la propria indignazione collettiva in un comunicato per quanto sta accadendo a Gaza.
La dichiarazione di Medici Senza Frontiere del 23 luglio è cruda:
“Mentre l’assedio del governo israeliano affama la popolazione di Gaza, gli operatori umanitari si uniscono alle stesse file per il cibo, rischiando di essere colpiti solo per poter sfamare le loro famiglie. Con le scorte ormai completamente esaurite, le organizzazioni umanitarie assistono al dispendio di colleghi e partner sotto i loro occhi”.
Due mesi dopo l’attuazione del programma controllato di aiuti da parte di Israele, che utilizza la Fondazione Umanitaria di Gaza, dal nome grottesco, più di 100 organizzazioni “hanno lanciato l’allarme e sollecitato i governi ad agire: fate aprire tutti i valichi di frontiera, ripristinare il pieno flusso di cibo, acqua pulita, forniture mediche, ricoveri e carburante tramite un meccanismo secondo i principi e la guida dalle Nazioni Unite; fate porre fine all’assedio e accettare subito un cessate il fuoco”.
Fuori da Gaza, e persino all’interno della Striscia, abbondanti scorte di cibo, acqua pulita, forniture mediche, alloggi e carburante giacciono intatte. Alle organizzazioni umanitarie viene impedito di accedervi. “Le restrizioni, i ritardi e la frammentazione del governo israeliano sotto il suo assedio totale hanno creato caos, fame e morte”. Solo un misero numero di 28 camion al giorno viene autorizzata a entrare nella Striscia.
Viene descritto il sangue che lo caratterizza: i massacri nei siti di approvvigionamento alimentare nella Striscia di Gaza sono impossibili da ignorare; i dati delle assedio totale suggeriscono che, al 13 luglio, 875 palestinesi siano stati massacrati mentre cercavano sostentamento. La frequenza di questi “massacri per la farina” è oggetto di commenti anche da parte degli stessi addetti all’operazione gestita dalla GHF (Gaza Humanitarian Foundation), gestita da appaltatori privati e dalle IDF. L’ufficiale in pensione delle forze speciali statunitensi Anthony Aguilar, che si è dimesso dal suo incarico per la GHF, ha dichiarato alla BBC di aver “visto i militari Israeliani sparare contro folle di palestinesi”. In tutta la sua carriera, non aveva mai visto una tale “brutalità e un uso indiscriminato e inutile della forza contro una popolazione civile, una popolazione disarmata e famelica”.
Le dichiarazioni della ONG proseguono sottolineando l’aumento dei casi di malnutrizione acuta, più diffusi tra i bambini e gli anziani. (Il Programma Alimentare Mondiale ha avvertito che un abitante di Gaza su tre non mangia per giorni interi, con 90.000 donne e bambini che necessitano di cure). “Malattie come la diarrea acquosa acuta si stanno diffondendo, i mercati sono vuoti, i rifiuti si accumulano e gli adulti crollano per strada a causa della fame e della disidratazione”.
Davanti a questo sfacelo, i decreti del diritto internazionale appaiono come templi dimenticati in terre lontane. Le tre serie di ordinanze di misure provvisorie della Corte Internazionale di Giustizia, emesse dal 2024, hanno ammonito Israele a rispettare i propri obblighi ai sensi della Convenzione ONU sul Genocidio e ad affrontare la crisi umanitaria nella Striscia. Nella sua ordinanza modificativa delle misure provvisorie emessa il 28 marzo 2024, la Corte Internazionale di Giustizia ha intimato a Israele di “adottare provvedimenti immediati ed efficaci per consentire la fornitura di urgenti servizi di base e l’assistenza umanitaria per affrontare la carestia e le avverse condizioni di vita subite dai palestinesi a Gaza”. Queste includono la fornitura di “cibo, acqua, elettricità , carburante, alloggi, vestiario, servizi igienici e igienico-sanitari, nonché forniture e assistenza medica” e “l’aumento della capacità di transito dei valichi di frontiera terrestri e il loro mantenimento aperto per tutto il tempo necessario”.
L’ultima concessione di Israele per affrontare questa accuratamente progettata catastrofe umanitaria è la promessa di aprire corridoi filantropici per consentire ai convogli ONU di entrare nella Striscia. Inoltre, il COGAT (Coordinatore delle Attività Governative nei Territori), l’agenzia militare israeliana che sovrintende agli affari umanitari a Gaza, ha annunciato che alla Giordania e agli Emirati Arabi Uniti sarà consentito paracadutare aiuti umanitari a Gaza. Il Primo Ministro britannico Sir Keir Starmer ha messo a disposizione una piccola squadra di strateghi ed esperti militari britannici per assistere la Giordania in questa impresa. Il 27 luglio, anche le IDF hanno rilasciato una dichiarazione in cui affermavano di aver effettuato il primo lancio di aiuti, che includeva ben “sette casse di aiuti contenenti farina, zucchero e cibo in scatola”.
Questi sforzi, nella loro futilità concreta, sono una ripetizione dei lanci di aiuti umanitari effettuati dall’esercito statunitense e dall’aeronautica giordana nel marzo dello scorso anno. Lanci che faranno ben poco per modificare il crudele e soffocante modello di distribuzione degli aiuti attualmente in vigore, che oltretutto incoraggerà solo i più forti e capaci a prevalere sugli altri. Questi destinatari saranno anche fortunati a non essere feriti o uccisi dai pacchi lanciati, come nel caso di quelli registrati nel marzo dello scorso anno. “Perché usare i lanci aerei”, si chiede Juliette Touma, portavoce capo dell’agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati palestinesi, “quando si possono guidare centinaia di camion attraverso i confini?”. Usare i camion è “molto più semplice, più efficace, più veloce, più economico”. Ma è proprio per questo che il loro utilizzo è così poco attraente per le IDF.
Invece di concentrarsi sull’isolamento di Israele, i suoi alleati preferiscono approcci frammentari che prolungano le sofferenze dei palestinesi. Misure come quella annunciata da Starmer di “evacuare da Gaza i bambini che necessitano di assistenza ospedaliera, portandoli nel Regno Unito per cure specialistiche e mediche” servono solo a incoraggiare la macchina da guerra israeliana. Gli aiuti umanitari dall’aria servono allo stesso scopo. L’obiettivo è infliggere un livello di danno tale da incoraggiare lo sfollamento dell’enclave. Ma in tal modo gli alleati di Israele, con la loro complicità intenzionale o forse involontaria, faranno finalmente piazza pulita.
Binoy Kampmark, Redattore di CounterPunch e editorialista di The Mandarin.
