
Alastair Crooke, conflictsforum.substack.com, 31 luglio 2025 — Traduzione a cura di Old Hunter
Un presidente degli Stati Uniti, tormentato dalla storia di Epstein che si rifiuta di arrendersi e morire, e sotto la pressione dei falchi interni a causa di un’Ucraina visibilmente al collasso, ha scatenato una valanga di minacce geopolitiche a tutto campo. In primo luogo e principalmente contro la Russia, ma in secondo luogo contro l’Iran:
“L’Iran è così cattivo, sono così cattivi nelle loro dichiarazioni. Sono stati colpiti. Non possiamo permettere loro di avere armi nucleari. Continuano a parlare di arricchimento dell’uranio. Chi parla così? È così stupido. Non lo permetteremo”.
Un’escalation con la Russia è chiaramente in vista (in una forma o nell’altra), ma Trump ha anche minacciato di attaccare i siti nucleari iraniani, di nuovo. Se lo facesse, si tratterebbe di un “gesto politico” completamente estraneo alla realtà dell’attuale situazione iraniana.
Un ulteriore attacco verrebbe presentato come un ostacolo, o addirittura un arresto definitivo, della capacità dell’Iran di assemblare un’arma nucleare.
E questa sarebbe una bugia.
Theodore Postol, professore emerito di scienza, tecnologia e sicurezza internazionale al MIT, considerato il massimo esperto statunitense di armi nucleari e dei loro sistemi di lancio, solleva tuttavia alcuni punti tecnici controintuitivi che, se tradotti politicamente (lo scopo di questo articolo), indicano chiaramente che un ulteriore attacco ai tre siti nucleari colpiti dagli Stati Uniti il 22 giugno sarebbe inutile.
Sarebbe inutile in termini di obiettivo apparente di Trump, eppure un attacco potrebbe comunque avvenire, anche se come una pièce teatrale progettata per facilitare altri obiettivi diversi, come un tentativo di “cambio di regime” e promuovere le ambizioni egemoniche di Israele nella regione.
In parole povere, la convincente argomentazione del professor Postol è che l’Iran non ha bisogno di ricostruire il suo precedente programma nucleare per costruire una bomba. Quell’era è finita. Sia gli Stati Uniti che Israele credono, a ragione, afferma Postol, che la maggior parte delle scorte iraniane di uranio altamente arricchito (HEU) sia sopravvissuta all’attacco e sia accessibile:
“I tunnel di Isfahan sono profondi, così profondi che gli Stati Uniti non hanno nemmeno provato a farli crollare con i bunker buster. Supponendo che il materiale non sia stato spostato, ora giace intatto nei tunnel. L’Iran ha sbloccato l’ingresso di un tunnel a Isfahan entro una settimana dall’attacco”.
In breve, l’attacco statunitense non ha fatto regredire il programma iraniano di anni. È altamente probabile che la maggior parte dell’uranio altamente arricchito dell’Iran sia sopravvissuta agli attacchi, stima Postol.
L’AIEA afferma che l’Iran, al momento dell’attacco, aveva 408 kg di HEU al 60%. Probabilmente è stato rimosso dall’Iran prima dell’attacco di Trump, e Postol ha affermato che potrebbe essere facilmente trasportato sul retro di un pick-up (“o persino su un carretto trainato da un asino!”). Ma il punto è che nessuno sa dove si trovi quell’HEU. E quasi certamente è accessibile.
L’argomentazione chiave del professor Postol (che evita di trarre implicazioni politiche) è il paradosso secondo cui più l’uranio è arricchito, più facile diventa l’ulteriore arricchimento. Di conseguenza, l’Iran potrebbe accontentarsi di un impianto di centrifugazione molto più piccolo – sì, molto, molto più piccolo degli impianti su scala industriale di Fordow o Natanz (progettati per ospitare rispettivamente migliaia e decine di migliaia di centrifughe).
Postol ha elaborato lo schema tecnico per una cascata di 174 centrifughe che richiederebbe all’Iran solo 4-5 settimane per ottenere uranio di qualità militare (come gas esafluoruro arricchito) sufficiente per una bomba. Nel 2023, l’AIEA ha trovato particelle di uranio arricchite all’83,7% (di qualità militare). Si è trattato probabilmente di un esercizio sperimentale per dimostrare a sé stessi di poterlo fare quando e come volevano, suggerisce il professor Postol.
La dimostrazione a cascata di Postol intendeva sottolineare il punto (la “storia segreta dell’arricchimento”): con il 60% di HEU, non occorre quasi nessuno sforzo di arricchimento per raggiungere l’83,7%.
Ciò che potrebbe essere ancora più scioccante per l’osservatore non tecnico è che Postol ha ulteriormente dimostrato che una cascata di 174 centrifughe potrebbe essere installata in uno spazio di soli 60 metri quadrati, ovvero la superficie di un qualsiasi modesto appartamento di città, e richiederebbe, come potenza in ingresso, solo poche decine di kilowatt.
In breve, alcuni di questi piccoli impianti di arricchimento potrebbero essere nascosti ovunque in un vasto paese: aghi in un grande pagliaio. Persino la conversione dell’uranio in uranio metallico 235 sarebbe un’operazione di piccole dimensioni, che potrebbe essere eseguita in un impianto di 120-150 metri quadrati.
In un’altra analisi dei luoghi comuni che circondano la realtà iraniana, costruire una bomba atomica sferica non richiede più di 14 kg di uranio metallico 235, circondato da un riflettore. “Non è alta tecnologia; è roba da capanno da giardino”. Basta assemblare i pezzi; non servono test. Postol afferma: “Little Boy” è stato sganciato su Hiroshima. Senza molti test; è sbagliato pensare che ne servano.
Ecco un altro slogan! “Sapremmo se l’Iran avesse adottato la capacità bellica, perché potremmo rilevare sismicamente qualsiasi test di un’arma”.
Una piccola bomba atomica di questa natura peserebbe solo 150 kg. (Le testate di alcuni missili iraniani lanciati su Israele nel corso della guerra durata 12 giorni, per fare un paragone, pesavano tra i 460 e i 500 kg).
Ted Postol si guarda bene dal specificare le implicazioni politiche. Eppure sono assolutamente chiare: non ha senso un altro giro di bombardamenti su Fordow, Natanz e Isfahan. L’uccello se n’è andato. I pollai sono vuoti.
Il professor Postol, in qualità di massimo esperto tecnico in materia nucleare, fornisce informazioni al Pentagono e al Congresso. Conosce il Direttore dell’Intelligence Nazionale, Tulsi Gabbard, e a quanto pare l’ha informata prima dell’attacco di Trump a Fordow del 22 giugno, sostenendo che gli Stati Uniti probabilmente non sarebbero stati in grado di distruggere la sala centrifuga sotterranea di Fordow. (Altri funzionari del Pentagono avrebbero espresso disaccordo).
Sappiamo che gli Stati Uniti non hanno nemmeno provato a far crollare i tunnel sotto Isfahan con i bunker buster, ma si sono accontentati di bloccare i vari ingressi dei tunnel verso Isfahan utilizzando armi convenzionali (come i vecchi missili Tomahawk, lanciati da sottomarini).
Ripetere l’esercitazione del 22 giugno sarebbe puro teatrino, privo di qualsiasi obiettivo concreto e fondato sulla realtà. Allora perché Trump dovrebbe ancora prenderla in considerazione? Durante la sua recente visita in Scozia, ha dichiarato ai giornalisti che l’Iran sta inviando “segnali sgradevoli” e che qualsiasi tentativo di riavviare il suo programma nucleare verrebbe immediatamente represso:
“Abbiamo annientato le loro possibilità nucleari. Possono ricominciare. Se lo fanno, le elimineremo più velocemente di quanto possiate fare con un dito”.
Ci sono diverse possibilità: Trump potrebbe sperare che un ulteriore attacco possa finalmente – secondo la sua stima e quella di altri – provocare la caduta del governo iraniano. Potrebbe istintivamente rifuggire da una escalation cinetica contro la Russia, temendo che il conflitto possa sfuggire al controllo. E potrebbe successivamente concludere che potrebbe, più facilmente, spacciare un attacco all’Iran per una dimostrazione di “forza” degli Stati Uniti – ovvero spacciarlo, a prescindere dalla verità, come un’altra affermazione “cancellata”.
Alla fine, potrebbe pensare di farlo, convinto che Israele ne abbia disperatamente bisogno e voglia farlo.
Quest’ultima sembra la motivazione più probabile. Tuttavia, il più grande cambiamento dell’attuale era geostrategica è stata la rivoluzione in termini di precisione dei sistemi balistici e ipersonici russi e iraniani, che distruggono con precisione un bersaglio con danni collaterali trascurabili – e che l’Occidente sostanzialmente non riesce a fermare.
Questo cambia l’intero calcolo geostrategico, soprattutto per Israele. Un ulteriore attacco all’Iran, lungi dall’avvantaggiare Israele, potrebbe scatenare una devastante risposta missilistica iraniana contro Israele.
Il resto, le narrazioni di Trump, sono teatrino: un simulacro di Potemkin a sostegno di Israele, mentre il vero obiettivo di fondo è quello di far crollare e balcanizzare l’Iran, e indebolire la Russia.
Un colonnello israeliano ha detto a Netanyahu (riporta Postol) che attaccando l’Iran “probabilmente ci ritroveremo tra le mani uno Stato armato”. Tulsi Gabbard ha probabilmente detto le stesse parole a Trump.
Il professor Postol concorda. L’Iran deve essere considerato uno Stato non dichiarato dotato di armi nucleari, sebbene il suo status esatto sia accuratamente occultato.

[…] Fuente tomada: Giubbe Rosse News […]