Il 2024 bussa alla porta. Ecco i nostri “buoni” propositi. Continuiamo a ragionare di tante cose. Ma l’arte, per favore, lasciamola fuori. Serietà, o ironia? Leggete l’articolo se vi va. E buon anno!

Per il progetto che stiamo sviluppando, un documentario sui giovani, per ridare voce ai giovani, con i giovani che saranno gli unici protagonisti, stiamo ascoltando diverse voci. Il tema centrale sono “le cose di cui non si può parlare”, un tema che emerge con prepotenza anche in seguito a quanto accaduto negli ultimi quattro anni. Per andare a fondo, per scoprire quali sono le cose che veramente restano sempre nell’ombra, quelle che nessuno ha voluto veramente ascoltare, quelle personali, intime, quelle che si sono strette ad un vissuto e non si fermano ad un’analisi corticale della realtà, della società.

Negli anni abbiamo noi stessi maturato un’idea abbastanza precisa di quali temi, di quali linguaggi restino sempre accantonati in un angolo dove nessuno ha interesse a puntare una luce. E quando diciamo nessuno, intendiamo esattamente nessuno. Non può che stupirci, in positivo, quando alcune di queste cose le notano i giovani, talvolta giovanissimi.

Pochi giorni fa abbiamo fatto una bellissima chiacchierata con una ragazza, una studentessa d’arte, poco più che ventenne, che in questi anni “pandemici” è stata in prima linea nella battaglia per la giustizia, contro i soprusi del potere. Riguardo a ciò di cui non si può parlare, la sua prima risposta, immediata, come se avesse le parole conficcate dentro e aspettasse finalmente qualcuno che le desse l’occasione di toglierle, è stata: «non si può parlare di arte». Ma badate bene. Si riferiva espressamente a quel variegato e vasto “mondo del dissenso”, se così possiamo definirlo. Non se ne può parlare nel senso che non si ritiene che l’arte debba avere un ruolo di primaria importanza, non si ritiene che essa possa e debba costruire visioni, che lei più di ogni altra forma, possa e debba leggere la realtà da un punto di vista più alto, rompendo la cornice dove tutt’al più possiamo trovare fazioni che si contrastano frontalmente. Che essa non vada solo fatta ma su essa si debba riflettere per comprendere come restaurarla, come ridarle dignità e forza e sostegno per incontrare un pubblico che cerca, in fondo a se stesso, risposte ben più grandi di quelle che riceve dalle sole informazioni.

La sua risposta, che poi si è esplicitata nel proseguo della chiacchierata, ci confermava nel fatto che ci si è voluti fermare alla crosta del problema; sembra che si abbia, tutti, paura di guardare più a fondo, di andare alle cause prime, di guardare in faccia la crisi del nostro tempo per quella che è veramente: una crisi totale, radicale, e ormai pressoché terminale essendo una crisi che ha origini molto lontane.

Non usiamo giri di parole: il nostro è un mondo totalmente anti-metafisico e quindi anti-tradizionale. Servirebbe molto spazio e molto tempo che qui non abbiamo, per esplicitare tale affermazione e chiarirne nei dettagli il senso. Lo abbiamo fatto attraverso i tanti scritti e interviste che si possono trovare in rete. Chi volesse approfondire può cercare.

Noi, anche quando crediamo di criticare la modernità, lo facciamo usando le stesse categorie del mondo moderno. Ma non ce ne accorgiamo. Come ci si libera da tali categorie? Non basta aver letto un articolo, certo. Ma intanto bisogna volerlo. Volerlo davvero.

Qui allora possiamo fare alcuni brevi esempi, mettere dei piccoli segni sulla via.

L’arte – non importa di che qualità e forma – è ovunque nelle nostre vite. Musica esce dagli altoparlanti di ogni negozio, supermercato, locale. Quadri, stampe, fotografie d’autore sono appese alle parteti delle nostre case, degli uffici. Video, dipinti scorrono sulle pagine dei social che apriamo continuamente. Film e serie Tv possono essere guardati su ogni dispositivo a qualsiasi ora del giorno. L’arte è ovunque eppure non ci mettiamo l’attenzione. Proviamo a fare un esercizio: immaginare che tutto ciò scompaia, di colpo. Ecco, si impadronirebbe di noi un terribile vuoto. Ma forse non lo ammetteremmo. Mai. Perché? Perché l’arte è per troppi di noi semplice intrattenimento, un accessorio a cui non diamo troppo peso.

Ma allora ci interessa davvero l’arte?

Ci interessa dare il nostro contributo perché si realizzi vera arte? Perché si diffonda e si promuova vera arte?

E noi pensiamo davvero di comprendere cosa sia la vera arte e di che arte ha bisogno questa umanità?

Farsi tali domande significa domandarsi se l’immateriale ha per noi più valore del materiale. Abbiamo il coraggio di farcele queste domande?

L’arte – quella vera – è visione capace di oltrepassare la cornice nella quale si ingolfano tutte le analisi e le riflessioni che quotidianamente ingurgitiamo. Ma noi vogliamo davvero scoprire cosa vi sia al di là della cornice? Vogliamo davvero andare alle radici della crisi del nostro mondo? Vogliamo davvero recuperare il senso profondo del linguaggio artistico che è evocazione di realtà superiori? O preferiamo restare sul piano delle analisi, dell’evidenza fisica, dell’immediatezza.

Vogliamo continuare a credere che il problema siano i singoli artisti, o al massimo il “mondo dell’arte”, così come crediamo che il problema siano i singoli medici, i singoli giudici, e così via? O, recuperando finalmente una visione tradizionale, accettiamo di riconoscere che il problema è dell’arte, ed essendo l’arte emanazione di un corpo sociale, la sua crisi profonda ci parla della crisi dell’intera società, del nostro modo di vivere? Di tutti noi?

«Io non mi trovo in una posizione avversa al mio tempo, ma allo spirito del mio tempo» scriveva il grande scrittore e pensatore Vintilia Horia. Forse che noi invece vogliamo essere solo avversi alla “compagine opposta”?

Queste sono alcune domande che vorremmo lanciare per il 2024. Perché sia un anno che possa portare finalmente la riflessione più in là. Ci auguriamo molto più in là. E che si comprenda che siamo chiamati a costruire vita e non a lamentarci sui social.

Noi, da parte nostra, stiamo cercando di dare un contributo non solo attraverso scritti e riflessioni, ma anche cercando di fare arte, attivamente. E cercando di radunare altri artisti desiderosi di fare altrettanto. Non banalmente arte “contro”, arte di denuncia, arte non ideologizzata, arte “con i valori”. Perché questa non è affatto arte. Arte libera e totalmente indipendente. Arte che sappia osare davvero, oltre la stagnazione che ci avvolge tutti. Semplicemente arte.

A tutti gli altri, a qualunque “cortile” appartengano, lasciamo pur esclamare: parliamo di tutto, ma non di arte, vi prego!

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