Orientamento a scuola: il curriculum e la lettera di presentazione come ulteriori segni della “naturale” necessità di conformarsi allo spirito di questo tempo. Una riflessione che oltrepassa i confini sociologici e chiama alla responsabilità personale. Per chi vuole andare oltre le sole critiche.

Il lavoro è tema difficile da trattare perché l’uomo contemporaneo ne ha un’idea alquanto limitata e distorta. Egli lo ritiene classificabile unicamente nell’ambito dell’economia e quindi gli conferisce un valore materiale o al più psicologico di realizzazione personale e di costruzione di un’identità, anche sociale. Se però recuperassimo la Sapienza Tradizionale e volgessimo lo sguardo alle civiltà del passato vedremmo chiaramente come l’essenza del lavoro è in realtà metafisica, avendo esso una duplice caratteristica: da un lato lo sviluppo completo e armonioso della personalità dell’individuo – quindi un carattere iniziatico – e dall’altro il rappresentare il continuamento dell’opera della Creazione Divina.

Sappiamo bene come certi discorsi possano far sorridere gli sciocchi e gli ignoranti, anche perché sono, ahinoi, quasi del tutto sconosciuti. Nessuno ne parla e nessuno pare disposto ad ascoltare. Eppure basterebbe studiare, se lo si vuole davvero! Ma se abbandoniamo ogni resistenza e paura intellettuale, non sarà facile comprendere come proprio l’aver disconosciuto lungo i secoli la reale natura spirituale del lavoro abbia portato alle degenerazioni, o meglio alle perversioni, della nostra epoca.

Oggi, non solo la dignità del lavoro, e quindi della persona, viene quotidianamente calpestata nella pratica, ma si è facilmente plasmata la mente degli uomini affinché accettino questa idea del lavoro, e questa soltanto. È stato un processo lungo e per lo più attuato in maniera sottile, ma negli ultimissimi tempi, avendo il terreno ben spianato, l’indottrinamento si è fatto più plateale, nei riguardi soprattutto delle nuove generazioni.

Prendiamo un esempio recentissimo. In quest’ultimo anno scolastico è stato introdotto nelle scuole superiori il “meraviglioso” progetto di Orientamento. Orientamento a cosa, non hanno la decenza di esplicitarlo. Ma nei fatti è chiarissimo. “Esperti” guidano i ragazzi alla scelta dei percorsi formativi e lavorativi mostrando anche come si debba compilare un curriculum o la famigerata “lettera di presentazione” da inviare ad un’azienda. E gli esempi di candidatura immaginano molto spesso scenari in cui ci si candida per aziende particolarmente grosse, talvolta multinazionali. Già qui bisognerebbe leggere tra le righe.

Nella lettera – insegnano gli esperti – è necessario riprendere le parole o espressioni chiave che sono presenti nell’annuncio di lavoro, così da mostrare subito che non solo si è compreso bene quali caratteristiche sono ricercate e che si dichiara di possederle tutte, ma anche, sottilmente, per denotare un senso di accettazione implicita, di deferenza. E, cosa più importante (sic), per non rischiare di venire subito scartati. Eh, già, perché ora la prima sfoltitura delle candidature viene fatta da un programma che individua la presenza o meno proprio di tali espressioni. “Le aziende non hanno tempo da perdere!”, insegnano.

La lettera deve inoltre rispettare una determinata struttura generale “in tre atti”, per così dire: Tu, Io, Noi. Si inizia la lettera rivolgendoti all’azienda, mostrando quanto si è onorati di poter lavorare con loro, ma senza eccedere in lusinghe. Adulazione sì, ma mascherata. Poi si passa all’Io, e quindi a descrivere perché il candidato è adatto per quel ruolo dicendo che si possiedono tutte le competenze che vengono richieste. Infine il Noi: come il candidato potrebbe contribuire alla crescita dell’azienda e come essi lavoreranno bene assieme.

Sia col curriculum che con la lettera, l’obiettivo è “farsi ricordare” perché bisogna puntare a raggiungere il colloquio orale. La spregiudicatezza dentro però il recinto delle “regole”.

Si potrebbe ancora approfondire, ma è sufficiente quanto sopra esposto per delineare la riflessione che proponiamo. Moltissimi in verità non ci troverebbero nulla di strano, anzi, in questa modalità e sul fatto che venga insegnata ai ragazzi fin dalle scuole. Altri manifesterebbero perplessità o critiche, ma alla fine direbbero che un lavoro lo si deve pur fare e quindi non ha senso fare battaglie su questo, mentre ci sono cose assai più importanti. Arriveranno tempi migliori in cui “dall’alto” verranno rimesse a posto le cose. Cosa significhi poi questo “a posto” nessuno però lo dice con precisione.

Entrambe le posizioni hanno però un minimo comune denominatore, ovvero la visione materialistica del lavoro, quindi della società e dell’uomo, a cui abbiamo accennato all’inizio. Accettata tale cornice ci si può anche scontrare su fronti avversi, ma si dimostra di essere interamente permeati delle categorie mentali della modernità.

La vera liberazione dal conformismo passa proprio da qui, dal recupero di una visione e di un pensiero che oltrepassa le strettoie moderne. Se torniamo a vedere che l’uomo, nella vita, deve riconoscere e rispondere ad una personale vocazione, se torniamo a vedere il lavoro come strumento in cui realizzare tale vocazione, allora lo stato attuale delle cose ci apparirà come un sovvertimento totale a cui ciascuno è chiamato a contrapporre una diversa visione. Ciascuno, nelle piccole e grandi cose della sua vita, senza aspettare “miracoli” dall’alto e senza l’obiettivo di trovare soluzioni. Proprio perché, fuori dalla mentalità materialista moderna, ognuno sa di essere chiamato in prima persona. E ciò che conterà alla fine è solo se avrà cercato di rispondere a tale chiamata. Al di là dei risultati visibili e concreti. Perché questo è non essere materialisti.

La libertà si associa quindi ad una naturale dose di rischio, commisurato alle particolari situazioni. Anche nel “piccolo” rischio di scrivere una lettera di presentazione “non conforme”. O dalla parte del datore di lavoro, nell’assumere nuovi collaboratori non rispettando le “regole” scritte e anche quelle non scritte. Guardando le persone per ciò che sono veramente e per quelle che sono le loro reali inclinazioni.

Utopia, idealismo, direbbero i più? No, molto più semplicemente il tornare ad assumersi la responsabilità personale, quella che ci chiede di divenire costruttori di vita, anche accettando il sacrificio, se necessario.

Condividiamo con voi un “piccolo rischio” che ci prendemmo diversi anni fa, inviando una lettera di presentazione senz’altro fuori dal comune, ad una rivista per cui ci proponevamo come articolisti. Loro dimostrarono anche un genuino senso dell’umorismo e ci accolsero. Ma l’esito non ci deve interessare più di tanto.

Quello che suggeriamo è il coltivare la bellezza del rischio, del non guardare la vita nella sua piatta orizzontalità. È il guardare, il pensare ed agire fuori dalla cornice.

Alla cortese attenzione della Redazione

Salutandovi cordialmente, ci permettiamo di introdurci, senza tuttavia ambire a strappare il vostro plauso e consenso ad ogni costo, come vorrebbe la “buona regola” di questa società dove bisogna piacere per non sparire.

Mentre ci allontanavamo dalle secche della psicologia empirica – a cui ci si era accostati più per “reazione” che per intimo assenso, debolezze di gioventù! – incontrammo il Cinema; per caso direbbero molti, ma noi sappiamo bene che il caso non esiste. E in quell’improvviso spostamento dell’asse individuale, sempre le mani benevole del Fato ci condussero dinanzi ad uno di quei Maestri nascosti che si aggirano su questa terra “ultima”. Venimmo così iniziati alla severa arte della Metapolitica, che altro non è se non “Escatologia in atto”. La vita insegnerà poi che proprio a coloro che si sono messi in cammino vengono inviate “prove” del tutto speciali, per guidarli alla meta finale. Non lo si era inteso all’inizio, ma ora è del tutto chiaro.

La società moderna, o per meglio dire “il più perfetto regno della sovversione” impedisce per sua intrinseca natura che gli uomini occupino il posto a cui sono chiamati, salvo eccezioni. Il caos sgretola l’uomo e le sue relazioni.

Fin dalla giovinezza avvertivamo questo “sfasamento”, a cui ovviamente non riuscivamo a dare volto e nome. Le cose si sarebbero schiarite nel tempo, attraverso anni e “prove di fuoco”. Il carattere, oscillante fra il melanconico e l’impulsivo, tra il meditativo e l’ardito, si andava componendo, non senza strappi dolorosi.

Oggi scriviamo e creiamo per questo e nient’altro. Poiché si è vigili non solo se si tengono gli occhi ben aperti, ma anche se si impasta la terra per dare inizio alla costruzione: se si crea, appunto. Questo è un mondo che manca completamente di Poesia (la Bocca di Dio, secondo una più profonda e inedita etimologia), manca perciò di Verità, la quale si cinge sempre col velo del Mistero.

E se si scruta e penetra nelle fessure della Politica, platonicamente intesa, come della Pedagogia, della Spiritualità e da ultima – ma forse in cima alla piramide – dell’Arte, ridotta oggi a spettro questuante dietro alle più moderne ideologie, lo si fa solo perché ci si è prima purificati nel silenzio e non si è più così lontani dalla vetta dove ogni cosa si fa chiara e le ombre sbiadiscono. Nulla muta, sia che le nostre parole prendano forma di versi, racconti, sceneggiature o brevi saggi.

Pertanto, vi diciamo che se vi accontentate di qualcuno che riempie bocca e pagine con parole gravi e nobili come “tradizione”, “identità”, o “eterni principi” e quant’altro appaia oggi assolutamente controcorrente, ma non opera nella medesima direzione, allora non guardate a noi come un possibile collaboratore.

Se strizzate l’occhio a chi si ritiene, e viene ufficialmente confermato come cristianissimo, ma in fondo è solo un benpensante e una “brava persona”, allora non vi chiederemo di firmare alcuno dei vostri spazi.

Se cercate qualcuno che si duole e tuona contro questi tempi sovversivi, ma poi si mette in fila davanti alla gabbia della società, perché ha paura di non vedere mai la propria pensione, allora volgete lo sguardo altrove.

Vi porgiamo queste righe senza presunzione, ma solo armati di fraterna parresia, confidando di avere una possibilità di prestare umile servizio per il vostro giornale.

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