“Holly” di Stephen King è uno dei primi romanzi ambientati in massima parte durante la pandemia. Da esso traspare lucidamente l’adesione incondizionata dell’autore per la narrativa ufficiale. La protagonista ed eroina è vaccinata con due dosi di Moderna, porta sempre la mascherina, talora addirittura i guanti, osserva scrupolosamente le regole di distanziamento. Il suo collega Pete svolge il ruolo di vaccinato contagiato in quarantena, ma si salva grazie alla vaccinazione. La madre di Holly, no-vax, ammiratrice di Trump, muore di covid. Una delusione, forse, per chi ha ammirato King in gioventù. Una conferma per chi pensa che King sia quello che ai due burloni russi Vovan e Lexus disse che “Stepan Bandera era un grande uomo”, ammettendo poi di non sapere nemmeno chi fosse Bandera[1].

La pandemia è forse troppo recente e, anche a causa del processo complessivo di cambiamento del nostro mondo, del quale essa è stata tra i fattori determinanti, ancora non ce ne siamo abbastanza distaccati, tanto da oggettivarla in narrazioni cinematografiche o romanzesche che siano. Quasi impossibile di fatto trovare film o libri nei quali siano presenti in maniera significativa il covid, le mascherine, i vaccini e via dicendo.

Una notevole eccezione è il recente romanzo di Stephen King intitolato Holly, la cui narrazione si colloca in massima parte in piena pandemia. La protagonista, eroina della vicenda, è vaccinata con due dosi di Moderna e porta sempre la mascherina, talora anche i guanti e osserva scrupolosamente le regole di protezione e distanziamento. Il suo collega Pete svolge il ruolo di vaccinato contagiato in quarantena, che tuttavia implicitamente evita le conseguenze più gravi grazie alla vaccinazione, al contrario della madre di Holly, novax e – manco a dirlo – ammiratrice di Trump, che all’inizio del libro muore di covid. King è noto per essere maestro dell’orrore, e stavolta l’orrore si manifesta sotto forma di una coppia di anziani professori ormai pensionati che si dedicano al cannibalismo, convinti che consumare carne umana li preservi giovani e sani. I due abbastanza prevedibilmente non sono vaccinati, e soprattutto sono, tra le tante caratteristiche disgustose, anche razzisti e omofobi. Apprezzabile che King nella postfazione riconosca esplicitamente di aver dato forma tramite la figura della protagonista alle sue personali convinzioni. A parziale scusante, osserva che – essendo lei lievemente ipocondriaca – gli pare di aver fatto le giuste scelte presentando un personaggio plausibile. Tuttavia, la narrazione si spinge molto oltre, finendo per contrapporre più o meno tutti i personaggi positivi identificati come rispettosi, osservanti delle regole, inclusivi e ovviamente vaccinati e mascherinati, a più o meno tutti i personaggi in vario modo negativi descritti con tratti più o meno marcati anti-sistema, razzisti e omofobi spesso inconsapevoli, riottosi all’uso della mascherina e di regola non vaccinati. E non infrequentemente sostenitori di Trump.

Da ragazzino mi appassionai ai primi successi di Stephen King, e dopo molti anni in tempi recenti mi sono riavvicinato alla sua narrativa, scritta con stile piacevole e accattivante, scorrevole e mai banale. Non sorprende, dunque, che uno scrittore di tale levatura abbia ritenuto di potersi cimentare con una vicenda ancora così attuale e peraltro divisiva quanto altre mai, come appunto il covid e i suoi addentellati. Per certi versi sorprende, invece, che lo abbia fatto in maniera partigiana, schierandosi apertamente a favore di una lettura degli eventi che oltre tutto oggi sta venendo progressivamente confutata. E questo mi spiace, visto anche l’apprezzamento che da ragazzino gli ho riservato. Una valutazione distaccata del suo atteggiamento potrebbe, forse, tuttavia aiutare a comprendere i condizionamenti sociali e culturali che dagli Stati Uniti si sono diffusi nel resto del mondo, noi compresi, e che hanno determinato gli anni critici della pandemia. Leggendo il libro, mi sono ritrovato a rivivere le medesime sensazioni del 2021, a partire dal senso di paura e di incertezza su cosa fosse giusto fare. Questa forse è la giusta conclusione dell’analisi: nemmeno Stephen King ha ancora adeguatamente elaborato la vicenda e non si è sufficientemente (e comprensibilmente) distaccato da essa da trattarne in maniera oggettiva. Ad esempio, è del tutto assente nella narrazione il tema degli effetti avversi da vaccino, tuttora rimosso anche nell’ordinaria discussione quotidiana. In tal senso, il libro è un fedele ritratto dei tempi in cui la trama si colloca. Attenzione solo al suo potenziale, certo non secondario, di consolidamento di una certa narrazione di parte. Film e – in misura minore, vista la calante propensione alla lettura – romanzi hanno nella nostra epoca un ruolo determinante nel consolidare una determinata visione collettiva dei fatti.

È anzi per certi versi sorprendente che ancora non siano comparsi film implicitamente a favore delle politiche imposte durante la pandemia. Hollywood giocò ai tempi un ruolo cruciale nel definire la narrazione della Seconda guerra mondiale e dell’ordine globale che ne seguì per noi occidentali euroatlantici, e sta facendo lo stesso sui temi dei cosiddetti “diritti civili”. Se non accadesse lo stesso per la pandemia, ci sarebbe da interrogarsi sul perché.

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