Di Pepe Escobar per The Cradle – traduzione a cura di Old Hunter

Il primo ministro iracheno ha ospitato una conferenza unica a Baghdad durante la marcia di Arbaeen, a cui hanno partecipato 21 milioni di persone, collegando l’assassinio dell’Imam Hussain, avvenuto a Karbala nel settimo secolo, all’attuale genocidio dei palestinesi da parte di Israele.

BAGHDAD e KARBALA – Oggi arrivare a Baghdad dà una scossa elettrica a qualsiasi visitatore che ricordi la recente e cupa storia irachena. Non ci sono praticamente posti di blocco, a parte le aree governative sensibili. Nessuno di quegli spaventosi blocchi di cemento risalenti all’epoca dell’occupazione americana, che obbligavano a uno slalom lento ogni pochi minuti. Nessun senso di imprevedibile pericolo che possa colpire ad ogni momento. Un verde lussureggiante prospera in tutta la capitale. Haifa Street è stata ricostruita praticamente da zero. Un commercio vivace e mai fermo di Karrada a un complesso di ristoranti lungo il Tigri chiamato (molto appropriatamente) Le Mille e una notte.

Dopo oltre tre decenni di orrori indicibili inflitti alla culla della civiltà, per la prima volta Baghdad trasuda un senso di normalità. Questo ha molto a che fare con la nuova amministrazione, guidata dal Primo Ministro Mohammed Shia al-Sudani, al potere da poco più di due anni. La scorsa settimana, l’ufficio del Primo Ministro ha sponsorizzato una conferenza unica intitolata The Road to Al-Aqsa Flood, a cui ha invitato blogger e influencer popolari dal mondo arabo (Palestina, Kuwait, Giordania, Sudan e Libano, tra gli altri) e solo pochi occidentali. I blogger erano tutti giovani; la maggior parte non era mai stata in Iraq e perciò non aveva ricordi dello Shock and Awe e dell’occupazione, forse un vago ricordo degli anni dell’ISIS. Erano tutti sbalorditi dall’ospitalità, dal dinamismo e, soprattutto, dalla speranza ormai saldamente radicata nella vita di Baghdad. Il governo iracheno ha proposto un’idea allettante, legando una discussione seria su tutti gli aspetti dell’attuale tragedia palestinese non solo a Baghdad, ma anche all’Arbaeen di Karbala. L’Arbaeen segna il 40° giorno dopo Ashura, il rito sciita per onorare il martirio di Hussein Ibn Ali, nipote del profeta Maometto, che fu brutalmente assassinato insieme a tutta la sua famiglia dal califfo omayyade Yazid Ibn Muawiya. Per i musulmani sciiti questo massacro disonorevole rappresenta la massima incarnazione dell’ingiustizia e del tradimento, considerati mali fondamentali dalla setta religiosa. Si parla di Resistenza – senza menzionare esplicitamente l’Asse della Resistenza. Il martirio dell’Imam Hussein nella battaglia di Karbala è stato collegato – oggi a Baghdad – direttamente al genocidio israeliano in corso di decine di migliaia di palestinesi, in una “Karbala del XXI secolo”.

Ventuno milioni di pellegrini a piedi

Volare poco prima del tramonto su un elicottero sovietico da una base militare sul Tigri a Baghdad a una mini-base a Karbala, a circa 10 chilometri di distanza dal magnifico santuario di Hazrat Abbas, è un’esperienza straordinaria. L’irrefrenabile comandante Tahsin, a Karbala, aveva ordinato al pilota di seguire la via dei pellegrini di Arbaeen, uno dei molteplici assi che attraversano l’Iraq e conducono al santuario. La sensazione è quella di un lunga sequenza cinematografica in movimento. File e file di pellegrini, per lo più vestiti di nero, con i loro zaini, che portano striscioni, camminano a passo sostenuto, attraversano una serie di bancarelle, luoghi di sosta e mini-ristoranti, mescolandosi ai volontari che offrono gratuitamente bottiglie d’acqua e bevande per dissetarsi in questo viaggio spirituale, ma estenuante, durante la torrida estate irachena. Man mano che ci avviciniamo a Karbala, la folla si infittisce. È una sorta di festa mobile dello spirito comunitario. Qui e là canti spontanei, scanditi da un ritmo contagioso, e soprattutto c’è questa spinta incessante a continuare a camminare, a cercare di avvicinarsi il più possibile al santuario. Ci viene detto che è assolutamente fuori questione avvicinarsi al santuario: la strada è piena di gente, i corpi sono schiacciati contro altri corpi. L’opzione migliore è perciò un posto a cinque chilometri di distanza: una sorta di mini-complesso palestinese con una mostra di gesta militari a Gaza, uno spazio per conferenze, una mini-moschea, una piccola replica di Al-Aqsa e persino un cartello stradale: “Moschea di Al-Aqsa, 833 km”. Il collegamento Karbala-Al Aqsa, nel cuore dell’Arbaeen, non potrebbe essere più grafico. Lo spirito dell’Imam Hussein aleggia come un impalpabile velo su ogni anima lungo questi 833 chilometri. Questo complesso è stato uno dei punti focali della commemorazione di quest’anno. Il flusso di pellegrini provenienti da tutto il mondo musulmano è incessante e molti si fermano a rendervie omaggio. Nelle vicinanze, il comandante Tahsin ci presenta un combattente anti-ISIS dalla provincia di Anbar, che ora supervisiona un chiosco di kebab iracheno, preparando cibo delizioso che offre gratuitamente, “nello spirito dell’Imam Hussein”. Nella notte, tornando a Baghdad, il pilota volteggia attorno alle luci abbaglianti del Santuario di Hazrat Abbas, uno spettacolo degno di una rivisitazione delle Mille e una notte. In seguito, la direzione del santuario avrebbe confermato che ben 21,4 milioni di pellegrini erano giunti a Karbala per l’Arbaeen.

L’incontro con al-Sudani

Il Primo Ministro Sudani riceve gli ospiti stranieri per un incontro speciale in uno di quei proverbialmente monumentali palazzi di marmo dell’epoca di Saddam all’interno della Zona Verde protetta di Baghdad. Con distacco, calmo e tranquillamente, parla con autorevolezza non solo della situazione palestinese, ma anche della sua visione di una nazione stabile, illustrando la sua politica “Iraq First”. Si tratta di sviluppo sostenibile, investimenti nell’istruzione e nelle nuove tecnologie, affermazione della sovranità e, in politica estera, di un’attenta opera di bilanciamento tra Stati Uniti, UE, Russia, Cina e partner arabi/musulmani. Qualcuno suggerisce che l’Iraq passi al livello successivo e di considerare la possibilità di aderire ai BRICS. Il premier Sudani prende nota. Il messaggio è chiaro: l’Iraq è finalmente sulla strada della stabilità e della normalità. In precedenza, un funzionario governativo aveva osservato: “Daesh [ISIS] ci ha fatto tornare indietro di molti anni. Altrimenti, avremmo fatto ancora più progressi”. Secondo il dottor Hussein Allawi, uno dei principali consiglieri del Primo Ministro, l’ISIS è stato ridotto, nella migliore delle ipotesi, a poche centinaia di combattenti ai margini del deserto siriano-iracheno, protetti dalle tribù locali. La minaccia sembra essere finalmente contenuta, nonostante i tentativi degli Stati Uniti di esagerarla. Ma ciò che rende Allawi davvero entusiasta sono le ramificazioni della politica “Iraq First” e una serie di possibilità di investimento. Per quanto riguarda l’energia, ad esempio, la Cina acquista quasi la metà della produzione petrolifera irachena, è uno dei principali operatori in diversi giacimenti petroliferi e si diversifica anche in progetti come “oil-for-schools”, per aiutare Baghdad sul fronte dell’istruzione. L’Iraq è in prima linea nell’ambiziosa e multimiliardaria Belt and Road Initiative (BRI) cinese in Asia occidentale. L’attenzione principale è rivolta alla Strada di sviluppo strategico da 17 miliardi di dollari: un corridoio di trasporti da Bassora all’Europa occidentale, che dovrà essere completato entro il 2028, per poi essere collegato alla BRI – un percorso che alla fine si rivelerà molto più economico e veloce di quello esistente di Suez. Una visita alla Moschea di Abu Hanifa suggella l’avvento della Nuova Baghdad. È qui che è iniziata la prima massiccia marcia anti-occupazione, sunnita e sciita, nel 2003, solo nove giorni dopo la caduta della statua di Saddam Hussein in piazza Tahrir, voluta dagli Stati Uniti. Il minareto bombardato è stato ricostruito, la moschea è ora in condizioni impeccabili e un annesso con preziosi oggetti sufi è stato sponsorizzato da una fondazione culturale turca. La culla della civiltà sta lentamente ma inesorabilmente rinascendo.

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