Malgrado il declino economico a cui sta andando incontro l’Unione Europea, e due conflitti alle porte che ne rendono ancor più precaria la situazione geopolitica, Ursula von der Leyen (al suo secondo mandato alla guida della Commissione UE) sta vivendo il suo momento di gloria.
Il Parlamento europeo rielegge Ursula von der Leyen come presidente della Commissione UE, 18 luglio 2024
Roberto Iannuzzi per Intelligence for the People
Con Francia e Germania, i due paesi leader dell’Unione, indeboliti dalle rispettive crisi interne, von der Leyen può usufruire di un ulteriore margine di manovra. Se il Parlamento europeo approverà la nuova Commissione presentata la scorsa settimana, ben pochi potranno farle ombra.
Come ha osservato il politologo Alberto Alemanno, professore di Diritto europeo a Parigi, la riconfermata presidente sarà circondata da “yes men”, mentre le principali figure del suo primo mandato – l’olandese Frans Timmerman (Commissario per il clima), la danese Margrethe Vestager (Commissario per la concorrenza) – si apprestano a uscire di scena.
Anche il francese Thierry Breton, Commissario per il mercato interno e uno dei principali avversari della von der Leyen, ha dovuto gettare la spugna, sostituito dall’ex ministro degli esteri, e fedelissimo di Macron, Stéphane Séjourné.
Nominata “la donna più potente del mondo” da Forbes nel 2022, von der Leyen ha organizzato la nuova Commissione in un modo che, secondo molti osservatori, è una lezione di “accentramento del potere”.
Secondo Sophia Russack, ricercatrice presso il Centre for European Policy Studies di Bruxelles, la leader tedesca ha utilizzato l’approccio del divide et impera, proponendo la creazione di sei vicepresidenti esecutivi, ognuno dei quali sarà responsabile di un gruppo di commissari, con una catena di comando che rimane tuttavia vaga e confusa.
Le posizioni chiave (economia e produttività, commercio e sicurezza economica) sono andate a due suoi fedeli alleati del precedente mandato, il lettone Valdis Dombrovskis e lo slovacco Maroš Šefčovič, che riferiranno direttamente a lei.
L’olandese Wopke Hoekstra, un altro fedelissimo, conserverà la poltrona di Commissario per il clima acquisita alla fine del 2023 subentrando a Timmerman.
“Presidenzializzazione” della Commissione
“La nuova struttura della Commissione europea, confondendo i portafogli tra i membri e declassando lo status di vicepresidente a posizioni esecutive, lascia intendere una trasformazione da organo collegiale in ufficio presidenziale”, ha sostenuto Alemanno.
L’accentramento di poteri compiuto dalla von der Leyen è in realtà frutto di un processo in atto da anni. La presidente della Commissione “sta completando un processo di ‘presidenzializzazione’ che era iniziato con Barroso ed era proseguito con Juncker”, ha aggiunto lo stesso Alemanno.
Come ha spiegato ottimamente il giornalista Thomas Fazi nel suo recente report “The silent coup: the European Commission’s power grab”, fin dalla sua nascita la Commissione fu creata come un’istituzione sovranazionale scarsamente soggetta al controllo democratico.
Il problema si è accentuato allorché essa si è trasformata da mero organismo tecnico in attore pienamente politico che gioca un ruolo chiave all’interno dell’Unione.
Negli ultimi anni la Commissione ha sfruttato una serie di “emergenze” (la crisi dell’euro, la Brexit, il Covid-19, la guerra in Ucraina) per accrescere in maniera incontrollata la propria autorità attraverso l’adozione di “misure straordinarie”.
I maggiori sconfitti nel suo processo di trasformazione in organismo verticistico e non democratico, chiarisce Fazi, sono i popoli europei.
In particolare, von der Leyen ha utilizzato la crisi ucraina per espandere i poteri esecutivi della Commissione, sottolinea ancora Fazi, arrivando a definire una politica estera sovranazionale dell’Unione – anche in tema di difesa e sicurezza, materie sulle quali l’organismo da lei presieduto non ha formalmente giurisdizione.
Subito dopo averne assunto la presidenza nel 2019, von der Leyen stabilì velleitariamente che l’UE sarebbe dovuta diventare un “attore geopolitico” che avrebbe contribuito a plasmare l’ordine mondiale. A tal fine, l’Unione avrebbe dovuto imparare a “parlare il linguaggio del potere”.
Ancora una volta, si trattava di un processo di centralizzazione che sottraeva autorità ai governi nazionali, in assenza di qualunque controllo democratico da parte delle popolazioni teoricamente rappresentate da tali governi.
Kubilius e la “squadra baltica”
Espandendo il mandato della Commissione alle politiche di sicurezza e difesa grazie al conflitto ucraino, von der Leyen ha in realtà assicurato un allineamento ancor più stretto dell’Unione alle politiche degli USA e della NATO.
La novità del suo secondo mandato è la creazione di un Commissario per la difesa, la cui poltrona andrà ad Andrius Kubilius, ex primo ministro della Lituania. Kubilius non avrà delle forze armate a propria disposizione, ma si occuperà dell’industria della difesa europea cercando di spingere verso una maggiore integrazione della produzione.
Egli si dedicherà anche alla costruzione di corridoi per facilitare il trasporto di materiale bellico sul territorio europeo, e si impegnerà ad aggregare la domanda di equipaggiamento militare fra i diversi paesi membri.
Lo scorso giugno, von der Leyen ha stimato che il settore europeo della difesa avrà un fabbisogno di 500 miliardi di euro nel prossimo decennio, anche se non è chiaro da dove proverrà una simile quantità di denaro.
Kubilius farà parte di un’ampia “squadra baltica”, visceralmente russofoba, all’interno della nuova Commissione. Fra i suoi ranghi figurano Kaja Kallas, ex premier estone, che sarà responsabile della politica estera e di sicurezza europea oltre che vicepresidente esecutivo (VPE) della Commissione, la finlandese Henna Virkkunen, a sua volta VPE e Commissario per la tecnologia, il polacco Piotr Serafin, Commissario al bilancio, e il già citato Dombrovskis.
Della nascita di questa squadra si è compiaciuto l’Atlantic Council, uno dei think tank più influenti negli USA, e fra i più attivi a sostegno dell’Ucraina in chiave anti-russa.
Diversi articoli da esso pubblicati sostengono che la creazione di questa “squadra” segnala il fatto che l’UE considera la Russia come la sua “principale minaccia”. Tali articoli affermano che appoggiare Kiev è per l’Unione un investimento essenziale nella propria sicurezza.
L’auspicio americano è che Kubilius raccolga un sostanziale appoggio militare e finanziario a favore dell’Ucraina, in quanto la “resilienza” di quest’ultima sarebbe parte integrante di una più ampia architettura di sicurezza per l’Europa.
Una UE al servizio degli USA
L’Atlantic Council sottolinea però anche che la nomina di Kubilius non segna la nascita di una nuova alleanza militare: l’UE non deve invadere il campo della NATO, né la sua leadership militare né la sua esclusiva competenza nel definire i piani di difesa.
Il compito dell’Unione deve essere invece quello di creare una struttura complementare alla NATO, in particolare stilando norme giuridiche, incentivando i paesi membri a rafforzare le proprie capacità militari, e consolidandone il coordinamento.
Un altro articolo dello stesso think tank afferma che l’UE dovrà trovare la volontà politica per “riallocare risorse” sottraendole ai settori tradizionali, come l’agricoltura e i fondi regionali, a vantaggio dell’industria della difesa, delle tecnologie emergenti, e dell’innovazione.
Gli autori del pezzo osservano che personaggi come Kaja Kallas, Andrius Kubilius e Piotr Serafin sono:
irriducibili atlantisti che apprezzano l’impegno di Washington in Europa e sono convintamente concordi nel sostenere l’Ucraina. Essi provengono da stati membri storicamente orientati verso Washington, e probabilmente continueranno a promuovere questa filosofia nei loro nuovi incarichi a Bruxelles.
L’articolo auspica inoltre che:
con atlantisti in ruoli rilevanti di politica estera ed economia, Washington possa vedere una UE desiderosa di promuovere un più ambizioso programma di sicurezza e difesa, che includa – e non escluda – gli Stati Uniti in tale sforzo, soprattutto nel finanziamento di progetti industriali di difesa.
In altre parole, l’Atlantic Council ritiene che la nuova Commissione possa favorire una militarizzazione dell’Unione (anche a scapito di altri settori economici), in stretta collaborazione con l’industria bellica statunitense.
Lo stesso articolo sostiene che la riconferma di “volti familiari” come Valdis Dombrovskis e Maroš Šefčovič nella nuova Commissione fa ben sperare in tema di coordinamento delle politiche commerciali ed industriali con Washington, in particolare per quanto riguarda le politiche di “de-risking”, ovvero di divorzio economico dalla Cina.
L’articolo prosegue affermando che la composizione e i programmi della nuova squadra lasciano presagire che von der Leyen sia seriamente intenzionata a realizzare la visione di una “Commissione geopolitica” le cui priorità saranno probabilmente gradite a Washington.
In conclusione, scrivono gli autori, “la crescente apprensione dell’Europa nei confronti della Cina, e l’attenzione rivolta a una maggiore competitività e innovazione, richiederanno probabilmente una maggiore collaborazione con gli Stati Uniti”, e la nuova squadra della von der Leyen dovrebbe spingere Washington a considerare l’UE come un partner sempre più “collaborativo”.
In altre parole, gli USA vedono nell’Unione guidata dalla von der Leyen un docile partner, che asseconderà le politiche statunitensi di guerra commerciale contro Pechino e di dura opposizione militare contro Mosca.