Gender nello sport, nella musica, nella pubblicità, nei film, nei cartoni animati, nei libri, nelle scuole. Gender dappertutto, ad ogni ora, per tutti. Soprattutto per i giovani, obiettivo principale della guerra psicologica, culturale e antropologica in corso. È una guerra che usa le armi bianche della propaganda ma solo perchè non ne vediamo il sangue non è meno feroce delle altre.
L’ultimo attacco è arrivato sotto le mentite spoglie di un laboratorio per “bambin* trans e gender creative”, organizzato il 28 settembre dall’Università Roma Tre (costola della Sapienza) e approvato niente meno che dal Comitato Etico dell’ateneo. L’iniziativa pare avesse lo scopo di realizzare una “ricerca con strumenti ludico-creativi per ascoltare e accogliere le storie di bambin* e ragazz* (5-14 anni) condotta da ricercator* della comunità e un’insegnante montessoriana”.
Fra asterischi, schwa, inglesismi e neolinguismi vari, la parola “creatività” è la chiave magica per aprire la mente dei più indifesi, violare la loro intimità e introdurli nel mondo Lgtb attraverso la perversione del linguaggio. Come nella fiaba del pifferaio magico, i sedicenti esperti invitano i bambini ad andare a “giocare” con loro e ad essere creativi: se avete dubbi, se siete confusi o turbati, noi fermiamo la tormenta e vi mostriamo l’arcobaleno!
D’altronde, anche i genitori possono stare tranquilli: il laboratorio apre all’interno della cornice istituzionale di un autorevolissimo ente pubblico quale è l’università che così dà legittimità teorica ad una credenza che di scientifico non ha proprio nulla.
A 5 anni un bambino si copre le spalle con una coperta e fa finta di essere Superman, a 8 anni prende un legnetto e fantastica di diventare Harry Potter, a 13 è corroso dalle insicurezze tipiche dell’adolescenza perchè il suo corpo cambia.
Quali sono le conseguenze nello sviluppo psichico di giovani creature in formazione di una propaganda che allunga gli artigli per colonizzare la loro immaginazione? Dove sono le basi scientifiche di tutto ciò? Dove è finito il “principio di precauzione”? A quali valori pedagogici si affida il Comitato Etico di Roma III per approvare una simile ricerca in palese contrasto con la Carta dei Diritti Universali dell’Infanzia che impone ad ogni soggetto, ente ed istituzione la tutela dei minori come priorità assoluta salvaguardando il loro benessere e la loro crescita armoniosa per il completo sviluppo della loro personalità? Forse anche l’etica è diventata fluida e “creativa”?
Non esiste nessuna neutralità o fluidità di genere: “fare credere il contrario è un crimine verso esseri in formazione”, ha scritto, fra i tanti, la dottoressa Debra Soh che smonta punto per punto le supposte basi scientifiche del gender. (1)
Il genere sessuale si forma fin dalle prime settimane del concepimento e determina un diverso sviluppo del feto sulla base dei cromosomi XX e XY ( è bene ribadirlo di questi tempi). Esistono casi di “disforia di genere” (come la nascita con doppi organi genitali, ad esempio) ma sono eccezionali e, infatti, fino al 2013 venivano classificati come “patologia” prima di venire normalizzati dalla scienza di regime con il risultato di patologizzare i sani.
E soprattutto le statistiche dimostrano che una quota compresa tra il 60% e il 90% di ragazzini che vivono il disagio di “sentirsi nel corpo sbagliato” si risolve spontaneamente con la crescita poiché l’identità sessuale si stabilizza con il tempo: in termini scientifici, il fenomeno è noto come “desistenza”, in coerenza con i principi basilari della medicina che considera concluso lo sviluppo psico-fisico di un giovane solo a 18-20 anni. (1)
In una fase così delicata, sottoporre adolescenti e addirittura bambini fragili a condizionamenti psicologici che alterano la loro serenità e la loro crescita naturale è irresponsabile.
Travolto dalle polemiche con alcune associazioni scese a contestare fuori dall’università (a cominciare da Provita che ha raccolto 35000 firme in poco tempo), alla fine il rettore di UniRoma3 ha spostato il laboratorio in un luogo segreto chiudendo le porte agli esterni (2) e si è giustificato dichiarando che si trattava di un semplice “progetto per l’ascolto di un gruppo di bambini-adolescenti che nutrono dubbi sulla loro identità di genere. Un progetto, sottolineo, di ascolto, senza alcun tipo di forzatura. Non è un corso”.
Accogliere dei ragazzini in un laboratorio dal titolo inequivocabile è già una forma di condizionamento, oltre al fatto, oramai assodato, che anche nel campo del migliore studio scientifico quel che si trova dipende soprattutto da ciò che si sta cercando: qualsiasi ricerca è influenzata dalle aspettative e dall’atteggiamento mentale del ricercatore che organizza lo spazio, decide le regole e le procedure.
Infatti, guarda caso, i promotori dell’iniziativa, Michela Mariotto e Maric Martin Lorusso, lungi dall’essere due ricercatori obiettivi e distaccati, sono attivisti politicamente impegnati per il riconoscimento di un’infanzia fluida, creativa e trans. (3) La Mariotto è co-fondatrice e componente del direttivo di GenderLens, mentre Maric Martin Lorusso (che si definisce attivista transfemminista) ne è stretto collaboratore.
Già in passato la ricercatrice è riuscita ad intersecare ambiti che dovrebbero rimanere ben separati come quando ha realizzato un progetto finanziato dalla Sapienza di Roma in collaborazione con GenderLens intitolato “TransVersale. Identità trans”.
L’associazione promuove, infatti, temi legati all’infanzia di genere non normativa e, sebbene si renda conto di “quanto singolare possa apparire questa idea”, come dichiara sul proprio sito, tuttavia, grazie ad “un lavoro collettivo è possibile produrre quel cambiamento sociale che trasforma l’utopia in realtà”. Una vera transizione sociale non può che avvenire partendo dalla trans-formazione dell’infanzia, ovvero “ampliando l’immaginario sociale” che riguarda le presunte varianze di genere dei bambini. In sintesi, il sogno è generare il bambino unisex, futuro abitante della nuova società dove tutto è trans: trans-sessuale, trans-nazionale, trans-umano, un essere in transito perenne nel nomadismo della precarietà esistenziale.
E per realizzare l’utopia, l’associazione è molto attiva nella “trans-informazione” tenendo conferenze con i ragazzi delle scuole (come nel Liceo Silvio Pellico di Cuneo, nella Scuoletta Montessori di Orbassano, nella scuola di Pace di Boives), organizzando laboratori ludici per bambini e mettendo a disposizione materiali divulgativi fra cui libri scritti ad hoc ma anche riletture di classici come “Pippi” presentata come eroina forte, allegra e furba che “vive sola e sta benissimo anche senza genitori: leggete le sue avventure e vi sentirete come lei!”.
Infatti, uno degli assunti principali di Michela Mariotto è la critica all’”adultismo”, il vizio dei grandi di proiettare le proprie convinzioni sui bambini cancellando l’io desiderante del piccolo. D’altronde per fondare la nuova società libera e inclusiva bisogna superare “le idee dei vecchi” (come disse il fondatore dell’Oms G. Brock Chisholm) e ciò significa, innanzitutto, ridisegnare i confini entro cui i minorenni possono muoversi dando liceità a soggetti, per definizione, “immaturi” (essendo il loro sviluppo psico-fisico, per l’appunto, non ancora maturato) a compiere anche scelte irreversibili come l’assunzione di farmaci per la transizione di genere. Tutto ciò è in linea con l’orientamento attuale promosso dall’Onu che concepisce il bambino come soggetto capace di autodeterminarsi a scapito della potestà genitoriale, ultima barriera protettiva all’inondazione della propaganda sui più indifesi.
Per Mariotto “Compito degli adulti e delle istituzioni è creare lo spazio che permetta al/la bambin* di prendere consapevolezza della propria soggettività” raccomandando l’implementazione dei programmi su “l’uguaglianza di genere, il rispetto della diversità sessuale e di genere” e auspicando che “le istituzioni si pongano come obiettivo non solo quello di rafforzare le proprie strutture e competenze, ma di costruire strutture amministrative e organizzative in cui la partecipazione delle stesse persone Lgtb sia il requisito fondamentale”.
In “Crescere figliз di genere diverso in Italia” Mariotto scrive che “fino a qualche anno fa, l’infanzia di genere diverso era un’esperienza che non si considerava socialmente possibile (…) Recentemente stiamo assistendo a un cambio epistemologico importante che porta al riconoscimento di questa esperienza come un’espressione della diversità umana che deve essere riconosciuta e affermata in primo luogo dalle famiglie (…) per dare senso e legittimità alla diversità di genere nell’infanzia”.
E di questo “cambio epistemologico” lei si erge a paladina attuando nella “retrogada ‘Italia” (coma l’ha definita) esperimenti di laboratorio direttamente sulla pelle dei bambini di soli 5 anni nonostante non sia nemmeno una psicologa specializzata nell’età evolutiva.
Più che di “cambio epistemologico” siamo di fronte al tentativo di un vero “salto di paradigma”, definito da L. Wolfe come quell’insieme di “modalità per provocare mutamenti dei paradigmi culturali nelle società umane, attraverso l’instaurazione di ambienti sociali perturbati e la manipolazione delle dinamiche occulte di gruppo.”
E in questo “salto” a cadere sono i più piccoli: da femmina a maschio, da maschio a femmina, in perpetua transizione nella precarietà della vita. Con la scusa della non discriminazione, nemmeno l’infanzia riesce più ad essere un’area protetta dall’isteria gender.
E tutto ciò avviene non solo nel silenzio di chi avrebbe il dovere di dire qualcosa come gli psicologi e i medici, ma anzi con l’approvazione di una università il cui rettore Massimiliano Fiorucci è stato fino a due anni fa Presidente Nazionale della Società Italiana di Pedagogia.
Anzichè “far valere certi elementi intellettuali e culturali che fungono da anticorpi a certe derive, l’università cessa di avere – come dovrebbe avere e come di fatto aveva in passato – una funzione guida nei confronti della società (…). La sua funzione critica e di indirizzo scompare, e in cambio subentra l’obbedienza a ciò che la società impone”, come aveva osservato da tempo Claudio Giunta.
D’altronde il delirio woke è partito proprio dalle università americane e, sebbene in ritardo rispetto ad altri paesi come l’Inghilterra, tenta ora di contagiare le accademie coloniali italiane.
E mentre il Ministero dell’Università e della Ricerca avvia controlli, il rettore di UniRoma3 continua a rivendicare con orgoglio l’iniziativa affermando che “per sua natura la ricerca è chiamata a esplorare territori di confine”. Esplorazione che mira in realtà a conquistare sempre maggiori spazi spostando sempre più in là le frontiere della sessualità per presentare come normalità, come dato naturale, quella che è “gender dysphoria”. La scusa della lotta per i diritti delle minoranze serve a ridefinire completamente il terreno dei diritti collettivi della maggioranza.
Ed è così che sul terreno vischioso del politicamente corretto, l’università scivola verso l’ideologia dissolvendo la sua funzione storica di ricerca del vero.
La teoria del gender nasce negli anni Sessanta da un clamoroso falso scientifico ad opera del dottor John Money, autore di un vero e proprio esperimento sulla carne viva di un bambino convinto a crescere come una femmina e sottoposto fin da subito a terapie ormonali e interventi chirurgici. Money presentò in un libro, pubblicato nel 1972, il caso del piccolo come la prova trionfale della sua teoria: “non si nasce maschi né femmine, ma lo si diviene” in base all’autodeterminazione del soggetto e aprì la prima clinica al mondo specializzata nella riassegnazione di sesso. (4)
In realtà l’esperimento finì con il suicidio, a soli 38 anni, del paziente che, da adulto, si era sposato tentando di recuperare la propria identità sessuale ma. nonostante il fallimento di quell’unico test su cavia umana e la chiusura della clinica di Money per gravi illeciti, il medico venne acclamato come il fondatore della teoria gender e della fluidità psico-sessuale dei bambini.
La sua teoria venne brandita dai movimenti omosessuali e ultra femministi del tempo e sponsorizzata dai potentati economici, fino a diventare legge nella Conferenza di Pechino dell’Onu del 1995.
Lgtb è una delle quattro lobby più potenti del mondo, finanziata da enti intenti da anni a influenzare le politiche di controllo delle nascite: su tutti la Fondazione Rockfeller, la Fondazione Ford, Open Society di George Soros e Planned Parenthood, ente consultivo dell’Onu fondato nel 1946 dall’eugenetista Margareth Sanger.
Ma davvero qualcuno può ancora continuare a pensare che l’attuale fanatica promozione politica del gender abbia a che fare con la lotta all’omofobia?
C’è un’agenda genetica che avanza con strumenti sempre più sofisticati e che sta destinando finanziamenti milionari alla ricerca sull’utero artificiale. E che cosa è il gender se non un invito alla sterilizzazione dell’intera società e la conseguente ricorso alla fecondazione artificiale? Da che mondo è mondo, la riproduzione della specie necessita della complementarietà della donna e dell’uomo, ossia della coppia fondativa madre e padre in rapida rottamazione a favore di genitore 1 e genitore 2 e delle coppie omosessuali che, per avere un figlio, devono ricorrere alla scienza.
La funzione fondamentale del gender è concorrere a trasferire massivamente la procreazione naturale verso la riproduzione artificiale, su cui gli apprendisti stregoni sono già pronti ad allungare le mani. Dalla famiglia tradizionale alla famiglia arcobaleno, da madre e padre a genitore 1 e 2, dalla carne alla provetta, dal ventre della donna all’utero artificiale, dalle imperfezioni aleatorie della natura al controllo scientifico delle nascite, la finestra di Overton non è solo aperta ma palesemente spalancata sulla manipolazione genetica.
Il gender è una manipolazione dei corpi interamente fondata su uno schema di repressione: il sessuale viene disincarnato dal corpo per essere amministrato dal politico secondo modelli tecnocratici. È una prigionia ideologica, non una liberazione progressista dai pregiudizi. Il corpo così decostruito, uniformato, negato nella sua differenza essenziale può essere riorganizzato come materiale inerte al pari di un oggetto. E se è un oggetto può essere trasformato, “genderizzato”, ma anche potenziato, hackerato, impiantato tecnologicamente e ingegnerizzato geneticamente.
Il corpo si struttura, innanzitutto, nella differenza fra maschile e femminile, ora deve obbedire ad un imperativo di spogliamento su cui fondare un’equivalenza generale che neutralizza la potenza della diversità nell’ambiguità omologante dell’unisex. È una “cancel culture” applicata direttamente al corpo che cancella maschile e femminile per trasformare i corpi in fogli bianchi su cui riscrivere il genere desiderato…
Ai ragazzini viene fatto credere che sia normale cancellare il proprio corpo biologico e, come in un video game, trasformare l’identità maschile e femminile in un avatar da ridisegnare a proprio piacimento. Anche se, in realtà, è come piace a loro….quelli che, in un delirio di onnipotenza, aspirano a rifondare sulla natura, l’artificiale come una seconda natura.
Il trans-gender è già un prodotto del trans-umanesimo e della sua volontà di trascendere i limiti dell’umano dati dalla natura. Entrambi presuppongono la radicale oggettivazione del corpo, la sua riduzione a contenitore astratto e la sua riformattazione in chiave tecno-medicale. Per l’economia neoliberale il tipo ideale di corpo è il robot, inteso come funzionalità assoluta e asessuata.
Obiettivo strategico primario del mutamento in corso è impadronirsi del futuro rieducando le nuove generazioni, aggredite su più fronti per instillare nella loro mente certe suggestioni e stati d’animo creati scientificamente a tavolino. Una generazione drogata dai social e dai video-games risulta facilmente psico-programmabile a chi detiene le risorse chiave del mondo globale e ha in mano tutti gli strumenti di manipolazione per la decostruzione e ricostruzione dell’umano.
Ragazzini, peraltro, che non sarebbero confusi se non fossero attaccati ad ogni ora del giorno e della notte da una prepotenza narrativa progender che inquina tutti i settori della comunicazione, anche quelli ritenuti apolitici come la musica o i film, da sempre molto attrattivi per i giovani.
Personaggi come i Maneskin, eletti dal sistema a paladini italici della finta trasgressione politicamente corretta, da tempo portano sul palco di fronte a milioni di fans pose fluide inneggianti al pansessualismo. Persino i cartoni animati inseriscono contenuti Lgtb, come Walt Disney che altera le fiabe classiche sostituendo la matrigna di Biancaneve con le drag queen. Nemmeno la Barbie viene lasciata in pace e diventa progressista pure lei: oggi maschio, domani femmina, mentre lo storico compagno Ken resta “incinto”…
E tuttavia “fra i metodi moderni di propaganda il più influente è quello denominato educazione”, come aveva ben compreso il premio Nobel Bertrand Russell, membro della Fabian society, il cui simbolo era un lupo travestito da agnello.(5) Infatti, per far credere ai bambini che “la neve è nera”, le scuole hanno iniziato ad aprire bagni neutrali, ad imporre fin dall’asilo grembiulini dal colore “non discriminatorio” e a legittimare la “carriera alias”.
Gli alunni vengono così formati alla lotta contro gli stereotipi sessuali per essere rieducati alla fluidità permanente: da maschio a femmina, da femmina a maschio e infinite variazioni, in una corsa al “progresso” che trascina i più indifesi in un gioco allo sbando. Più che liberare una persona dal corpo sbagliato, il rischio è di intrappolare tutta la prossima generazione nelle gabbie appiccicose dell’ideologia.
Si insegna loro il nuovo linguaggio inclusivo, in cui persino usare le desinenze maschili e femminili risulta offensivo, meglio il “neutro” che, in realtà, non è mai neutrale ma addestra a stabilire i nuovi limiti del dicibile che sono i limiti del pensabile.
Nel frattempo, aumentano le pressioni per introdurre l’educazione sessuale a scuola, imperdibile occasione per sguinzagliare migliaia di esperti nelle classi italiane e diffondere la teoria del gender mascherata sotto la retorica ufficiale di “educazione all’inclusività e all’affettività”, come già avviene ora. PD e Cinque Stelle, sempre in prima fila nei carrozzoni del Gay Pride, hanno recentemente presentato un emendamento per introdurla fin dalla prima elementare, così che nemmeno i più piccoli vengono risparmiati da una precoce familiarizzazione con cose non adatte alla loro età. Attraverso l’educazione sessuale, la scuola, cioè il ramo di diffusione principale della propaganda, usurpa i genitori di un loro compito così importante perché la famiglia trasmette i valori della tradizione ed è perciò un ostacolo al dilagare della Neomorale che porta benevolmente le nuove generazioni verso il nulla.
La scandalo che ha portato alla chiusura nel 2022 della clinica di Tavistok, leader mondiale nella transizione di genere di bambini ed adolescenti, non lascia più dubbi sulle drammatiche derive in cui può incarnarsi l’ideologia. Con testimonianze agghiaccianti, i medici e gli psichiatri interni hanno accusato l’istituto londinese di collusione con gruppi di pressione Lgtb con la conseguenza di spingere verso la transizione di genere migliaia di ragazzini etichettati come “trans” senza nessun approfondimento psicologico sul loro disagio di sentirsi “intrappolati nel corpo sbagliato”, inclusi i pazienti affetti da autismo, disabilità o trauma, ovvero la maggioranza di coloro che si rivolgevano alla clinica. La denuncia partì dallo psichiatra David Bell, direttore della clinica, che venne sospeso ma fu comprovata dagli tanti altri dottori che non riuscivano più a tacere dopo che persino i bambini di otto anni venivano indirizzati al trattamento ritrovandosi la vita rovinata per sempre. È bene ricordare che si tratta di una terapia invasiva, irreversibile e sperimentale che prevede l’assunzione di farmaci, ormoni e bloccanti della pubertà (in attesa delle numerose operazioni chirurgiche) le cui conseguenze a lungo termine non sono ancora conosciute ma già si sospettano gravi anomalie nello sviluppo del cervello, delle ossa e della fertilità. (1)
Da Money a Tavistock, la clinica degli orrori è rimasta la stessa e i mostri continuano a girare indossando camici bianchi. Anziché smascherare questa messinscena planetaria del gender, rettori, professori e docenti si piegano al conformismo autoritario omologante prestandosi a condurre gli agnelli davanti al lupo.
Il laboratorio dell’infanzia trans di Roma è stato fermato grazie alle proteste spontanee e decisive della gente ma tutto l’Occidente sta diventando un grande laboratorio biopolitico a cielo aperto dove le cavie predestinate sono i più piccoli.
Proteggete i vostri figli perchè nessuno lo farà al posto vostro. Non certo i politici nè tantomeno gli esperti di regime e neppure i fantomatici gruppi del cosiddetto dissenso.
Note
1) Debra Soho, “The end of gender. Debunking the myths about sex and identity in our society”, 2020
2) il laboratorio si è svolto a porte chiuse per sette famiglie che già frequentavano Genderlens, a riprova della collusione evidenziata nell’articolo
3) Michela Mariotto incentra la sua ricerca sull’infanzia di genere non normativa e sulle pratiche genitoriali che la riguardano, svolge attività di formazione sui temi della varianza di genere nelle scuole e nelle università, è stata componente del gruppo di ricerca Lis (Estudis socials i de gènere sobre la corporalitat, la subjectivitat i el patiment evitable) nel dipartimento di Sociologia della Universitat Autònoma de Barcelona. Ha pubblicato testi accademici come “Crescere figliз di genere diverso in Italia. Sentieri inesplorati e sfide moderne per il riconoscimento di nuove soggettività” (2024), “TransVersale. Identità trans*: un percorso partecipato per buone pratiche accademiche” (2023), “Sul gender. Varianza di genere nell’infanzia: un’analisi della letteratura esistente al di fuori della clinica” (2020).
4) Per approfondire: Sonia Milone, “Dal transgender al transumanesimo, parte I e parte II”, 2022
5) Bertrand Russel, “L’impatto della Scienza sulla Società”, 1951