LA CRUDELTÀ BIBLICA HA PRESO IL POTERE IN ISRAELE: “MEIN KAMPF AL CONTRARIO”

DiOld Hunter

22 Ottobre 2024
La “legge del popolo” è la fallacia su cui si è storicamente basato lo Stato di Israele, dalla sua fondazione come colonia occidentale in Palestina fino a garantire il controllo imperiale in tutto il Medio Oriente.

José Goulao per Strategic Culture Foundation del 21.10.2024 – Traduzione a cura di Old Hunter


Negli innumerevoli commenti e opinioni che proliferano sull’attuale situazione nei territori palestinesi conosciuti come Israele, c’è la convinzione che l’unico problema sia il Primo Ministro Benjamin Netanyahu. In altre parole, una volta che si sarà dimesso o sarà stato licenziato, la crisi sarà risolta e tutto tornerà alla pace del Signore con la continuazione della metodica pulizia etnica dei palestinesi.
Puro inganno, pia illusione. Niente sarà più come prima nel cosiddetto “Stato ebraico”.
La deduzione è oggettiva e deriva dall’inevitabile realtà che un giorno dovrà arrivare: la terribile battaglia esistenziale ideologica e religiosa che si svolge all’interno del sionismo – la dottrina razzista e suprematista su cui si basa lo Stato di Israele – tra i fondamentalisti laici e quelli religiosi; o “tra la legge del popolo” e la “legge di Dio”, secondo le parole significative ma semplicistiche di un partecipante a una delle recenti gigantesche manifestazioni di Tel Aviv.
La “legge del popolo” è la fallacia su cui si è storicamente basato lo Stato di Israele, dalla sua fondazione come colonia occidentale in Palestina fino a garantire il controllo imperiale in tutto il Medio Oriente. Una fallacia nella quale lo stesso sionismo è vissuto propagandisticamente nella fase iniziale dopo la sua nascita, alla fine dell’Ottocento e all’inizio del Novecento, quando il fondatore ufficiale della dottrina, l’ebreo austriaco e ashkenazita Theodor Herzl, lo proclamò come un sistema laico di ispirazione politica europea (che oggi si dice liberale); e i cui compiti di mobilitazione erano “il ritorno (degli ebrei) alla Terra Promessa” perché la Palestina non era altro che “una terra senza popolo per un popolo senza terra”.
Questa è, fin dall’inizio, la contraddizione fatale del sionismo: tra la propaganda laica che ha prevalso mitologicamente come unica fino al 1925; e l’essenza autentica e, di fatto, originaria della dottrina espansionistica, il suo carattere religioso e fondamentalista messo a nudo dal concetto biblico di “Terra Promessa” e la conseguente occupazione di una “terra senza popolo” o, in termini quantitativamente più oggettivi, un territorio abusivamente popolato da barbari e incivili. In verità, il sionismo è nato subito contaminato dall’inevitabilità religiosa, solo tatticamente nascosta.
Tutti i primi capi di governo dalla fondazione dello Stato di Israele hanno incarnato questo dualismo incoerente, dichiarandosi laici in politica e religiosi nella vita privata, un’ambiguità essenziale per garantire la facciata di rispetto delle norme delle democrazie occidentali, come la separazione tra Chiesa e Stato, essenziale per il tentativo di dare credibilità alla già stanca proclamazione di “unica democrazia del Medio Oriente”. O, come garantisce oggi il premier Netanyahu, mentre porta avanti la sanguinosa soluzione finale per i palestinesi, per assicurare “la difesa della civiltà occidentale” nella regione.
Merita una breve riflessione il fatto che questi leader politici israeliani, in stragrande maggioranza ashkenaziti e coloni, essendo di origine europea, si guardano bene dal dichiararsi religiosi. Questa è l’unica premessa che senza dubbio garantisce il loro ebraismo, perché il semitismo di molti di questi europei è probabilmente residuale o inesistente. Altrimenti, se disdegnassero il fattore religioso personale, ci troveremmo allora di fronte all’ennesima traccia della caricatura dell’antisemitismo imposta come versione ufficiale che serve a Israele per accusare il resto del mondo di essere antisemita. Perciò, gli stessi padri fondatori non sarebbero semiti o religiosi, rendendo con ciò immediatamente falso il carattere ebraico del nuovo Stato e denunciandone a chiare lettere il ruolo esclusivo e artificiale di colonia delle potenze occidentali in Medio Oriente.

L’inizio della fine del “sionismo laico”
La fallacia fondativa del sionismo è sopravvissuta per molti decenni dalla fondazione dello Stato mentre si sviluppava la continua colonizzazione dei territori arabi, un processo illegale possibile solo grazie alla tolleranza e alla complicità dell’ONU, degli Stati Uniti e dei Paesi coinvolti nell’integrazione europea: prima nei territori assegnati alla popolazione araba attraverso l’accordo di spartizione approvato nel 1948 dalle Nazioni Unite; poi, dal 1967 e dalla cosiddetta Guerra dei Sei Giorni, nelle regioni palestinesi di Gaza, Cisgiordania e Gerusalemme Est allora occupate, che hanno consentito l’installazione di insediamenti in vaste aree sottratte dal regime sionista alla popolazione originaria. In queste zone vivono oggi quasi 700.000 ebrei fondamentalisti fanatici provenienti da tutto il mondo, la stragrande maggioranza dei quali senza alcuna radice etnica in Palestina.
Questa brutale e massiccia violenza demografica, sempre con il carattere di pulizia etnica, come è stato scritto, ha colpito mortalmente la fallacia del sionismo secolare. Il sionismo reale, fascista, ferocemente razzista e segregazionista, che ha all’orizzonte l’espulsione di tutti i palestinesi, ha preso il potere negli ultimi decenni e intende rimanervi in eterno “per volontà di Dio”, volontà rispettata e realizzata tramite “profeti” autodidatti e terroristi che si ritengono incaricati da lui di garantire il loro ruolo di vigilanza sulla Terra applicando alla lettera la terrificante mitologia dell’Antico Testamento.
Netanyahu è solo un altro leader in questo processo di trasformazione del carattere dello Stato, anche se il ruolo di capo del governo svolto quasi esclusivamente negli ultimi 30 anni gli ha conferito un rilievo naturale, anche se sopravvalutato rispetto al suo peso effettivo nell’ambiente fondamentalista che oggi amministra Israele. Ha ereditato la missione dal padre, Benzion Netanyahu, a sua volta segretario personale e uno dei principali discepoli ideologici di Volodymir Jabotinsky, l’ucraino che fu collaboratore di Mussolini e che nel 1925 aveva provocato il grande scisma tra il sionismo laico opportunisticamente proclamato alla nascita e quello definito “sionismo revisionista” da lui fondato. Questa variante del colonialismo estremista sotto copertura “ebraica” ispira il fanatismo politico-religioso che prevale nell’attuale governo e mira a creare una teocrazia – il primato della “Legge di Dio”. Mantenendo, ovviamente, la missione di difendere la civiltà occidentale in Medio Oriente. Non è cosa di poco conto che questa tendenza fanatica abbia un’enorme rappresentanza all’interno del Congresso ebraico mondiale e sia sostenuta senza limiti concreti dal regime degli Stati Uniti e dagli organismi non democratici che definiscono le politiche dell’Unione Europea.

Voci che prevedono la catastrofe
Ehud Barak, uno dei politici israeliani più esperti, primo ministro di un governo che all’inizio del secolo ha praticato una repressione selvaggia della cosiddetta Seconda Intifada palestinese e ultimo capo del Partito Laburista come organizzazione politica influente, ha un’opinione rilevante sugli eventi in corso. “Con la copertura della guerra“, afferma, “si sta verificando un colpo di stato governativo e costituzionale senza che venga sparato un colpo; se non verrà fermato, trasformerà Israele in una dittatura nel giro di poche settimane – Netanyahu e il suo governo stanno assassinando la democrazia“. La strada proposta dal leader ora “centrista” è quella di “bloccare il Paese tramite una disobbedienza civile su larga scala 24 ore al giorno, sette giorni alla settimana“.
Un parere molto più incisivo e avanzato, ma anche allarmante, viene dal generale Moshe Yalon, ex Capo di Stato Maggiore delle Forze Armate ed ex Ministro della Difesa:
Un culto rabbioso ed escatologico detta legge a Tel Aviv, sede della costruzione genocida e coloniale della comunità dei coloni; questo processo si completa con un’enorme milizia di vigilanti, o milizie interconnesse di centinaia di migliaia di coloni armati fino ai denti, incontrollabili e pronti a tutto, anche ad attaccare i militari e lo Stato“.
Un “ex direttore del Mossad” citato dal quotidiano “Haaretz” mette addirittura in dubbio il futuro del cosiddetto “Stato ebraico”, affermando che se assumerà la forma di “uno Stato razzista e violento non potrà sopravvivere; e probabilmente è già troppo tardi“.



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