NAZIONALISMO CIVICO ED ETNICO IN ARMONIA

DiOld Hunter

27 Gennaio 2025

di Constantin von Hoffmeister sul suo Eurosiberia    –    Traduzione a cura di Old Hunter

Viviamo in un mondo ossessionato dai binari, un mondo in cui ogni domanda è modellata in una rozza dicotomia, in cui sei costretto a dichiarare fedeltà a una tribù o a un’altra. Nazionalismo civico o etnonazionalismo: i teorici politici e i commentatori culturali pretendono che tu ti schieri da una parte o dall’altra, come se questi concetti fossero isole incompatibili e reciprocamente esclusive in un vasto oceano ideologico. Ma la verità non è mai così semplice; non può essere contenuta da queste costruzioni limitate e rigide. Le società occidentali sono intrappolate in questo falso binario, non volendo accettare che nazionalismo civico ed etnonazionalismo possano coesistere, debbano coesistere, se vogliamo costruire un futuro sostenibile che rispetti sia la dignità dell’individuo sia la realtà storica della continuità culturale. Questo rifiuto di abbracciare le sfumature ha paralizzato la nostra capacità di affrontare le domande che contano davvero: chi siamo e come possiamo vivere insieme senza cancellare noi stessi?

Il nazionalismo civico, con le sue promesse di inclusività e valori condivisi, si presenta come la scelta illuminata e progressista. Ci dice che chiunque, indipendentemente dal background, può farne parte, purché si impegni a rispettare i principi dello stato-nazione: stato di diritto, democrazia, uguaglianza. Parla di un’utopia in cui le linee di sangue non significano nulla, in cui l’identità è costruita puramente attraverso l’atto della partecipazione politica e sociale. E tuttavia, è una chiacchierata vuota quando ignora la verità fondamentale che le nazioni non sono semplici astrazioni di governo o ideologia; sono radicate nelle esperienze vissute di un popolo. La cultura di una nazione non emerge dal nulla. È il prodotto della storia, plasmata dall’immaginazione collettiva di coloro che l’hanno fondata e sostenuta per generazioni. Nelle nazioni occidentali, questa fondazione è stata in modo schiacciante opera dei popoli bianchi europei. Sono loro che hanno plasmato le tradizioni, l’arte e l’ethos che definiscono queste società. Fingere il contrario non è solo disonesto, ma distruttivo. Negare il primato culturale del gruppo che ha creato l’impalcatura di queste nazioni significa negare l’essenza stessa che costituisce una nazione.

L’etnonazionalismo, tuttavia, può essere ugualmente problematico se preso come principio esclusivo. Le sue linee più oscure spesso puzzano di esclusione e paura, riducendo l’identità a un rigido determinismo biologico che cancella la complessità della vita umana. Questa non è la strada da seguire. Feticizzare l’etnia come un confine inflessibile significa imprigionare la nazione in un passato che non esiste più nella sua forma pura. Decenni di immigrazione hanno cambiato irrevocabilmente il panorama demografico dell’Occidente. Fingere il contrario non serve a nulla se non ad alimentare la divisione. La risposta non sta nel rifiutare i contributi di altri gruppi, ma nell’assicurare che questi contributi non avvengano a scapito dell’integrità culturale del gruppo fondatore. Le nazioni occidentali possono prosperare solo se i bianchi rimangono la maggioranza, non per supremazia, ma perché la struttura di queste nazioni dipende dalla continuazione della loro cultura fondante. Questo non è un argomento contro la presenza di altri gruppi etnici. Invece, è un riconoscimento che l’integrazione, la vera, significativa integrazione, è il prezzo di ammissione per coloro che vengono a prendere parte alle opportunità che queste società offrono.

L’idea di integrazione è diventata quasi un tabù, liquidata come assimilazionista o oppressiva. Ma cos’è l’integrazione se non il riconoscimento che la cultura e i valori condivisi sono necessari per qualsiasi società coesa? Integrazione non significa cancellazione. Significa partecipazione a un progetto condiviso, una volontà di abbracciare la storia e l’ethos della società a cui si è scelto di unirsi. Le nazioni occidentali hanno spesso fallito in questo, o chiedendo troppo poco ai nuovi arrivati ​​o rifiutandosi di articolare in cosa esattamente viene chiesto loro di integrarsi. Il risultato è una frammentazione dell’identità, un mosaico di comunità isolate che vivono in una difficile coesistenza piuttosto che in unità. Ecco perché l’immigrazione basata sul merito, unita a una chiara aspettativa di integrazione, non è solo pratica ma essenziale. Garantisce che coloro che arrivano in queste nazioni siano attrezzati per contribuire in modo significativo, affermando al contempo la centralità della cultura fondatrice.

Ciò di cui abbiamo bisogno, quindi, è una sintesi: un nazionalismo che riconosca sia il civico che l’etnico, che si rifiuti di sacrificare l’uno sull’altare dell’altro. Un tale nazionalismo riconoscerebbe che l’identità è sia scelta che ereditata, che l’appartenenza riguarda tanto i valori condivisi quanto la storia condivisa. Richiederebbe rispetto per il gruppo etnico fondatore come chiave di volta culturale della nazione, ma allo stesso tempo farebbe spazio ad altri per unirsi a questo progetto, a patto che siano disposti a integrarsi. È una fusione, un riconoscimento che i binari che abbiamo costruito sono falsi e che la vera forza risiede nell’interazione tra di essi.

Ma non siamo ingenui. Un progetto del genere non sarà facile. Richiede coraggio per sfidare i guardiani ideologici da entrambe le parti, per sopportare le accuse di razzismo dei puristi nazionalisti civici e le grida di tradimento dei duri e puristi etnonazionalisti. Richiede la volontà di articolare cosa significhi essere una nazione nel XXI secolo, per rispondere a domande scomode e complesse. Eppure, se vogliamo sopravvivere, se vogliamo prosperare, questa è la strada che dobbiamo prendere. Il futuro dell’Occidente dipende da questo.

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